Così
scrive Enrico Villa, Direttore Responsabile della Rivista di cultura
kiwaniana
Nessuna
pietà. Due colpi di revolver alla nuca, forse una raffica di
kalashnikov, esecutori due morian, i banditi somali.E il mondo,
davanti alla spietata esecuzione di Annalena Tonelli, un angelo di
dolcezza che alla Somalia aveva dato tutto, è rimasto attonito. I mass –
media, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, hanno pubblicato articoli
e analisi, una volta tanto con rispettosa compostezza. Ma a colpire
impotenti davanti alla barbarie e alla ferocia sono state le grandi
fotografie nelle prime pagine dei grandi quotidiani di Annalena: occhi di
un azzurro profondo in un volto incorniciano dal suo scialle inseparabile,
portato – diceva – per rispetto delle donne di laggiù.
Per i
kiwaniani, increduli, è come se all’improvviso fosse volata via una
sorella. Non nelle cornici consuete, cui siamo abituati, talvolta non
reggendo alla noia della civiltà, ma nell’inferno dell’ospedale di Borama
dove, trascinati in catene perché considerati indemoniati, gli epilettici
ritrovavano la loro umanità. E così gli ammalati di Aids sempre più
consumati nel fisico e nella psiche che, grazie a quegli occhi, riuscivano
a superare crisi terribili e – ha del miracoloso – a percepire di nuovo,
magari per un istante, il gusto dell’esistere.
All’inizio
dell’estate, quando Annalena Tonelli venne in Italia, nella sua Forlì che
aveva lasciato trent’anni fa, dopo la laurea in legge,con l’umiltà di cui
sono capaci gli esseri che dentro hanno la santità, ripeteva agli amici
kiwaniani che per le circostanze internazionali non sempre sono riusciti
a darle quanto avrebbero voluto: ”Sola, ho scelto di vivere per gli
altri”. E questa stessa frase si ritrova in una lunga “intervista –
testimonianza” pubblicata nel novembre dello scorso anno, nell’inserto del
primo numero della rinnovata serie di “Kiwanis rassegna di cultura”.
Quanto lei disse in quella “intervista-testimonianza” e, poi, ai
giornalisti di “Specchio”, di “Oggi”, di giornali tedeschi e francesi, va
ancor più meditato adesso: a poche ore dal suo assassinio. Nessuna
invettiva (che non è certo segno di coraggio) come lei avrebbe continuato
a sommessamente insegnare, accettando il male che la circondava e che, con
tenacia disarmante, cercava di combattere inerme, armata solo dalla sua
fede nell’umanità, o di superare perché gli altri conoscessero solo il
bene. Nessuna rassegnazione o improvviso disinteresse scoraggiato per quel
Paese sfortunato che si chiama Somalia. Ma – è l’impegno di chiunque si
identifichi nello spirito kiwaniano e che sia nemico della retorica –
programmi rinnovati di aiuti nel nome di Annalena Tonelli e perché la sua
opera, in silenzio ma tanto concreta, prosegua a Morca, a Borama e in ogni
angolo della Somalia dove le scuole, gli ospedali, la lotta al dolore, la
dignità e il rispetto delle donne e degli uomini fioriscano come tante
rose vermiglie, segno di coraggio, determinazione, speranza, amore. Questa
è la strada che il Kiwanis, in Italia come in Europa, in America come in
Africa, si impone e cercherà di percorrere nel modo più produttivo
possibile con un unico obiettivo: lenire la sofferenza; dare la speranza a
chi l’ha persa come, assassinando Annalena Tonelli l’hanno smarrita i due
morian che, con la ferocia di belve, hanno freddato quella piccola
donna indifesa, ma dalla volontà di acciaio perché gli altri possano
continuare a vivere.
Enrico Villa
Annalena
Tonelli, assassinata lunedì a Borana, nell’ospedale da lei fondato che aveva
appena avuto il permesso di ampliare dalle autorità del Somaliland, sarà
sepolta in terra d’Africa, forse a Mogadisco. Questo era il suo desiderio,
confermato dal vescovo di Gibuti e Mogadiscio, l’italiano monsignor Giorgio
Bertin.
La polizia
locale ha anche arrestato tre somali che potrebbero essere gli assassini. Su
uno in particolare, ex degente dell’ospedale di Borana, sarebbero ricaduti i
sospetti:carattere irrequieto e introverso, da due anni insisteva per essere
assunto nell’ospedale, dove lavorano medici e paramedici di eccellente
professionalità. Ma egli aveva sempre avuto un diniego, dal momento che gli
organici erano completi. Semmai se ne sarebbe parlato ad ospedale ampliato.
