UN EURO PER I BAMBINI SOMALI
Testimonianza di volontaria che opera da tempo in Somalia
al servizio dei più bisognosi. Mi chiamo
Annalena Tonelli. Sono nata in Italia a Forlì il 2 Aprile 1943. Lavoro
in sanità da trent'anni, ma non sono medico. Sono laureata in legge in
Italia. Sono abilitata all'insegnamento della lingua inglese nelle scuole
superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi di controllo della tubercolosi
in Kenya, di Medicina Tropicale e Comunitaria in Inghilterra, di Leprologia
in Spagna. Lasciai l'Italia a gennaio del 1969. Da allora vivo a servizio
dei Somali. Sono trent'anni di condivisione. Ho infatti sempre vissuto
con loro a parte piccole interruzioni in altri paesi per cause di forza
maggiore. Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli
abbandonati, i non amati che ero una bambina e così sono stata e confido
di continuare a essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo
Gesù Cristo. Null'altro mi interessava così fortemente: LUI e i poveri
in LUI. Per LUI feci una scelta di povertà radicale... anche se povera
come un vero povero... i poveri di cui è piena ogni mia giornata… io non
potrò essere mai. Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di
un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza
uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò
vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane.
Volevo essere tutta per DIO. Era una esigenza dell'essere quella di non
avere una famiglia mia. E così è stato per grazia di DIO. Ho amici che
aiutano me e la mia gente da più di trent'anni. Tutto ho potuto fare grazie
a loro, soprattutto gli amici del Comitato per la lotta contro la fame
nel mondo di Forlì. Naturalmente ci sono anche altri amici in diverse
parti del mondo. Non potrebbe essere diversamente. I bisogni sono grandi.
Ringrazio Dio che me li ha donati e continua a donarmeli. Siamo una cosa
sola su due brecce diverse nella apparenza ma uguali nella sostanza: lottiamo
perché i poveri possano essere sollevati dalla polvere e liberati, lottiamo
perché gli uomini TUTTI possano essere una cosa sola. Lasciai l'Italia
dopo sei anni di servizio ai poveri di uno dei bassifondi della mia città
natale, ai bambini del locale brefotrofio, alle bambine con handicap mentale
e vittime di grossi traumi di una casa famiglia, per i
poveri del terzo mondo grazie alle attività del Comitato per la
lotta contro la fame nel mondo che io avevo contribuito a far nascere.
Credevo di non poter donarmi completamente rimanendo nel mio paese...i
confini della mia azione mi sembravano così stretti, asfittici ...Compresi
presto che si può servire e amare dovunque, ma ormai ero in Africa e sentii
che era DIO che mi ci aveva portata e lì rimasi nella gioia e nella gratitudine.
Partii decisa a 'gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles
de Foucauld. che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatrè anni dopo
grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare
a gridarlo così fino alla fine. Questa la mia motivazione di fondo assieme
ad una passione invincibile da …sempre per l’uomo ferito e diminuito senza
averlo meritato, al di là della razza, della cultura e della fede. Tento
di vivere con un rispetto estremo per i “loro” che il Signore mi ha dato.
Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto
sobria nell'abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti.
Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho ricercato
il dialogo con tutti. Ho dato amore, fedeltà e passione. Il Signore
mi perdoni se dico delle parole troppo grandi. Sono praticamente sempre
vissuta con i Somali, prima con i somali del Nord - Est del Kenya, dopo
con i Somali della Somalia. Vivo in un mondo rigidamente mussulmano. Gli
unici frati e suore presenti in Somalia dai tempi di Mussolini fino alla
guerra civile, scoppiata undici anni fa, furono accettati esclusivamente
per il servizio religioso agli Italiani. Ho vissuto gli ultimi cinque
anni a Borama nell'estremo Nord - Ovest del paese, sul confine con l'Etiopia
e Djibouti. Là non c'è nessun cristiano con cui io possa condividere.
Due volte all'anno, intorno a Natale e intorno a Pasqua, il vescovo di
Djibouti viene a dire la Messa per me e con me. Vivo sola perché le compagne
di strada, che assieme ai poveri fecero della mia vita un paradiso in
terra durante i miei diciassette anni di deserto, si dispersero dopo che
io fui costretta a lasciare il Kenya. Fu nel 1984. Il governo del Kenya
tentò di commettere un genocidio a danno di una tribù di nomadi del deserto.
Avrebbero dovuto sterminare cinquantamila persone. Ne uccisero mille.
Io riuscii a impedire che il massacro venisse portato avanti e a conclusione.
Per questo un anno dopo fui deportata. Tacqui nel nome dei piccoli che
avevo lasciato a casa e che sarebbero stati puniti se io avessi parlato.
Parlarono invece i Somali con una voce e lottarono perché si facesse luce
e verità sul genocidio. Sono passati sedici anni e il Governo del Kenya
ha ammesso pubblicamente la sua colpa, ha chiesto perdono, ha promesso
compensazioni per le famiglie delle vittime. I giornali e la BBC hanno
parlato a lungo del mio intervento. E oggi molti dei Somali che avevano
remore contro di me mi hanno accettato e sono diventati miei amici. Oggi
sanno che ero pronta a dare la vita per loro, che ho rischiato la vita
per loro. Al tempo del massacro, fui arrestata e portata davanti alla
corte marziale.... Le autorità tutti non Somali, tutti cristiani, mi dissero
che mi avevano fatto due imboscate a cui ero provvidenzialmente sfuggita,
ma che non sarei sfuggita una terza volta.. ..poi uno di loro, un cristiano
praticante, mi chiese che cosa mi spingeva ad agire così. Gli risposi
che lo facevo per Gesù Cristo che chiede che noi diamo la vita per i nostri
amici. Ora io ho esperimentato più volte nel corso della mia ormai lunga
esistenza che non c'è male che non venga portato alla luce, non c'è verità
che non venga svelata .. L'importante è continuare a lottare come se la
verità fosse già fatta e i soprusi non ci toccassero, e il male non trionfasse.
