la S.V. e gentile consorte al concerto di musica
Sarà nostro particolare
piacere accogliervi nella data di Busseto, ma è nostra premura
ricordarvi della presenza del Governatore nella data del
7 Aprile ore 21.00
presso la Chiesa del Santo Sepolcro a Parma, centro città
verrà offerto un rinfresco
a tutti i soci del Kiwanis International unitamente agli
artisti della serata.
Per
informazioni:
uff.
Presidente,str. Ponte Caprazucca, 5 - 43100 Parma tel.
329-7143950 - Fax 0521-504715
E-mail :
info@kiwanis-parma.org
www.kiwanis-parma.org
*************
JACOPONE da TODI
(1233 ca. - 1306)
Potente personalità di
frate francescano, in lotta con la corrotta chiesa
"ufficiale" (fu scomunicato e incarcerato da Bonifacio VIII),
Iacopone è anche e soprattutto grande poeta, capace di
coniugare la raffinata formazione letteraria giovanile con
un'adesione potente e istintiva all'espressione della
religiosità popolare.
La sua celeberrima
lauda drammatica Donna de paradiso è il primo esempio
veramente grande di teatro - teatro religioso, ma pur sempre
teatro - in volgare italiano, e tratta proprio, anche se con
ben più drammatici accenti, la stessa scena della Madonna ai
piedi della croce che troviamo nella sequenza, nello Stabat
Mater.
La sequenza, in
generale, è un genere fiorito nel medioevo a partire dal X
secolo ca., un componimento poetico di libera, e spesso
splendida invenzione (come testimoniano le sequenze di
Wipone, di Adamo di San Vittore, di Tommaso da Celano)
destinato a "farcire" la liturgia ufficiale (ad esempio l'Alleluja
della messa) e in molti casi dotato di melodie originali
straordinariamente belle.
Nel Cinquecento il
rigorismo liturgico del Concilio di Trento condannò molti di
questi autentici tesori della melica e della spiritualità
medievale all'uscita dai libri dei celebranti, salvando però
le sequenze più belle e popolari, fra cui, oltre allo Stabat
Mater, citeremo almeno il Dies Irae (testo attribuito a
Tommaso da Celano.
Quanto allo Stabat
Mater, era destinato alla messa mariana dei Sette Dolori, ma
nel 1727 papa Benedetto XIII stabilì che venisse usata nella
liturgia delle ore del venerdì santo (attualmente, comunque,
il breviario la colloca nella festa mariana
dell'Addolorata).
La situazione liturgica
(o paraliturgica) e la bellezza dei versi raccomandano da
secoli questo testo all'attenzione dei compositori.
Un florilegio dei più
celebri Stabat Mater della storia della musica colloca
accanto nomi lontani nel tempo e nello spazio: dalla quieta
e severa ma eloquente intonazione polifonica di Giovanni
Pierluigi da Palestrina a Giovan Battista Pergolesi, il cui
Stabat Mater (1736) si spinse rapidamente fino agli estremi
d'Europa, come spinto da un calore d'espressione veramente
da grande musica italiana; dalla limpida e soave lettura
cameristica di Luigi Boccherini a quella "teatrale" fino
all'oltranza di Gioachino Rossini, allo Stabat Mater di
Giuseppe Verdi (è uno dei Quattro Pezzi Sacri) che
rinverdisce attraverso un'intuizione sorprendentemente
moderna antiche fonti di melos gregoriano.
Il XX secolo ha visto
tutt'altro che in declino, anzi, la fortuna fra i
compositori della sequenza di Jacopone, musicata, fra gli
altri, da Karol Szymanowski, Virgil Thompson, Francis
Poulenc, Krzysztof Penderecki, Arvo Paert, il cui Stabat
Mater nell'esecuzione dell'Hilliard Ensemble è stato uno
degli autentici "casi" e netti successi, anche discografici,
della musica colta contemporanea.
GIOVANNI BATTISTA
PERGOLESI (Jesi 1710 - Napoli 1736)
Una vita brevissima, una
meteora nel panorama musicale italiano della prima metà del
Settecento. Eppure Giovanni Battista Pergolesi rappresentò
il primo caso musicale europeo: la leggenda ed il mito si
sostituirono alla storia, talvolta non rendendo giusto
merito alla grande vena creativa del giovane marchigiano.