Il “Corriere
della sera” ed altri importanti mass-media europei e statunitensi
accreditano questa tesi che, indipendentemente da ogni altra
considerazione,sarà comprovata, o meno, dalla polizia del Somaliland. La
giustizia, speriamo, farà il suo corso.
Tuttavia,
dopo l’assassinio di Annalena Tonelli e i modi in cui è avvenuto, non
importa tanto sapere chi è, o sono, gli assassini. Piuttosto importa quello
che ha dichiarato il vescovo di Gibuti e Mogadiscio, Bertin e che le
ammalate, gli ammalati, i piccoli affetti da tubercolosi e le altre gravi
malattie, o che stavano lasciandosi alle spalle l’analfabetismo vogliono:il
raddoppio e la ulteriore diffusione delle strutture assistenziali,
nell’assoluto rispetto delle popolazioni locali(moltissimi i
nomadi)conseguenza dell’0pera trentennale di Annalena Tonelli, nata a Forlì
il 2 aprile 1943, laureatasi in legge ma che, per aiutare concretamente e
silenziosamente i suoi amici somali,aveva seguito innumerevoli corsi di
medicina. Questo tour de force di apprendimento ricorda la vicenda,
ormai leggendaria, dei “medici scalzi” cinesi.E prova anche come, con la
volontà caparbia di imparare per gli altri, si riescano a mettere a punto
efficaci “protocolli di cura” in lande desolate dove, fra le altre
perniciose malattie, impera la tubercolosi.
Il “dottore”
Annalena Tonelli, come la chiamavano i somali, in particolare i nomadi della
terra di Borana, era riuscita a convincere gli adulti nomadi a staccarsi
momentaneamente dai loro figli e a lasciarli negli ospedali da campo,
proprio per curare la tubercolosi. Il metodo era stato approvato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Onu: la maggior parte dei
bimbi guariva in sei mesi, come ha raccontato il settimanale “Oggi” nello
scorso mese di luglio con un servizio-intervista da Forlì, in occasione del
conferimento ad Annalena Tonelli del conferimento del “Premio Nansen”(il
Nobel della solidarietà) da parte dell’Alto Commissariato dell’Onu per i
rifugiati.
Ma, davvero
al di là della retorica e delle parole solo roboanti e vuote di significato,
cerchiamo di inquadrare il contesto nel quale Annalena Tonelli ha vissuto
per un trentennio, prima a Merka e dopo il 1995 a Borana realizzando cose
che hanno davvero del miracoloso: da sola, spesso avversata da numerose
istituzioni locali e internazionali, avvalendosi delle scarse risorse che
con assoluta fiducia nella Provvidenza riusciva a raccogliere anche – lo
sottolineiamo – con l’aiuto del Kiwanis – Distretto Italia e del Kiwanis
International. ”Medici senza frontiere”, premio Nobel per la pace del 1999 e
il Kiwanis, proprio nell’ultimo anno, con il titolo “La Somalia oltre la
guerra” hanno promosso ed organizzato una mostra itinerante che ha toccato
le località più importanti del nostro Paese. Ma – e l’assassinio di Annalena
Tonelli è una testimonianza eloquente “Somalia oltre la guerra”, anche
titolo di un service distrettuale che prosegue, continua a rimanere una
grande speranza.
La situazione
sociopolitica e diplomatica del Paese è intricatissima. E, per rendersene
conto, basterebbe soffermarsi su quanto ha scritto nella sua edizione di
martedì 7 ottobre “Il Sole-24 ore” riportando una dichiarane della Tonelli:All’inizio
dei mio lavoro in Somalia, con qualche dollaro riuscivo a sfamare decine di
persone. Quando, però, l’odore del denaro fu avvertito dai “Signori della
guerra”(leggi, in particolare i banditi morian) tutto cambiò.E le cose si
aggravarono con l’entrata in campo di istituzioni internazionali di dubbia
fama nonostante la tutela morale e l’aiuto da parte della Caritas, come è
noto cattolica. A quel punto taglie, minacce, “pizzi” come diremmo in
Italia, tangenti, resero necessari fiumi di denaro. E l’incolumità
personale fu attaccata sempre più ad un filo. Quando Annalena Tonelli lasciò
Morka le strutture che, contro tutto e tutti, aveva creato per i bambini
sordomuti, epilettici, handicappati furono dirette da un medico, la
dottoressa Gabriella Fumagalli. Ma anche Gabriella Fumagalli fu uccisa dai
“signori della guerra” ancora “più inferociti” da una carestia che fece
morire decine di migliaia di esseri, in gran parte bambini al di sotto dei
cinque anni. E non crediamo di uscire dall’argomento se ricordiamo che la
scia di sangue proseguì con l’assassinio di Ilaria Alpi, collega giornalista
andata in Somalia per raccontare al mondo quanto stava accadendo e di tanti
altri che, somali, purtroppo sono stati inghiottiti dalla disattenzione,
sempre frettolosa dell’Occidente.