Un giorno il bene risplenderà. A DIO chiediamo la forza di saper attendere,
perché può trattarsi di lunga attesa ...anche fino a dopo la nostra morte.
Io vivo nell'attesa di DIO e capisco che mi pesa meno che ad altri l'attesa
delle cose degli uomini. Vivo calata profondamente in mezzo ai poveri,
ai malati, a quelli che nessuno ama. Mi occupo principalmente di controllo
e cura della Tubercolosi. In Kenya andai come insegnante perché era l'unico
lavoro che, all'inizio di una esperienza così nuova e forte, potevo svolgere
decentemente senza arrecare danni a nessuno. Furono tempi di intensa preparazione
delle lezioni di quasi tutte le materie, per carenza di insegnanti, di
studio della lingua locale, della cultura e delle tradizioni, di coinvolgimento
intenso nell'insegnamento nella profonda convinzione che la cultura è
forza di liberazione e di crescita. Gli studenti, molti della mia stessa
età o appena poco più giovani di me, loro che avevano affrontato il preside
quando si era saputo che una donna insegnante sarebbe arrivata assicurandolo
che mi avrebbero impedito accesso alla classe, furono profondamente coinvolti
e motivati. I risultati furono ottimi tanto che vari studenti di allora
oggi occupano splendide posizioni nei vari Ministeri al Governo, nelle
attività private del paese, e spesso mi giunge eco che tutti gli studenti
del Nord - Est di quei tempi narrano di essere stati miei studenti ed
io la loro insegnante.. cosa naturalmente non vera. Ricordo che quasi
subito dopo il mio arrivo mi innamorai di un bimbo ammalato di anemia
falciforme e di fame.. erano i tempi di una terribile carestia.. ..vidi
tanta gente morire di fame...Nel corso della mia esistenza, sono stata
testimone di un'altra carestia, dieci mesi di fame, a Merca, nel sud della
Somalia, ..e posso dire che si tratta di esperienze così traumatizzanti
da mettere in pericolo la fede. Avevo preso a vivere con me quattordici
bambini con le malattie della fame. Donai subito il sangue a quel bimbo
e supplicai i miei studenti di fare altrettanto.. uno di loro donò e dopo
di lui tanti altri, vincendo così la resistenza dei pregiudizi e delle
chiusure di un mondo che, ai miei occhi di allora, sembrava ignorare qualsiasi
forma di solidarietà e di pietà. E fu forse la mia prima esperienza che
anche in un contesto islamico l'amore genera amore. Ma il mio primo amore
furono i tubercolosi, la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata
in quel mondo. La tubercolosi imperversa da secoli in mezzo ai Somali.
Si pensa che praticamente tutta la popolazione sia infettata. Provvidenzialmente
solo una percentuale delle persone infettate sviluppa la malattia nel
corso della sua esistenza. Ero a Wajir, un villaggio desolato nel cuore
del deserto del Nord - Est del Kenya, quando conobbi i primi tubercolosi
e mi innamorai di loro e fu amore per la vita. I malati di tubercolosi
erano in un reparto da disperati. Quello che più spaccava il cuore era
il loro abbandono, la loro sofferenza senza nessun tipo di conforto. Non
sapevo nulla di medicina. Cominciai a portare loro l'acqua piovana che
raccoglievo dai tetti della bella casa che il governo mi aveva dato come
insegnante alla scuola secondaria. Andavo con le taniche piene, svuotavo
i loro recipienti con l'acqua salatissima dei pozzi di Wajir, e li riempivo
di quell'acqua dolce. Loro mi facevano cenni di comando apparentemente
disturbati dalla goffaggine di quella giovane donna bianca della cui presenza
sembravano volersi liberare in fretta. Tutto mi era contro allora. Ero
giovane e dunque non degna nè di ascolto nè di rispetto. Ero bianca e
dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutti:
bianchi, neri, gialli, appartenenti a qualsiasi nazionalità che non sia
la loro. Ero cristiana e dunque disprezzata, rifiutata, temuta. Tutti
allora erano convinti che io fossi andata a Wajir per fare proseliti.
E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non
esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non valore. Trent'anni
dopo, per il fatto che non sono sposata, sono ancora guardata con compassione
e con disprezzo in tutto il mondo somalo che non mi conosce bene. Solo
chi mi conosce bene dice e ripete senza stancarsi che io sono somala come
loro e sono madre autentica di tutti quelli che ho salvato, guarito, aiutato,
facendo passare così sotto silenzio la realtà che io madre naturale non
sono e non sarò mai.. Subito cominciai a studiare, ad osservare, ero ogni
giorno con loro, li servivo sulle ginocchia, stavo accanto a loro quando
si aggravavano e non avevano nessuno che si occupasse di loro , che li
guardasse negli occhi, che infondesse loro forza...Dopo qualche anno,
nella T.B. Manyatta (villaggio) ogni malato consapevole di essere alla
fine, voleva solo me accanto per morire sentendosi amato. Cominciai a
supervedere i loro trattamenti una volta che erano dimessi dall'ospedale.
