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"Somalia oltre la guerra"

 

 

UCCISA ANNALENA TONELLI

 

6 OTTOBRE 2003

Così scrive Enrico Villa, Direttore Responsabile della Rivista di cultura kiwaniana

Nessuna pietà. Due colpi di revolver alla nuca, forse una raffica di kalashnikov, esecutori due morian, i banditi somali.E il mondo, davanti alla spietata esecuzione di Annalena Tonelli, un angelo di dolcezza che alla Somalia aveva dato tutto, è rimasto attonito. I mass – media, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, hanno pubblicato articoli e analisi, una volta tanto con rispettosa compostezza. Ma a colpire impotenti davanti alla barbarie e alla ferocia sono state le grandi fotografie nelle prime pagine dei grandi quotidiani di Annalena: occhi di un azzurro profondo in un volto incorniciano dal suo scialle inseparabile, portato – diceva – per rispetto delle donne di laggiù.

Per i kiwaniani, increduli, è come se all’improvviso fosse volata via una sorella. Non nelle cornici consuete, cui siamo abituati, talvolta non reggendo alla noia della civiltà, ma nell’inferno dell’ospedale di Borama dove, trascinati in catene perché considerati indemoniati, gli epilettici ritrovavano la loro umanità. E così gli ammalati di Aids sempre più consumati nel fisico e nella psiche che, grazie a quegli occhi, riuscivano a superare crisi terribili e – ha del miracoloso – a percepire di nuovo, magari per un istante, il gusto dell’esistere.

All’inizio dell’estate, quando Annalena Tonelli venne in Italia, nella sua Forlì che aveva lasciato trent’anni fa, dopo la laurea in legge,con l’umiltà di cui sono capaci gli esseri che dentro hanno la santità, ripeteva agli amici kiwaniani che per le circostanze internazionali  non sempre sono riusciti a darle quanto avrebbero voluto: ”Sola, ho scelto di vivere per gli altri”. E questa stessa frase si ritrova in una lunga “intervista – testimonianza” pubblicata nel novembre dello scorso anno, nell’inserto del primo numero della rinnovata serie di “Kiwanis rassegna di cultura”. Quanto lei disse in quella “intervista-testimonianza” e, poi, ai giornalisti di “Specchio”, di “Oggi”, di giornali tedeschi e francesi, va ancor più meditato adesso: a poche ore dal suo assassinio. Nessuna invettiva (che non è certo segno di coraggio) come lei avrebbe continuato a sommessamente insegnare, accettando il male che la circondava e che, con tenacia disarmante, cercava di combattere inerme, armata solo dalla sua fede nell’umanità, o di superare perché gli altri conoscessero solo il bene. Nessuna rassegnazione o improvviso disinteresse scoraggiato per quel Paese sfortunato che si chiama Somalia. Ma – è l’impegno di chiunque si identifichi nello spirito kiwaniano e che sia nemico della retorica – programmi rinnovati di aiuti nel nome di Annalena Tonelli e perché la sua opera, in silenzio ma tanto concreta, prosegua a Morca, a Borama e in ogni angolo della Somalia dove le scuole, gli ospedali, la lotta al dolore, la dignità e il rispetto delle donne e degli uomini fioriscano come tante rose vermiglie, segno di coraggio, determinazione, speranza, amore. Questa è la strada che il Kiwanis, in Italia come in Europa, in America come in Africa, si impone e cercherà di percorrere nel modo più produttivo possibile con un unico obiettivo: lenire la sofferenza; dare la speranza a chi l’ha persa come, assassinando Annalena Tonelli  l’hanno smarrita i due morian che, con la ferocia di belve, hanno freddato quella piccola donna indifesa, ma dalla volontà di acciaio perché gli altri possano continuare a vivere.

 Enrico Villa   

                            

Annalena Tonelli, assassinata lunedì a Borana, nell’ospedale da lei fondato che aveva appena avuto il permesso di ampliare dalle autorità del Somaliland, sarà sepolta in terra d’Africa, forse a Mogadisco. Questo era il suo desiderio, confermato dal vescovo di Gibuti e Mogadiscio, l’italiano monsignor Giorgio Bertin.