Il “Corriere
della Sera” di mercoledì 8 ottobre, nella bella pagina dedicata alle “tante
altre Somalie”(Uganda, Zambia,Mozambico, Guatemala) e significativamente
intitolata “Una vita per gli altri in silenzio” accenna a quanto sarebbe
accaduto a Borana pochi giorni prima dell’assassinio di Annalena Tonelli:un
forte dissenso fra lei, che già vedeva nella sua immaginazione l’ospedale in
funzione e il mullah(sacerdote islamico)Hassan il quale si opponeva
all’ampliamento del nosocomio,oggi con trecento letti e il cui funzionamento
costa 20.000 dollari al mese, tanto è vero che il premio datole dall’Onu di
150.000 dollari è, purtroppo, già stato “bruciato”. Un ospedale più grande
con la possibilità di moltiplicare le cure a migliaia di persone all’anno
significava far perdere potere all’Islamismo fondamentalista locale – come
evidenzia lo stesso “Corriere della Sera”-;Islamismo che Annalena Tonelli,
spirito laico e indipendente pur nella sua rigorosa visione francescana
della vita ha sempre rispettato, tanto è vero che i suoi innumerevoli,
poveri amici somali avrebbero desiderato che si facesse mussulmana. Miglior
testimonianza di tolleranza e di convivenza, da applicare anche in
Occidente, non poteva essere resa!
Ritorniamo,
tuttavia, al vescovo di Gibuti e di Mogadiscio momsignor Giorgio Bertin e al
titolo veramente pertinente del “Corriere della Sera” sempre di mercoledì 7
ottobre: ”Il vescovo di Gibuti:l’ospedale di Annnalena non morirà”.In queste
parole, semplificate dalle esigenze giornalistiche, è ben sintetizzato il
programma che, in memoria di Annalena Tonelli, sta davanti a tutti noi:
L’ospedale di Borana - ampliato ad almeno 500 letti, con una migliore
sistemazione del “TBC centre” che assiste 1.500 persone all’anno, del Centro
contro la cataratta dove medici tedeschi operano 3.700 persone
all’anno,nonché del centro per cercare di stroncare la mortale malattia
prodotta dalla tubercolosi più la immunodeficienza - deve diventare al più
presto realtà.
L’Onu –
questo è l’augurio – metterà a disposizione parte delle risorse finanziarie.
Ma, proprio nel contesto del service “Somalia oltre la guerra “ i soci del
Kiwanis dovranno dare un robusto apporto di denaro sperando che,
altrettanto, facciano gli altri clubs di servizio nella visione ecumenica e
laicamente umanitaria di Annalena Tonelli. Essa va fatta prevalere, e
urgentemente , soprattutto a Borana ma in ogni lembo di questo nostro globo
dove tanta, troppa gente, soffre e ha bisogno di pace e di solidarierà, come
ha appena invocato a Pompei Giovanni Paolo II.
Enrico
Villa
AFRICA
Somalia, uccisa volontaria italiana
Annalena Tonelli era impegnata da trent'anni sul fronte
profughi, prima in Kenya, poi per vent'anni in Somalia. Da tempo
riceveva minacce: è stata colpita a morte nella sua abitazione.
MOGADISCIO – E’
stata uccisa nella terra a cui aveva dedicato gli ultimi vent’anni della
sua vita. Annalena Tonelli, volontaria italiana, è morta in Somalia,
dove aveva fondato e dirigeva un ospedale con duecento posti letto. In
quel nosocomio, nella provincia di Somaliland, autoproclamatasi
indipendente nel ‘91, aveva curato diversi malati di tubercolosi.
Un
colpo di fucile ha messo fine alla sua vita, proprio nel Paese al quale
aveva offerto la sua dedizione e il suo spirito di abnegazione. La
volontaria è stata uccisa nella sua abitazione di Barama (nord-ovest del
Somaliland), vicino all’ospedale che aveva fondato.
Ma
proprio per la sua attività potrebbe essere finita nel mirino. Secondo
quanto riferito da Vanni Sansovini, presidente del Comitato per la lotta
contro la fame nel mondo di Forlì, Annalena riceveva continuamente
minacce.
“L’hanno uccisa due ragazzi – ha spiegato Sansovini, riferendo di avere
ricevuto la notizia della sua morte dal fratello della volontaria -.
Sono entrati nella sua casa, a Barama e le hanno sparato con il fucile.
Purtroppo, nonostante tutto quello che faceva, era da sempre contestata.