La cosa fu risaputa. Non si conoscevano trattamenti portati a termine
nel deserto. Erano tutti defaulters: al 100%. Nel 1976 mi fu chiesto di
diventare responsabile di un progetto dell'OMS per la cura della tubercolosi
in mezzo ai nomadi, un progetto pilota in tutta l'Africa. Mi fu chiesto
di inventare un sistema per garantire che i malati avrebbero preso le
terapie an-titubercolari ogni giorno per un periodo di sei mesi.. Infatti
per la prima volta in Africa, furono applicati i trattamenti a breve termine
per un numero aperto di ammalati, trattamenti che consentono la guarigione
in un tempo di sei mesi mentre fino ad allora per guarire erano necessari
diciotto mesi di farmaci presi ogni giorno . Era il settembre del 1976.
Decisi di invitare i nomadi a fermarsi in un pezzo di deserto di fronte
al Rehabilitation Centre for the Disabled dove lavoravo assieme alle compagne
che nel corso degli anni si erano unite a me, tutte volontarie senza stipendio,
tutte per i poveri e per Gesù Cristo. Assieme a loro avevo dato vita a
un centro dove loro riabilitarono tutti i poliomielitici del deserto del
Nord - Est nel corso di dieci anni. Eravamo una famiglia. Accoglievamo,
oltre ai poliomielitici, casi particolarmente pietosi da curare, riabilitare,
creature particolarmente ferite: ciechi, sordomuti, handicappati fisici
e mentali....i ragazzi crebbero con noi mamme a tempo pieno ed io sono
a tutt'oggi per loro un punto di riferimento costante. Intanto i nomadi
cominciarono a venire con le loro capanne legate sulla groppa dei cammelli.
Smontavano le stuoie , i bacchetti curvi, le corde, e costruivano la capanna.
Per sei mesi l'ingestione dei farmaci era strettamente super-visionata
ogni giorno. Le diagnosi venivano fatte solo con l'esame dello sputo al
microscopio. Le forniture dei farmaci erano assolutamente regolari.. .quasi
un miracolo per l'Africa. Al termine dei sei mesi, arrivava il cammello
o l'intera carovana e il malato guarito se ne tornava nel deserto. Questa
policy che l'OMS chiama DOTS (directiy observed therapy short chemotherapy)
è diventata la global policy dell'OMS per il controllo della tubercolosi
nel mondo ed è applicata in molti paesi dell'Africa, dell'Asia, dell'America
e anche dell'Europa come uno dei migliori mezzi per garantire la compliance
dell'ammalato, compliance senza la quale non esiste guarigione autentica
e senza la quale la piaga della Tubercolosi continuerà ad espandersi nel
mondo intero e sempre più nella forma più tragica che è quella della resistenza
ai farmaci antitubercolari. Quella della T.B. Manyatta fu una grande avventura
d'amore, un dono di DIO. Fu grazie alla T.B. Manyatta, e solo in parte
al Rehabilitation Centre, perché gli handicappati contano ancora meno
dei tubercolosi nel mio mondo, che la gente cominciò a dire che forse
anche noi saremmo andate in Paradiso.. ..Per cinque anni ci avevano sbattuto
in faccia che noi non saremmo mai andate in Paradiso perché non dicevamo
Non c'è DIO all'infuori di DIO e Muhamad è il suo profeta. Poi successe
un episodio grave che mise a rischio la nostra vita e allora la gente
cominciò a dire che sicuramente anche noi saremmo andate in Paradiso.
Poi cominciammo a essere portate come esempio. Il primo fu un vecchio
capo che ci voleva molto bene...”Noi Mussulmani abbiamo la fede”, ci disse
un giorno, “e voi avete l'amore”. Fu come il tempo del grande disgelo.
La gente diceva sempre più frequentemente che loro avrebbero dovuto fare
come facevamo noi, che loro avrebbero dovuto imparare da noi a CARE per
gli altri, in particolare per quelli più malati, più abbandonati.. Diciassette
anni dopo, subito dopo il massacro di Wagalla, un vecchio arabo mi fermò
al centro di una delle strade principali del povero villaggio e profondamente
commosso perché in mezzo ai morti c'erano suoi amici, perché mi aveva
visto quando mi avevano picchiato perché sorpresa a seppellire i morti,
perché lui aveva avuto paura e non aveva fatto nulla per salvare i suoi
mentre io avevo tutto osato e rischiato per salvare la vita dei loro che
erano diventati miei, gridò perché voleva essere sentito da tutti: " Nel
nome di Allah, io ti dico che, se noi seguiremo le tue orme, noi andremo
in Paradiso". A Borama, dove vivo oggi, la gente prega intensamente
perché io mi converta al mussulmanesimo. Anche negli altri luoghi dove
sono stata la gente a un certo punto cominciava a pregare per la mia conversione
al mussulmanesimo. Me ne parlano spesso ma con delicatezza, aggiungono
sempre che comunque DIO sa ed io andrò in Paradiso anche se rimarrò cristiana.