La sua vicenda umana, del
resto, molto si prestò all’adagio oleografico: nato da
famiglia umile ed assillata dai debiti, minato nella salute,
lontano da ogni affetto, morto in solitudine in un convento
a soli 26 anni. Una biografia che invita al mito, e per
decenni l’agiografia non ha fatto giustizia di un musicista
dalla grande inventiva, che con “La serva padrona” inaugurò
un genere musicale nuovo, l’opera buffa che avrebbe avuto
più avanti massima espressione in Mozart e Rossini.
Nato a Jesi da famiglia minata dalla tubercolosi (i fratelli
tutti morti in tenerissima età, morti giovani anche i
genitori) e colpito da poliomelite che gli offese una gamba,
Giovanni Battista sin da bambino fu avviato in ambiente
ecclesiastico allo studio della musica, divenendo precoce e
valente violinista. Questo gli permise di frequentare come
musico i salotti della nobiltà jesina, e di ottenere l’aiuto
di alcune famiglie abbienti per andare a studiare, intorno
al 1723, nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo a
Napoli.
Per la capitale del regono
delle Due Sicilie erano anni di grandi mutamenti e di grande
fervore culturale. Napoli era l’incrocio delle culture e,
per la musica, il palcoscenico di ogni nuova proposta.
Pergolesi respirò pienamente quest’aria culturale,
assimilando soprattutto gli stimoli al nuovo, tanto che
nella sua prima composizione eseguita in pubblico nel 1731 a
Sant’Agnello maggiore “Li prodigi della Divina Grazia nella
conversione e morte di S.Guglielmo duca d’Aquitania” insieme
allo stile barocco ancora tipico del dramma sacro, inserì
una sconosciuta ma irresistibile vena comica, che ritroviamo
successivamente nel suo primo grande successo, “Lo frate
‘nnamorato” in scena al Teatro dei Fiorentini di Napoli nel
1732.
Un successo pieno, sottolineato dalle diverse riprese del
titolo e dai grandi riconoscimenti dei quali il giovane
Pergolesi divenne oggetto, non ultima la nomina a organista
della Cappella Reale e, due anni più tardi, a maestro
sostituito con diritto di successione della Cappella
musicale.
Prolifico la sua attività:
oratori, operine, cantate, musica sacra e strumentale. Nel
1733 musicò “Il prigioniero superbo”, opera seria in scena
nell’agosto. Ma la vera fama gli pervenne con “La serva
padrona”, opera buffa destinata non solo a eternare la
musica del Pergolesi, ma a divenire filone musicale sullo
scenario non solo napoletano.
Protetto da nobili famiglie filoaustriache, in particolar
modo i Caracciolo e i Maddaloni, al rovesciamento del
governo napoletano, Pergolesi le seguì a Roma dove
rappresentò (maggio 1734) la “Messa in fa maggiore “ in San
Lorenzo in Lucina, operazione che gli precluse le simpatie
del nuovo governo dei Borboni.
Di nuovo a Napoli, nell’ottobre 1734 presentò nel Teatro San
Bartolomeo “Adriano in Siria” (libretto di Metastasio). Nel
gennaio successivo andò in scena a Roma “Olimpiade”, ancora
su libretto di Metastasio. Minata dalla tubercolosi, la
salute del Pergolesi andò peggiorando, tanto da consigliare
il soggiorno a Pozzuoli per godere del clima più mite.
Ospite del Convento dei Cappuccini, si dedicò
particolarmente alla musica sacra, ed ecco due grandi
compisizoni, il “Salve Regina” e lo “Stabat Mater”, su
commissione dell’Arciconfraternita della Vergine dei Dolori
per sostituire l’opera di Alessandro Scarlatti.
Lo “Stabat”, destinato con
“La serva padrona” ad eternare la sua fama, fu completata da
Pergolesi poco prima della morte, avvenuta il 17 marzo 1736.
Fu sepolto nella fossa comune della cattedrale di Pozzuoli.
Le sue cose furono vendute per pagare i funerali. Aveva
soltanto 26 anni. La morte prematura, la prolifica
produzione, il fascino di quella musica nuova, consegnarono
il suo nome, fin’allora ristretto fra Napoli e Roma, alla
fama europea.