La polizia locale ha anche arrestato tre somali che potrebbero essere gli assassini. Su uno in particolare, ex degente dell’ospedale di Borana, sarebbero ricaduti i sospetti:carattere irrequieto e introverso, da due anni insisteva per essere assunto nell’ospedale, dove lavorano medici e paramedici di eccellente professionalità. Ma egli aveva sempre avuto un diniego, dal momento che gli organici erano completi. Semmai se ne sarebbe parlato ad ospedale ampliato.

Il “Corriere della sera” ed altri importanti mass-media europei e statunitensi accreditano questa tesi che, indipendentemente da ogni altra considerazione,sarà comprovata, o meno, dalla polizia del Somaliland. La giustizia, speriamo, farà il suo corso.

Tuttavia, dopo l’assassinio di Annalena Tonelli e i modi in cui è avvenuto, non importa tanto sapere chi è, o sono, gli assassini. Piuttosto importa quello che ha dichiarato il vescovo di Gibuti e Mogadiscio, Bertin e che le ammalate, gli ammalati, i piccoli affetti da tubercolosi e  le altre gravi  malattie,  o che stavano lasciandosi alle spalle l’analfabetismo vogliono:il raddoppio e la  ulteriore diffusione delle strutture assistenziali, nell’assoluto rispetto delle popolazioni locali(moltissimi i nomadi)conseguenza dell’0pera trentennale di Annalena Tonelli, nata a Forlì il 2 aprile 1943, laureatasi in legge ma che, per aiutare concretamente e silenziosamente i suoi amici somali,aveva seguito innumerevoli corsi di medicina. Questo tour de force di apprendimento ricorda la vicenda, ormai leggendaria, dei “medici scalzi” cinesi.E prova anche come, con la volontà caparbia di imparare per gli altri, si riescano a mettere a punto efficaci “protocolli di cura” in lande desolate dove, fra le altre perniciose malattie, impera la tubercolosi.

Il “dottore” Annalena Tonelli, come la chiamavano i somali, in particolare i nomadi della terra di Borana, era riuscita a convincere gli adulti nomadi a staccarsi momentaneamente dai loro figli e a lasciarli negli ospedali da campo, proprio per curare la tubercolosi. Il metodo era stato approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Onu: la maggior parte dei bimbi guariva in sei mesi, come ha raccontato il settimanale “Oggi” nello scorso mese di luglio con un servizio-intervista da Forlì, in occasione del conferimento ad Annalena Tonelli del conferimento del “Premio Nansen”(il Nobel della solidarietà) da parte dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati.

Ma, davvero al di là della retorica e delle parole solo roboanti e vuote di significato, cerchiamo di inquadrare il contesto nel quale Annalena Tonelli ha vissuto per un trentennio, prima a Merka e dopo il 1995 a Borana realizzando cose che hanno davvero del miracoloso: da sola, spesso avversata da numerose istituzioni locali e internazionali, avvalendosi delle scarse risorse che con assoluta fiducia nella Provvidenza riusciva a raccogliere anche – lo sottolineiamo – con l’aiuto del Kiwanis – Distretto Italia e del Kiwanis International. ”Medici senza frontiere”, premio Nobel per la pace del 1999 e il Kiwanis, proprio nell’ultimo anno, con il titolo “La Somalia oltre la guerra” hanno promosso ed organizzato una mostra itinerante che ha toccato le località più importanti del nostro Paese. Ma – e l’assassinio di Annalena Tonelli è una testimonianza eloquente “Somalia oltre la guerra”, anche titolo di un service distrettuale che prosegue, continua a rimanere una grande speranza.