Non vogliono che io mi senta ferita. E poi cercano di farmi sentire "assimilata”
a loro, vicinissima. Mi raccontano ogni hadith in cui il profeta Muhamad
sulle orme di Issa, Gesù, mangiava con i lebbrosi nello stesso piatto,
aveva compassione dei poveri, mostrava amore per i piccoli. Sono tornata
in Italia per un mese a giugno di quest'anno. Mancavo da molti anni. Per
la mia gente laggiù è stato un evento. Molti hanno temuto che qualcuno
o qualcosa mi avrebbero impedito di tornare. Grande è stata la gioia di
rivedermi. E lo sheekh più amato, uno sheekh che è stato e continua ad
essere l'insegnante di Corano per tutti gli altri sheekh della zona, è
subito venuto nel mio ufficio e mi ha detto che, quando ero a Roma..per
loro c'è quasi solo Roma in Italia.., loro erano felici e condividevano
nel pensiero e nella preghiera il mio pellegrinaggio, perché di autentico
pellegrinaggio si trattava. Loro, continuava a ripetermi Sheekh Abdirahman,
giustamente orgoglioso della sua conoscenza, sanno che a Roma sono sepolti
alcuni dei discepoli di Issa, Gesù, il loro grande profeta. Visitare i
luoghi del loro martirio è uno dei pellegrinaggi che ogni mussulmano vorrebbe
fare nel corso della sua vita. Ed è stato così che loro sentivano che
erano loro ad avermi mandato in pellegrinaggio e mi attendevano perché
raccontassi e condividessi. In senso molto più lato, il dialogo con le
altre religioni è questo. È condivisione. Non c'è bisogno quasi di parole.
Il dialogo è vita vissuta, meglio, almeno io lo vivo così, se senza parole.
Dicevo che la tubercolosi è flagello nel mondo somalo. Pensate che a Borama,
un centro con cinquantamila persone, noi abbiamo diagnosticato e trattato
millecinquecento malati all'anno, quasi il 100% con sputo positivo soprattutto
i primi anni. Ora abbiamo il problema dell'AIDS. Sono solo tre anni che
vediamo malati con TBC e HIV , ma il problema sta dilagando. Eravamo scesi
a ottocento malati l'anno scorso, ma la presenza di HIV sta facendo risalire
paurosamente la china. In un paese come la Somalia in cui la tubercolosi
è endemica, la prima infezione opportunistica che gli ammalati di HIV
sviluppano è la tubercolosi. Noi lavoriamo intensamente perché la popolazione
divenga consapevole del problema e lotti dentro e fuori di se perché i
comportamenti vengano cambiati e la diffusione dell'HIV arginata. Cominciai
cinque anni fa con trenta posti letto e un numero sempre maggiore di capanne
per gli ammalati gravi che non potevano trovare un letto in reparto, fino
ad averne più di duecento. Oggi ho duecento posti letto, otto reparti
nuovi che l'UNHCR ha costruito per la nostra gente, un laboratorio costruito
da UNDP…e ancora quasi cento capanne per gli ammalati che non trovano
luogo in cui essere accolti nel villaggio...alcuni vengono da lontano,
dall'Etiopia, da Djibouti, da altre parti del paese.. altri vengono respinti
dalle famiglie a causa dello stigma legato alla malattia. La tubercolosi
è parte della gente, della sua storia, della sua lotta per l'esistenza.
Eppure la tubercolosi è stigma e maledi-zione: segno di una punizione
mandata da DIO per un peccato commesso, aperto o nascosto. A Borama continua
la lotta ogni giorno per la liberazione dall'ignoranza, dallo stig-ma,
dalla schiavitù ai pregiudizi. A tutt'oggi, noi siamo testimoni di gente
che sceglie di non essere diagnosticata, curata e guarita, e che dunque
sceglie di morire PUR di non dovere ammettere in pubblico di essere affetta
dalla Tubercolosi. La lotta viene portata avanti dallo staff prima di
tutto a livello personale. Con il sistema del DOTS, noi vediamo tutti
gli ammalati ogni giorno, ogni giorno parliamo con loro, ogni giorno ci
occupiamo dei loro problemi piccoli e grandi. Ogni giorno discutiamo con
loro di ciò che li tiene schiavi, infelici, nel buio. E loro si liberano,
diventano felici, sono sempre più nella luce. Nel centro T.B. abbiamo
aperto scuole per gli ammalati e i loro amici: una scuola di Corano, una
scuola di alfabetizzazione, una scuola di lingua Inglese. Sono trent'anni
che io mi occupo di scuole: le organizzo, se necessario le costruisco,
le finanzio. La creatura capace di vivere in DIO è sicuramente un evento
di grazia. Resta tuttavia la realtà che con l'educazione l'uomo fiorisce
più facilmente in una creatura capace di vivere in DIO suo creatore e
datore di ogni bene. Gli ammalati arrivano a noi come esseri mortificati,
sofferenti, impauriti, calpestati, infelici. Dopo le prime settimane di
cura, appena si sentono meglio, vorrebbero fuggire e tornare alla boscaglia,
ai loro cammelli, alle loro capre, ai loro campi di miglio. Nella ‘scuola’ dei colloqui con lo staff ogni giorno,
nelle scuole di alfabetizzazione, di Corano, di lingua inglese, acquistano
fiducia, capiscono i motivi della necessità di assumere i farmaci sotto
supervisione, non soffrono più, non hanno più pau-ra....dalla TBC si guarisce
e si diventa forti, ancora più forti dei loro famigliari, dei loro amici
e conoscenti .. ..una volta guariti, la tbc non si diffonderà ai loro
figli, alle loro mogli....prima non sapevano ne leggere ne scrivere..
prima non sapevano quasi nulla della loro religione.. .ora sanno, la conoscono
in traduzione, imparano a capire e ad apprezzare i valori universali del
bene, della verità, della pace, dell'abbandono in DIO...." Allah ha dato,
Allah ha tolto, sia benedetto il nome di Allah".. imparano ad affrontare
la sofferenza fisica e la morte , a non temerle, a non rifiutarle, ad
accettarle.. .ALLAH c'è ALLAH sa, conosce, guida.. .Ne parliamo insieme
ogni giorno, ci consoliamo reciprocamente, troviamo forza e fiducia in
questa consapevolezza acquistata e riacquistata e conquistata ogni giorno..