Senza una ragione chiara. E’ il fondamentalismo che l’ha uccisa. In
certe parti del mondo – aggiunge il presidente del Comitato contro la
fame nel mondo di Forlì – quando una persona si spende c’è chi la vede
bene e chi la vede male. L’hanno accusata di tutto, anche di aver
portato l’Aids in quelle terre. E’ tutto assurdo. Non c’è un perché”.
Eppure se si scava un po' nel suo passato e si guarda all'impegno messo
nella sua attività, si scopre che quel lavoro in alcuni casi non è
andato a genio a molti.
I suoi “guai” – riferisce
Sansovini, riportando i racconti della stessa Annalena Tonelli –
cominciarono nel 1984, quando una “coalizione di tutte le forze armate
keniote aveva deciso di commettere il genocidio un’intera tribù di
somali, quella dei Daigodia, a Wajir, nelle regioni settentrionali della
nazione”. Annalena riuscì a far giungere la notizia dei massacri tramite
un messaggero che portò foto, cucite tra i pantaloni, all’Amref, ai
medici che riuscirono grazie alle informazioni e alla documentazione
ricevuta tramite la Tonelli a fermare la strage, che aveva già provocato
mille vittime. Espulsa dal Kenya, arrivò in Somalia, dove ricevette
numerose minacce, di cui parlava in alcune e mail a parenti e amici.
Nata a Forlì il 2 aprile del 1943, Annalena era impegnata nell’aiuto ai
profughi da quasi trent’anni e aveva operato prima in Kenya, poi in
Somalia e poi ancora nella provincia del Somaliland. “Una santa”, la
definivano in molti per l’opera che svolgeva; “la vecchia signora del
deserto” era soprannominata da altri per la sua storia: laurea in legge,
abilitazione per insegnare lingua inglese e infine il conseguimento di
una serie di diplomi in materie mediche, malattie tropicali, nefrologia.
Il suo lavoro era stato coronato da due gloriosi tributi: lo scorso
aprile aveva ricevuto il “Nansen Refugee Award”, un premio, il più
importante, assegnato a chi si occupa di profughi e rifugiati. Il primo
giugno scorso il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi le
aveva conferito l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al merito
della Repubblica italiana (Onmri).
(6 OTTOBRE 2003; ORE 12:50)
Missionaria
uccisa in Somalia
MOGADISCIO — Annalena Tonelli , 60 anni, famosa
missionaria italiana nel Somaliland è stata uccisa nella sua casa
a Borama. La donna, originaria di Forlì, gestiva un ospedale di
350 posti in una delle zone più remote del paese africano. Due
persone armate di fucile l'hanno attesa vicino alla porta della
sua abitazione, l'hanno immobilizzata e l'hanno giustiziata con un
colpo alla nuca. La Tonelli è morta poco dopo il ricovero nel suo
ospedale. Non si conoscono i motivi dell'aggressione. Annalena
Tonelli viveva in Africa da 34 anni, prima in Kenia e poi in
Somalia. La donna era tornata in Italia nel giugno scorso per
ritirare il premio Nansen, il prestigioso riconoscimento che
l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'Onu assegna a chi si
distingue nell'opera per i più diseredati. Nell'occasione le fu
chiesto se avesse paura. Rispose: «Mi hanno sparato, mi hanno
picchiata, ma io continuerò nel mio lavoro».
MOGADISCIO - Era chiamata
la madre Teresa della Somalia per la sua instancabile dedizione alla causa
dei malati e dei poveri nel paese africano martoriato da guerre e lutti. E
proprio in Somalia, paese che aveva scelto come sua seconda patria e in
cui lavorava da 20 anni, ha trovato ieri la morte Annalena Tonelli, 60
anni, volontaria originaria di Forlì assassinata in una povera casupola di
Barama (nord ovest del Somaliland) dove abitava vicino all´ospedale che
aveva fondato.
La Madre Teresa
dfella Somalia
La «Madre Teresa della Somalia» è stata ferita a colpi di arma da fuoco da
sconosciuti che l´hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è
morta un´ora dopo. Sembra che dalla sua casa non sia stato portato via
nulla e la polizia parla dell´opera di un «pazzo»; ma pochi danno credito
a questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e dirigeva a Borama (Somaliland)
un ospedale con 200 posti letto specializzato soprattutto alla cura della
tubercolosi.