La situazione sociopolitica e diplomatica del Paese è intricatissima. E, per rendersene conto, basterebbe soffermarsi su quanto ha scritto nella sua edizione di martedì 7 ottobre “Il Sole-24 ore” riportando una dichiarane della Tonelli:All’inizio dei mio lavoro in Somalia, con qualche dollaro riuscivo a sfamare decine di persone. Quando, però, l’odore del denaro fu avvertito dai “Signori della guerra”(leggi, in particolare i banditi  morian) tutto cambiò.E le cose si aggravarono con l’entrata in campo di istituzioni internazionali di dubbia fama nonostante la tutela morale e l’aiuto da parte della Caritas, come è noto cattolica. A quel punto taglie, minacce, “pizzi” come diremmo in Italia,  tangenti, resero necessari fiumi di denaro. E l’incolumità personale fu attaccata sempre più ad un filo. Quando Annalena Tonelli lasciò Morka le strutture che, contro tutto e tutti, aveva creato per i bambini sordomuti, epilettici, handicappati furono dirette da un medico, la dottoressa Gabriella Fumagalli. Ma anche Gabriella Fumagalli fu uccisa dai “signori della guerra” ancora “più inferociti” da una carestia che fece morire decine di migliaia di esseri, in gran parte bambini al di sotto dei cinque anni. E non crediamo di uscire dall’argomento se ricordiamo che la scia di sangue proseguì con l’assassinio di Ilaria Alpi, collega giornalista andata in Somalia per raccontare al mondo quanto stava accadendo e di tanti  altri che, somali, purtroppo sono stati inghiottiti dalla disattenzione, sempre frettolosa dell’Occidente.

Il “Corriere della Sera” di mercoledì 8 ottobre, nella bella pagina dedicata alle “tante altre Somalie”(Uganda, Zambia,Mozambico, Guatemala) e significativamente intitolata “Una vita per gli altri in silenzio” accenna a quanto sarebbe accaduto a Borana pochi giorni prima dell’assassinio di Annalena Tonelli:un forte dissenso fra lei, che già vedeva nella sua immaginazione l’ospedale in funzione e il mullah(sacerdote islamico)Hassan il quale si opponeva all’ampliamento del nosocomio,oggi con trecento letti e il cui funzionamento costa 20.000 dollari al mese, tanto è vero che il premio datole dall’Onu di 150.000 dollari è, purtroppo, già stato “bruciato”. Un ospedale più grande con la possibilità di moltiplicare le cure a migliaia di persone all’anno significava far perdere potere all’Islamismo fondamentalista locale – come evidenzia lo stesso “Corriere della Sera”-;Islamismo che Annalena Tonelli, spirito laico e indipendente pur nella sua  rigorosa visione francescana della vita ha sempre rispettato, tanto è vero che i suoi innumerevoli, poveri amici somali avrebbero desiderato che si facesse mussulmana. Miglior testimonianza di tolleranza e di convivenza, da applicare anche in Occidente, non poteva essere resa!

Ritorniamo, tuttavia, al vescovo di Gibuti e di Mogadiscio momsignor Giorgio Bertin e al titolo veramente pertinente del “Corriere della Sera” sempre di mercoledì 7 ottobre: ”Il vescovo di Gibuti:l’ospedale di Annnalena non morirà”.In queste parole, semplificate dalle esigenze giornalistiche, è ben sintetizzato il programma che, in memoria di Annalena Tonelli, sta davanti a tutti noi: L’ospedale di Borana - ampliato ad almeno 500 letti, con una migliore sistemazione del “TBC centre” che assiste 1.500 persone all’anno, del Centro contro la cataratta dove medici tedeschi operano 3.700 persone all’anno,nonché del centro per cercare di stroncare la mortale malattia prodotta dalla tubercolosi più la immunodeficienza - deve diventare al più presto realtà.

L’Onu – questo è l’augurio – metterà a disposizione parte delle risorse finanziarie. Ma, proprio nel contesto del service “Somalia oltre la guerra “ i soci del Kiwanis dovranno dare un robusto apporto di denaro sperando che, altrettanto, facciano gli altri clubs di servizio nella visione ecumenica e laicamente umanitaria di Annalena Tonelli. Essa va fatta prevalere, e urgentemente , soprattutto a Borana ma in ogni lembo di questo nostro globo dove tanta, troppa gente, soffre e ha bisogno di pace e di solidarierà, come ha appena invocato a Pompei Giovanni Paolo II.