e la loro vita cambia ..e la nostra vita cambia in una consapevolezza
sempre più profonda, in una capacità di vivere alla presenza di DIO sempre
più autentica. Sei mesi dopo ci sono ammalati che chiedono di poter essere
ammessi a continuare a frequentare il centro per poter completare un corso
di scuola, per poter completare lo studio del Corano..e tutti si sentono
maestri e orgogliosi mostrano agli altri le loro conquiste, i loro raggiungimenti,
la loro crescita in dignità umana. Io intanto condivido la loro vita,
mi occupo di tutti gli aspetti delle loro cure, studio ogni giorno i testi
di medicina per imparare a guarirli, per aggiornarmi, cerco medici e infermieri,
faccio ricerca di fondi perché non ho accesso ai fondi delle ONG, essendo
una persona sola senza organizzazione, servo gli ammalati sulle ginocchia,
faccio molte ore di lezione allo staff infermieristico per renderlo più
sensibile, più attento, più capace di CARE, più capace professionalmente.
Ed è grazie a questo staff sensibile, attento, CARING, che al T.B. Centre
facciamo anche una clinica per gli epilettici e per i malati con disturbi
mentali. Sono gli indemoniati di questo mondo. Ce li portano in catene,
sporchi dei loro escrementi, spesso urlanti....Dopo pochi giorni di cura
e di CARE si liberano dalle catene, cominciano a lavarsi, piano piano
vengono senza accompagnatori a prendere i loro farmaci, lentamente fioriscono
in persone normali. Ed è grazie a due infermiere - ostetriche nel mio
staff e a due sheekhs, i più amati e rispettati che lavorano in stretta
collaborazione con noi, che nella regione portiamo avanti una grossa campagna
per l' eradicazione delle mutilazioni genitali femminili e dell' infibulazione
che nel nostro mondo sono praticate al 100%. Ed è sempre grazie allo staff
veramente unico che noi ci facciamo promotori due volte all'anno di un
Eye Camp. Viene un team di specialisti degli occhi, amici da tanti anni.
Nel giro di quattro giorni operano una media di trecentotrenta ciechi
soprattutto da cataratta usando la lente intraoculare. Durante l'ultimo
camp dell'agosto scorso hanno superato se stessi: hanno infatti restituito
la vista a quattrocentocinquanta ciechi. La gente è infinitamente grata
per questo servizio. Noi riempiamo Borama di bandiere: "Ero cieco ed ora vedo".. ..il nostro
Giovanni, ma loro non sanno. Ma veniamo alla scuola dei bambini sordi.
Quattro anni fa, il primo bambino somalo kenyota non udente dalla nascita
che avevo portato a una scuola con educazione speciale per i sordi in
Kenya quando aveva quattro anni, ormai diventato uomo, venne a trovarmi
a Borama dopo un viaggio avventuroso di quasi un mese attraverso il Kenya
e poi l'Etiopia. Aveva delle sue pene d'amore e aveva sentito l'urgenza
di parlarne con me che gli avevo fatto in qualche modo da mamma e che
l'avevo aiutato a fidanzarsi. Subito decise di rimanere e insieme demmo
vita ad una scuola per i bambini sordi. Ora, in Somalia non c'è' mai stata
Educazione Speciale. Mai è stata aperta una scuola per i bambini sordi,
per i bambini ciechi, per i bambini con handicap mentale. Professori universitari
fino a che hanno visto la nostra scuola non credevano che fosse possibile
educare un bambino sordo. Nessuno qui lo credeva possibile. Oggi tutti
sanno che non c'è nulla che un bambino sordo non possa fare eccetto che
udire, non c'è' nulla che un bambino sordo non possa imparare, non c'è'
nulla che un bambino sordo non possa sentire, non possa capire...certo
si tratta di strada lunga, ma già noi vediamo una luce forse ancora un
po’ pallida, ma in lontananza è una luce così sfolgorante da far scoppiare
il cuore di gioia e di gratitudine nell'anticipazione di quello che sarà
un giorno ormai non più lontano....nuovi cieli e una nuova terra.....Nella
nostra scuola cominciammo con tre bambini sordi, poi cinque, poi otto,
poi dodici.....oggi ne abbiamo cinquantadue ..Cominciammo ad insegnare
in una stanza della casetta che io affitto a Borama, poi costruimmo una
tettoia all'esterno, perché i bambini crescevano, poi costruimmo un'altra
stanzetta nel recinto della casa. Nel frattempo alcuni bambini con handicap
fisico, vittime della polio e della guerra vennero a supplicarci di accoglierli
nella nostra scuola perché avevano paura di frequentare le scuole per
i bambini normali.. . È un mondo duro il nostro, il mondo dei forti....non
esiste uno spazio per i deboli. Decidemmo di accoglierli, dicemmo loro
che, quando avessero acquistato fiducia in se stessi....il fatto di sapere
come gli altri e meglio degli altri avrebbe inevitabilmente dato loro
la forza di ergersi e di sentirsi come gli altri..... avremmo pagato loro
le tasse per frequentare le scuole normali. Impiegammo un ottimo maestro
per loro. Nel frattempo, i primi bambini tbc erano guariti ed erano stati
dimessi e, dopo avere imparato ed essere fioriti nelle scuole del TB Centre,
volevano continuare ad imparare ma molti di loro non avevano il danaro
per pagare le tasse scolastiche. E fu cosi che decidemmo di accoglierli
in classe assieme ai bambini handicappati. Nel frattempo la gente parlava
sempre più di noi, dei miracoli che avvenivano nella nostra scuola. E
fu così che l'Alto Commissariato per i Rifugiati si offrì di costruirci
una vera scuola. Nel 1998 costruirono quattro classi, un ufficio per i
maestri, un piccolo magazzino e i gabinetti. Poi gli amici di Forlì costruirono
altre due classi, poi alcuni amici protestanti inglesi conosciuti per
una serie di circostanze provvidenziali, gente umile e generosa, che mi
prega di non mandare tanti dettagli quando faccio il resoconto di come
ho speso il loro danaro, che mi dice che va tutto bene, che tutto è bello,
che tutto è dono del Signore, costruirono tre classi e due gabinetti,
e poi ancora gli amici di Forlì hanno costruito una classe. Nel pezzo
di terra che la comunità ci diede c'è' ancora posto per una classe. Da
due anni abbiamo accolto trenta bambini appartenenti ad un clan disprezzato
dei Somali: sono i lavoratori del ferro, del cuoio, i barbieri, i cacciatori
di piccola selvaggina. Non hanno mai mandato i loro bambini a scuola.