Per la sua opera aveva ricevuto lo scorso aprile dall´Unhcr il «Nansen
Refugee Award», il più importante premio che viene assegnato a coloro che
si occupano di profughi e rifugiati. «La signora del deserto», come era
soprannominata, da 36 anni, dopo la laurea in legge, l´abilitazione all´insegnamento
della lingua inglese e il conseguimento di vari diplomi in materie
mediche, malattie tropicali, nefrologia, aveva scelto di assistere gli
adulti e i bambini emarginati. «Volevo partire per l´India, ma la mia
famiglia non volle», spiegò dopo la notizia del conferimento del premio
Nansen 2003. Andò allora negli Stati Uniti, quindi in Inghilterra «e
finalmente arrivai in Africa: avevo 25 anni». La volontaria arrivò in
Kenya, la prima tappa, dove cominciò la sua opera sempre a favore di
popolazioni somale.
I suoi guai - racconta Vanni Sansovini, il presidente del Comitato per la
lotta contro la fame nel mondo di Forlì, la città natale di Tonelli -
iniziarono quando una «coalizione di tutte le forze armate kenyane aveva
deciso di sterminare un´intera tribù di somali, quella dei Daigodia, a
Wajir, nelle regioni settentrionali della nazione». I militari assediavano
la città, lei riuscì a inviare un messaggero con informazioni e foto di
cadaveri cucite nei pantaloni all´Amref, una fondazione africana per la
medicina e la ricerca che si serve dei cosiddetti «flying doctors», medici
che si spostano da un villaggio all´altro a bordo di piccoli velivoli.
Fu anche espulsa
dal Kenya
Questi medici riuscirono a diffondere la notizia e a fermare il massacro,
che comunquè costò la vita a mille persone. «Lei riuscì a fare questo -
dice il presidente del Comitato forlivese - e fu espulsa immediatamente
dall´allora governo del Kenya. Dovette lasciare il paese in 24 ore». Da
sette anni lavorava a Borama, in un ospedale con 500 pazienti per la cura
di tubercolosi e dell´Aids, vivendo in assoluta povertà, mangiando lo
stesso cibo dei pazienti, senza possedere nulla. Si opponeva con tutte le
forze anche alla mutilazione genitale femminile, ancora diffusissima in
Africa. Aveva accettato il premio Nansen, spiegò la stessa Annalena, come
riconoscimento per chi l´ aveva aiutata: il Comitato, la mamma, la
famiglia. E i 100 mila dollari del premio li aveva utilizzati per
l´ospedale. «Sono grata all´Unhcr per aver voluto concedere l´attenzione
alla mia amata Somalia - aveva detto ricevendo il premio - adesso posso
dare voce a una popolazione che non ha voce».
Annalena Tonelli non considerava la sua vita un sacrificio. «Non è
sacrificio, è pura gioia. Chi altri al mondo ha una vita così
meravigliosa?», aveva detto all´inizio di quest´anno.
ROMA - «Annalena era una
donna straordinaria e arrivò in Africa quasi per sbaglio»: lo afferma
padre Alex Zanotelli, ex direttore del mensile "Nigrizia". Annalena
Tonelli aveva infatti raccontato al mensile comboniano che il suo sogno
era l'India, ma la sua famiglia non aveva voluto, e così era partita per
il Kenya. «Pensavo fosse solo un Paese da turisti» disse all'epoca la
volontaria. Ma proprio in Kenya, per la prima volta, ebbe a confrontarsi
con la violenza. «Negli anni '80 - ricorda padre Zanotelli - venne espulsa
per aver denunciato uccisioni e scongiurato il massacro di alcune
popolazioni nomadi da parte del governo di Nairobi. E così finì in Somalia».
Nairobi
In Somalia, paese che ...
Nairobi
In Somalia, paese che aveva scelto come sua seconda
patria e in cui lavorava da 20 anni, domenica ha trovato la morte
Annalena Tonelli, 60 anni, volontaria originaria di Forlì. E' stata
assassinata in una povera casupola di Barama (nord ovest del
Somaliland) dove abitava vicino all'ospedale che aveva fondato. La
donna, che era chiamata la madre Teresa per l'instancabile dedizione
ai malati, è stata ferita a colpi di arma da fuoco da sconosciuti che
l'hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è morta un'ora
dopo. Dalla sua abitazione non è stato portato via nulla e la polizia
che indaga sull'assassionio parla dell'opera di un "pazzo", ma pochi
danno credito a questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e
dirigeva a Borama un ospedale con 200 posti letto specializzato
soprattutto alla cura della tubercolosi. Per la sua opera aveva
ricevuto lo scorso aprile dall'Unhcr il "Nansen Refugee Award". La
morte di Annalena Tonelli ha suscitato grande indignazione nel
territorio, dove la volontaria italiana era considerata una santa.
Tempo fa aveva dato disposizioni per essere
«Il
mio privilegio è dedicarmi a chi soffre sotto qualsiasi cielo»
Il Cairo
«Dedico la medaglia a mia madre, alla mia famiglia, ai miei amici che
mi aiutano da quasi 40 anni ad alleviare le sofferenze di tanti poveri».
Con voce squillante, Annalena Tonelli commentava così, in una
conversazione con l'Ansa, nell'aprile scorso, il premio Nansen che le era
stato assegnato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati.
Annalena non amava parlare di sè: «Non sono laureata in medicina -
puntualizzava -, sono laureata in legge, e abilitata all'insegnamento
dell'inglese, poi ho preso numerosi diplomi in materie mediche, malattie
tropicali, nefrologia, alcune altre...». E sul perché di tanta dedizione
all'Africa aveva detto: «Non all'Africa, o alla Somalia, ma all'uomo che
soffre, sotto qualsiasi cielo della Terra. È nata in me che ero bambina, è
un enorme privilegio che ho ricevuto» e la figura di riferimento per lei
era stata «Gesù Cristo», che, aggiungeva, «mi ha sempre guidata».
Anche quando nell'84 «una coalizione di tutte le forze armate kenyane
aveva deciso di commettere il genocidio di un' intera tribù di somali,
quella dei Deigodia, a Wajir, nel Kenya settentrionale». La leggenda vuole
- e lei la confermò in parte - che riuscì a salvare centinaia di persone
fermando i militari dopo aver inviato un suo messo fuori dalla città
assediata, con informazioni e foto dei cadaveri cucite nelle pieghe dei
pantaloni. Il messaggero riuscì a portarle ad Amref, una fondazione
africana per la medicina e la ricerca i cui medici si spostano da un
villaggio all'altro a bordo di piccoli aerei. «Sono i miei amici di
sempre, i "flying doctors" che riuscirono a diffondere la notizia ed a
fermare quel massacro, che costò comunque la vita a mille persone», ha
raccontato Tonelli.
«In realtà - aveva detto ancora - dopo aver assistito per anni adulti e
bambini emarginati nella mia città, Forlì, che vivevano in una vecchia
caserma o nel locale brefotrofio, bambine con ritardi mentali, io volevo
partire per l'India, ma la mia famiglia non volle. Allora partii per gli
Stati Uniti, poi andai in Inghilterra e finalmente arrivai in Africa.
Avevo 25 anni».
Negli ultimi sette anni aveva lavorato a Borama, nel Somaliland, dove
il suo ospedale assiste 500 pazienti affetti da tubercolosi, o Aids o
sieropositività. E della situazione della Somalia del sud aveva indicato i
responsabili nei «signori della guerra, che preferiscono tenere in piedi
questa tensione perché a loro conviene».
Alla domanda su come aveva intenzione di utilizzare i 100 mila dollari
del premio Nansen, aveva risposto senza esitazioni «per la mia gente, per
il mio staff, sono 75 persone che lavorano con me, tutti somali e loro,
come i pazienti, hanno tanto bisogno di aiuto. È una vita dura, ma
bellissima, veramente bellissima».
Martedì 7 Ottobre 2003
VOLONTARI ITALIANI NEL MIRINO. Colpita nella modesta casa vicino
all’ospedale che lei stessa aveva fondato a Borama
Uccisa «l’apostola»
della Somalia
Annalena
Tonelli, una vita per i malati in Africa: «Impazzisco per l’umanità
ferita»
Nairobi. Era chiamata la «madre Teresa della Somalia» per la
sua instancabile dedizione alla causa dei malati e dei poveri nel
Paese africano martoriato da guerre e lutti. E proprio in Somalia,
scelta come sua seconda patria e in cui lavorava da 20 anni, ha
trovato la morte Annalena Tonelli, 60 anni (nella foto),
volontaria originaria di Forlì assassinata in una povera casupola di
Barama (Nord Ovest del Somaliland) dove abitava vicino all’ospedale
che aveva fondato. È stata ferita a colpi di arma da fuoco da
sconosciuti che l’hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è
morta un’ora dopo. Sembra che dalla sua casa non sia stato portato via
nulla e la polizia parla dell’opera di un «pazzo»; ma pochi credono a
questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e dirigeva a Borama (Somaliland)
un ospedale con 200 posti letto specializzato soprattutto alla cura
della tubercolosi. Per la sua opera aveva ricevuto lo scorso aprile
dall’Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati) il Nansen
Refugee Award , il più importante premio che viene
assegnato a coloro che si occupano di profughi. «La signora del
deserto», come era soprannominata, da 36 anni, dopo la laurea in
legge, l’ abilitazione all’ insegnamento della lingua inglese e il
conseguimento di vari diplomi in materie mediche, malattie tropicali,
nefrologia, aveva scelto di assistere gli adulti e i bambini
emarginati. «Volevo partire per l’ India, ma la mia famiglia non
volle», spiegò dopo la notizia del conferimento del premio Nansen
2003.