Sono ghettizzati, le loro figlie non sposano somali di altri clan, i loro
figli non sposano ragazze di altri clan. Loro si ribellano contro DIO
e contro gli uomini per la loro condizione di rifiutati, di disprezzati,
di emarginati. Sono dei grandi lavoratori....È successo che molti di loro
erano malati di tbc, ed è così che hanno avuto l'opportunità di andare
a scuola nel centro TB, di assaporare la bellezza, la grandezza, la gioia
di imparare, di capire, di evolversi, di crescere, di liberarsi.. ed è
così stato spontaneo per loro chiedere che noi accettassimo di educare
i loro figli, questi figli che da secoli cominciano a lavorare che sono
bambini e faticano come nessun altro bambino fatica e si guadagnano il
riso quotidiano con il sudore della fronte. È successo poi che alcuni
intellettuali e poi alcuni ricchi sono venuti a supplicarci di accogliere
i loro figli nella nostra scuola perché è una scuola seria, perché da
noi c'è disciplina, perché i maestri sono impegnati, amano i bambini,
amano l'insegnamento, si preparano....e noi abbiamo deciso di accettarli...
sono pochi. Oggi la scuola è una bellissima mescolanza di bambini di ogni
provenienza, di ogni storia, di ogni capacità. I bambini sordi studiano
naturalmente in classi separate di pochi bambini l'una, ma, durante i
tempi del gioco, i bambini sordi e i bambini “normali” sono insieme ed
è questa una delle esperienze più consolanti, più incoraggianti, più capaci
di donare speranza in un mondo in cui gli uomini vorranno essere e saranno
una cosa sola. Questo dell'UT UNUM SINT è stata ed è l'agonia amorosa
della mia vita, lo struggimento del mio essere. È una vita che combatto
e mi struggo, come diceva Gandhi, mio grande maestro assieme a Vinoba,
dopo Gesù Cristo, che combatto, io povera cosa, per essere buona, veritiera,
non violenta nei pensieri, nella parola, nell'azione. Ed è una vita che
combatto perché gli uomini siano una cosa sola. Ogni giorno al TB Centro
noi ci adoperiamo per la pace, per la comprensione reciproca, per imparare
insieme a perdonare.... oh, il perdono, come è difficile il perdono! I
miei mussulmani fanno anche tanta fatica ad apprezzarlo, a volerlo per
la loro vita, per i loro rapporti con gli altri... loro dicono che la
loro religione è così fudud: così poco esigente. Dio chiede all'uomo,
dicono, di perdonare, ma se poi l'uomo non ne è capace, DIO è misericordioso.
Ogni giorno noi lottiamo per comprendere e far comprendere che la colpa
non è mai da una sola parte ma da ambedue le parti, noi ragioniamo insieme
e ci sforziamo di vedere tutto quello che è positivo nell'altro, noi ci
guardiamo in faccia, negli occhi perché vogliamo che si faccia la verità….il
mio staff ha imparato a ridere dei suoi limiti, delle sue meschinità,
della sua mentalità monetaria, della durezza del loro cuore, della sete
di vendicarsi quando sono feriti : tutte cose, queste, che rendono così
difficile i1 perdono… certamente, dicono, Allah non vuole tutto questo,
anche se Allah è infinitamente misericordioso. Io, da parte mia, da lunghi
anni ho imparato o meglio ho capito nel profondo dell'essere che, quando
c'è qualcosa che non va: incomprensioni, attacchi, ingiustizie, inimicizie,
persecuzioni, divisioni, sicuramente la colpa è la mia, sicuramente c'è
qualcosa che io ho sbagliato. Ai piedi di DIO, la ricerca della mia colpa
è facile, non prende tempo, fa soffrire ma non poi così tanto, perché
è poi così bello e grande riconoscersi colpevoli e combattere perché la
colpa venga cancellata, perché i comportamenti sbagliati vengano riformati,
perché in ogni relazione con gli altri l'approccio divenga positivo..