Andò allora negli Stati Uniti, quindi in Inghilterra «e finalmente
arrivai in Africa: avevo 25 anni».«Annalena era una donna
straordinaria e arrivò in Africa quasi per sbaglio», ricorda padre
Alex Zanotelli, ex direttore del mensile Nigrizia e
missionario per anni nella baraccopoli di Korococho, a Nairobi, in un’
intervista all’ agenzia Misna . «Negli anni Ottanta -
ricorda padre Zanotelli - venne espulsa per aver denunciato uccisioni
e scongiurato il massacro di alcune popolazioni nomadi da parte del
governo di Nairobi. E così finì in Somalia».
«Io non ho paura - confidò Annalena a Nigrizia - anche
se mi hanno picchiato, aggredito, espulso». L’ ultima aggressione ad
ottobre 2002, proprio a Borama: qualcuno attaccò a sassate l’
ospedale, per protesta contro la sua campagna contro le mutilazioni
genitali femminili. «Il mio sogno - aveva detto sorridendo - è che
presto il mio ospedale venga chiuso, che a Borama non ci siano più
malati di tubercolosi, che la struttura divenga una scuola o magari un
albergo com’ è accaduto in Europa».
I suoi guai, racconta Vanni Sansovini, il presidente del Comitato per
la lotta contro la fame nel mondo di Forlì, la città natale di Tonelli,
iniziarono quando una «coalizione di tutte le forze armate kenyane
aveva deciso di sterminare un’ intera tribù di somali, quella dei
Daigodia, a Wajir, nelle regioni settentrionali della nazione». I
militari assediavano la città, lei riuscì a inviare un messaggero con
informazioni e foto di cadaveri cucite nei pantaloni all’Amref, una
fondazione africana per la medicina e la ricerca che si serve dei
cosiddetti flying doctors , medici che si spostano da un
villaggio all’altro a bordo di piccoli velivoli. Questi medici
riuscirono a diffondere la notizia e a fermare il massacro, che
comunquè costò la vita a mille persone. Aveva accettato il premio
Nansen, spiegò la stessa Annalena, come riconoscimento per chi l’
aveva aiutata: il Comitato, la mamma, la famiglia. E i 100 mila
dollari del premio li aveva utilizzati per l’ospedale. La morte di
Annalena Tonelli ha suscitato grande indignazione nel Somaliland, dove
la volontaria italiana era considerata una santa. La notizia della sua
uccisione si è diffusa fulmineamente, migliaia di persone sono accorse
all’ospedale. Il presidente del Somaliland Dahir Riyalev Kahin ha
espresso tutta la sua rabbia per la morte della volontaria che ha
definito «un grande eroe».
Le spoglie di Annalena Tonelli sono giunte ieri a Nairobi dove
domattina sono attesi alcuni familiari tra cui il fratello, medico,
mentre la madre, 91 anni, è in ospedale. La volontaria aveva dato
disposizioni per essere sepolta in Somalia, il Paese che più ha amato.
«I musulmani mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato,
la resa a Dio. Una resa che non ha nulla di fatalistico. I nomadi del
deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto
operare nel nome di Dio», disse lo scorso anno in Vaticano alla
Giornata internazionale del Volontariato. «È una vita che combatto e
mi struggo, io povera cosa, per essere buona, veritiera, non violenta
nei pensieri, nella parola, nell’azione. Ed è una vita che combatto
perchè gli uomini siano una cosa sola»., sottolinea Tonelli.
«Impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita; più
sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun
conto agli occhi del mondo, più li amo».
7 ottobre 2003
SOS PER UN CONTINENTE
La tragedia è avvenuta domenica sera a Borama: sarebbe stata affrontata
da due giovani che sono riusciti a fuggire
Uccisa Annalena, la speranza dei somali
Da Forlì all’Africa: una vita
spesa a lottare contro la tubercolosi in un ospedale del Nord
senza un movente. La missionaria laica Tonelli è stata assassinata in
casa, in un villaggio del Somaliland. Aveva ricevuto minacce, ma anche
apprezzamento dalla comunità islamica in cui operava
Di Claudio Monici
È morta come sapeva che un giorno
sarebbe potuto capitare, uccisa a sangue freddo nella «mia amata
Somalia». Un colpo di pistola, forse una fucilata sulla porta di casa, e
due ragazzi somali che scappano nella notte come ombre che si perdono
nella polvere di uno sperduto villaggio del Somaliland.