il nostro compito sulla terra è di far vivere... E la vita non è sicuramente
la condanna, lo ius belli, l'accusa, la vendetta, il mettere il dito nella
piaga, il rivelare gli sbagli, le colpe degli altri, il tenere nascosta
invece la nostra colpa, l'impazienza, l'ira, la gelosia, l'invidia, la
mancanza di speranza, la mancanza di fiducia nell'uomo. La vita è sperare
sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie,
non guardare alle miserie degli altri, credere che DIO c'è' e che LUI
è un DIO d'amore. Nulla ci turbi e sempre avanti con DIO. Forse non è
facile, anzi può essere una impresa titanica credere così. In molti sensi
è un tale buio la fede, questa fede che è prima di tutto dono e grazia
e benedizione.. .Perché io e non tu? Perché io e non lei, non lui, non
loro? Eppure la vita ha senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori
dell'amore. La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato
la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della
guerra. Ho esperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e
dunque nella mia carne, la cattiveria dell'uomo, la sua perversità, la
sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con una convinzione incrollabile
che ciò che conta è solo amare. Se anche DIO non ci fosse, solo l'amore
ha un senso, solo l'amore libera l'uomo da tutto ciò che lo rende schiavo,
in particolare solo l'amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l'amore
fa sì che noi non abbiamo più paura di nulla, che noi porgiamo la guancia
ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché
non sa quello che fa, che noi rischiamo la vita per i nostri amici, che
tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo...Ed è allora che la
nostra vita diventa degna di essere vissuta. Ed è allora che la nostra
vita diventa bellezza, grazia, benedizione. Ed è allora che la nostra
vita diventa felicità anche nella sofferenza, perché noi viviamo nella
nostra carne la bellezza del vivere e del morire. Sento fortemente che
noi tutti siamo chiamati all'amore, dunque alla santità..... la donna
povera di Leon Bloy vagava di porta in porta .. .una mendicante.. ."Non
c'è' che una sola tristezza al mondo: quella di non essere santi".. .ripeteva...Io
amo pensare: non c'è che una sola tristezza al mondo: quella dì non amare...che
poi è la stessa cosa. Certo dobbiamo liberarci di tanta zavorra. Ma ci
sono metodi pratici, ci sono strade, ci sono indicazioni chiare, c'è DIO
nella celletta della nostra anima che ci chiama. Tuttavia la sua è una
piccola silenziosa voce. Noi dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo fare
silenzio, dobbiamo crearci un luogo di quiete, separato, anche se spesso
necessariamente vicino agli altri come una mamma che non può stare troppo
a lungo lontana dai suoi bambini. Infatti per amare non sempre basta il
nostro cuore, il nostro desiderio, la nostra sete di DIO. È parte dell'esperienza
di chiunque decide di mettersi a servizio dei poveri che i poveri non
sono facili da amare e che il cuore dell'uomo, anche di quello che si
dona , può essere misteriosamente molto duro. A Wajir eravamo una comunità
di sette donne, tutte, sia pure in maniera e in misura diverse, avevamo
sete di DIO, e capivamo che quando perdevamo o stavamo per perdere il
senso del nostro servizio e la capacità di amare, potevamo ritrovare i
beni perduti solo ai piedi del Signore. Per questo, avevamo costruito
un eremo e là andavamo per un giorno, o più giorni o per periodi anche
lunghi di silenzio ai piedi di DIO. Là ritrovavamo equilibrio, quiete,
lungimiranza, saggezza, speranza, forza per combattere la battaglia di
ogni giorno prima di tutto con tutto ciò che ci tiene schiavi dentro,
che ci tiene nel buio. Uscivamo di là che ci sentivamo incendiate di amore
rinnovato per tutti quelli che il Signore aveva messo nella nostra strada..
a volte ce lo confidavamo.. .il più delle volte tacevamo .... ma i volti
delle mie compagne erano così belli, così luminosi, che mi narravano tutto
quello che il pudore impediva di comunicarmi con le parole. Poi nel corso
di questa ormai mia lunga vita, ci sono stati altri eremi, altri silenzi,
la parola di DIO, i grandi libri, i grandi amici, tanti e poi tanti che
hanno ispirato la mia vita, soprattutto nella fede cattolica: i padri
del deserto, i grandi monaci, Francesco di Assisi, Chiara, Teresa di Lisieux,
Teresa d'Avila, Charles de Foucauid, padre Voillaume, sorella Maria, Giovanni
Vannucci, Primo Mazzola-ri, Lorenzo Milani, Gandhi, Vinoba, Fina e Maria
Teresa.. ...ma al centro sempre DIO e Gesù Cristo. Nulla mi importa veramente
al di fuori di DIO, al di fuori di Gesù Cri-sto....i piccoli sì, i sofferenti,
io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita, più sono
feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto
agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione,
tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito. È una esigenza
della mia natura. Ma è certo che in loro io vedo LUI, l'agnello di Dio
che patisce nella sua carne i peccati del mondo, che se li carica sulle
spalle, che soffre ma con tanto amore,.. ..nessuno è al di fuori dell'amore
di DIO. Mi sono incolpata
cento volte per avere accettato di venire qui davanti a voi a parlare
della mia vita, sono stata debole ed ho accettato il parere dei miei amici
che sono convinti che, a questo punto della mia vita, quaranta anni dopo,
è giusto e bene condividere con altri i doni di DIO. Ma se questo mio
“mettermi in pubblico” potesse servire a qualcuno che non crede, a qualcuno che non vive dentro di sèquesta
straordinaria realtà che DIO ama ogni uomo, dal più degno di amore agli
occhi degli uomini al più reietto e disprezzato , all'uomo cattivo, criminale..
allora mi metterei in ginocchio e benedirei perché cose grandi ha fatto
in me colui che è potente. L'uomo non buono, l'uomo incapace di perdono,
l'uomo che ama ferire, l'uomo che vuole la vendetta, l'uomo falso non
sono uomini cattivi, incapaci di perdono, falsi necessariamente. Lo sono
perché non hanno incontrato sul loro cammino una creatura capace di comprenderli,
di amarli, di farsi carico delle loro colpe..."Tu hai fatto del male?
Io pagherò al posto tuo". Così diceva Gandhi. Così ci ripete Gesù
Cristo da duemila anni.. .chissà
perché noi uomini siamo così sordi ..... Certo la sua voce è spesso piccola e silenziosa...
ma poi LUI è nella celletta della nostra anima e non dovrebbe essere così
difficile scendere laggiù ed abitare con LUI. Parole? NO. Verità. Realtà. Certo, per la maggioranza di noi
uomini sarà ed è necessario fare silenzio, quiete, chiudere il telefonino,
buttare il televisore dalla finestra, decidere una volta per tutte di
liberarsi dalla schiavitù di ciò che appare e che è importante agli occhi
del mondo ma che non conta assolutamente agli occhi di DIO, perché si
tratta di non valori. Ai piedi di DIO noi ritroviamo ogni verità perduta,
tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era
tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore
non è, appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza
di una vita onesta, sincera, buona , fatta di cose e non di apparenze
, intessuta di bene, aperta agli altri, in tensione onnipresente fortissima
affinché gli uomini siano una cosa sola. È tempo di concludere. Ai Somali
molto ho dato. Dai Somali molto ho ricevuto. Il valore più grande che
loro mi hanno donato, valore che ancora io non sono capace di vivere,
è quello della famiglia allargata, per cui, almeno all'interno del clan,
TUTTO viene condiviso. La porta è sempre spalancata ad accogliere fino
al più lontano membro del clan. La mensa è sempre condivisa. Quello che
è stato preparato per dieci, sarà condiviso con chiunque si presenterà
alla porta con la massima naturalezza. Non ci sono e non ci saranno recriminazioni,
lamenti, vittimismi. È la cosa più naturale del mondo condividere con
i fratelli. Nel mio mondo, a Borama, la piaga è la disoccupazione. Molta
gente non ha mai lavorato nella sua vita perché non ha mai trovato un
lavoro.Ed è così che quel solo che lavora si trova
'costretto’ a condividere con venti-trenta altri che non lavorano
il frutto della sua fatica. Ma lui non lo vive come una ’costrizione’.
Lui lo vive con naturalezza. Laggiù condividere fa parte dell'esistenza.
E poi quella loro preghiera cinque volte al giorno.... l'interrompere
qualsiasi cosa si stia facendo, anche la più importante, per dare tempo
e spazio a DIO. Da quando sono con loro, sono trent'anni che io mi struggo
perché anche nel nostro mondo noi fermiamo i lavori, ci alziamo se dormiamo,
interrompiamo qualsiasi discorso per fare silenzio e ricordarci di DIO,
meglio se assieme ad altri, per riconoscere che da LUI veniamo, in LUI
viviamo, a LUI ritorniamo. MA il dono più straordinario, il dono per cui
io ringrazierò DIO e loro in eterno e per sempre, è il dono dei miei nomadi
del deserto. Mussulmani, loro mi hanno insegnato la FEDE, l'abbandono
incondizionato, la resa a DIO, una resa che non ha nulla di fatalistico,
una resa rocciosa e arroccata in DIO, una resa che è FIDUCIA e AMORE.
I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare,
tutto operare nel nome di DIO. BISMILLAHI RAHMANI RAHlM.. ..Nel nome di
DIO Onnipotente e Misericordioso...Ci si alza nel nome di DIO, ci si lava,
si pulisce la casa, si lavora, si mangia, si lavora ancora, si studia, si parla, si
fanno le mille cose di ogni giornata,
e finalmente ci si addormenta : TUTTO nel nome di DIO. La consuetudine del nome di DIO ripetuto
incessantemente che già aveva sconvolto e affascinato la mia vita con
i racconti del pellegrino russo prima della mia partenza, ha trasformato
la mia vita permanentemente. Rendo GRAZIE ai miei nomadi del deserto che
me l'hanno insegnato. Poi la vita mi ha insegnato che la mia fede senza
l'AMORE è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti
comandamenti ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee,
ne cerimonie nè pellegrinaggi... che quell'Eucarestia che scandalizza
gli atei e le altre fedi, racchiude un messaggio rivoluzionario: "Questo
è il mio corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli
uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva
ma mangi la tua condanna". L'Eucarestia ci dice che la nostra religione
è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia
che il cielo incontra la terra. Se non amo, DIO muore sulla terra, che
DIO sia DIO io ne sono causa, dice Silesio, se non amo, DIO rimane senza
epifania, perché siamo noi il segno visibile della Sua presenza e lo rendiamo
vivo in questo inferno di mondo dove pare che LUI non ci sia, e lo rendiamo
vivo ogni volta che ci fermiamo presso un uomo ferito. Alla fine, io sono
veramente capace solo di lavare i piedi in tutti i sensi ai derelitti,
a quelli che nessuno ama, a quelli che misteriosamente non hanno nulla
di attraente in nessun senso agli occhi di nessuno. Luigi Pintor, un cosiddetto
ateo, scrisse un giorno che non c'è' in un'intera vita cosa più importante
da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.
Così è per me. È nell'inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro
possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove
mai avevano camminato che io trovo pace, carica fortissima, certezza che
TUTTO è GRAZIA. Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli
che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di DIO,
i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro
e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d'acqua
nell'oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato
solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre...
I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all'immaginazione
di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel campo del servizio.
Inventiamo.. e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra
vita. Annalena Tonelli. |