Annalena Tonelli, di minacce ne aveva ricevute tante in 33 anni di
attività umanitaria nel Corno d'Africa. Lei che dopo la laurea in legge
era invece partita per il Continente nero a 27 anni, per seguire il suo
desiderio di povertà da condividere con il prossimo, e negli anni
diventare «la mamma del deserto». Laurendosi sul campo nella lotta alla
tubercolosi, fino ad essere chiamata come consulente dall'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms). Una donna tenace, che non ha mai voluto
nessuna grande organizzazione alle spalle, quindi sola con le sue
braccia e la sua volontà. Per di più donna e occidentale, l'unica
cattolica in un Paese musulmano dalle forti tradizioni, e proprio per
questo puntata a dito da qualche religioso locale che mal sopportava la
sua «carità cristiana» al servizio dei musulmani.
Additata nei sermoni alla moschea, come un pericolo di conversione. Ma
anche tante volte legata e picchiata dai banditi, quando ancora si
occupava del dispensario per la tubercolosi a Merca, in Somalia, a sud
di Mogadiscio, da dove se ne era dovuta andare «perché erano troppe le
pressioni dei signori della guerra». Perché aveva il coraggio di
denunciare atrocità, complicità e loschi affari a scapito del popolo
somalo.
Ma mai Annalena Tonelli, volontaria laica forlivese di nascita, 60 anni,
ha pensato di fare un passo indietro. Di lasciare spazio alla paura e
smettere quel paio di lunghe vesti e lo scialle azzurrino, unici suoi
averi, per tornare indietro. E dopo Merca, sette anni fa approda a
Borama. «Non sono nulla. Ho scelto di vivere così senza privilegi. Non
potrei vivere diversamente. Non possiedo nulla e fin da bambina la mia
scelta è stata quella di viv ere in povertà, essere solo per Dio e per
chi soffre: non ho uno stipendio, né avrò la pensione che mi attende per
la vecchiaia, se mai un giorno dovrò tornare in Italia. Io spero di
morire prima», ce lo diceva un anno fa con quel suo dolce sorriso e gli
occhi chiari, mentre un piccolo aereo ci trasportava da Mogadiscio a
Nairobi.
Lei poi avrebbe proseguito per il Sud Sudan, dove anche lì seguiva un
progetto dell'Oms per la lotta contro la tubercolosi. Nonostante questo
suo volere star lontano dalle cose ufficiali che a lei non piacevano
affatto, la sua storia, soprattutto grazie al sostegno degli amici di
Forlì del «Comitato per la lotta contro la fame», era stata premiata con
l'assegnazione del riconoscimento Nansen, attribuito ogni anno dall'Alto
commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) a personalità che si sono
distinte per il lavoro a favore dei rifugiati. Un premio di 100mila
dollari, utilizzati per l'ospedale di Borama, e che la Tonelli aveva
accettato soltanto come riconoscimento per chi l'aveva aiutata: gli
amici di Forli, la mamma novantenne, la famiglia. «Grata all'Alto
commissariato - disse Annalena - per avere voluto concedere l'attenzione
alla mia amata Somalia».
Annalena Tonelli è stata assassinata domenica sera a Borama, cittadina
di frontiera nell'estremo nord-ovest del Somaliland, incuneato tra
Etiopia e Gibuti. I testimoni raccontano che a ucciderla sono stati due
ragazzi che avevano prima bussato alla sua porta di casa, poco distante
dall'ospedale che aveva fondato. La volontaria laica è stata ferita dai
colpi d'arma da fuoco ed è morta dopo un'agonia di un'ora.
La polizia del Somaliland ha parlato dell'azione di «un pazzo». Il
presidente Dahir Riyalev Kahin ha espresso tutta la sua rabbia per la
morte della volontaria che ha definito «un grande eroe». Mentre migliaia
di somali in lacrime sono accorsi nell'ospedale di Borama. Sul perché,
sul movente di questa esecuzione non ci sono che sospetti e voci. Dalla
casa non è stato rubato nulla.
Durante quell'incontro nei cieli della Somalia, Annalena Tonelli ci
aveva parlato delle minacce di qualche capo religioso, ma senza darvi
troppo peso: «Convintissimi che la mia presenza è legata a un progetto
di conversione dei musulmani, e poi accusata di avere portato l'Aids.
Parole che fanno presa soprattutto tra i giovani. Ma c'è stato anche chi
in moschea ha avuto il coraggio di parlare di me: "Io prego per Annalena
perché quello che lei sta facendo non l'ho mai visto fare da nessuno.
Lasciamola vivere in pace"». Le spoglie di Annalena Tonelli da ieri
attendono a Nairobi l'arrivo dei parenti.
La «mamma del deserto» aveva sempre detto che il suo desiderio era
quello di essere sepolta «nella mia amata terra somala».