 Enrico Villa

  

AFRICA
  Somalia, uccisa volontaria italiana

Annalena Tonelli era impegnata da trent'anni sul fronte profughi, prima in Kenya, poi per vent'anni in Somalia. Da tempo riceveva minacce: è stata colpita a morte nella sua abitazione.

MOGADISCIO – E’ stata uccisa nella terra a cui aveva dedicato gli ultimi vent’anni della sua vita. Annalena Tonelli, volontaria italiana, è morta in Somalia, dove aveva fondato e dirigeva un ospedale con duecento posti letto. In quel nosocomio, nella provincia di Somaliland, autoproclamatasi indipendente nel ‘91, aveva curato diversi malati di tubercolosi.

Un colpo di fucile ha messo fine alla sua vita, proprio nel Paese al quale aveva offerto la sua dedizione e il suo spirito di abnegazione. La volontaria è stata uccisa nella sua abitazione di Barama (nord-ovest del Somaliland), vicino all’ospedale che aveva fondato.

Ma proprio per la sua attività potrebbe essere finita nel mirino. Secondo quanto riferito da Vanni Sansovini, presidente del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo di Forlì, Annalena riceveva continuamente minacce.

“L’hanno uccisa due ragazzi – ha spiegato Sansovini, riferendo di avere ricevuto la notizia della sua morte dal fratello della volontaria -. Sono entrati nella sua casa, a Barama e le hanno sparato con il fucile. Purtroppo, nonostante tutto quello che faceva, era da sempre contestata. Senza una ragione chiara. E’ il fondamentalismo che l’ha uccisa. In certe parti del mondo – aggiunge il presidente del Comitato contro la fame nel mondo  di Forlì – quando una persona si spende c’è chi la vede bene e chi la vede male. L’hanno accusata di tutto, anche di aver portato l’Aids in quelle terre. E’ tutto assurdo. Non c’è un perché”.

Eppure se si scava un po' nel suo passato e si guarda all'impegno messo nella sua attività, si scopre che quel lavoro in alcuni casi non è andato a genio a molti. I suoi “guai” – riferisce Sansovini, riportando i racconti della stessa Annalena Tonelli – cominciarono nel 1984, quando una “coalizione di tutte le forze armate keniote aveva deciso di commettere il genocidio un’intera tribù di somali, quella dei Daigodia, a Wajir, nelle regioni settentrionali della nazione”. Annalena riuscì a far giungere la notizia dei massacri tramite un messaggero che portò foto, cucite tra i pantaloni, all’Amref, ai medici che riuscirono grazie alle informazioni e alla documentazione ricevuta tramite la Tonelli a fermare la strage, che aveva già provocato mille vittime. Espulsa dal Kenya, arrivò in Somalia, dove ricevette numerose minacce, di cui parlava in alcune e mail a parenti e amici.

Nata a Forlì il 2 aprile del 1943, Annalena era impegnata nell’aiuto ai profughi da quasi trent’anni e aveva operato prima in Kenya, poi in Somalia e poi ancora nella provincia del Somaliland. “Una santa”, la definivano in molti per l’opera che svolgeva; “la vecchia signora del deserto” era soprannominata da altri per la sua storia: laurea in legge, abilitazione per insegnare lingua inglese e infine il conseguimento di una serie di diplomi in materie mediche, malattie tropicali, nefrologia. Il suo lavoro era stato coronato da due gloriosi tributi: lo scorso aprile aveva ricevuto il “Nansen Refugee Award”, un premio, il più importante, assegnato a chi si occupa di profughi e rifugiati. Il primo giugno scorso il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi le aveva conferito l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (Onmri).

(6 OTTOBRE 2003; ORE 12:50)

 

Missionaria uccisa in Somalia

 

MOGADISCIO — Annalena Tonelli , 60 anni, famosa missionaria italiana nel Somaliland è stata uccisa nella sua casa a Borama. La donna, originaria di Forlì, gestiva un ospedale di 350 posti in una delle zone più remote del paese africano. Due persone armate di fucile l'hanno attesa vicino alla porta della sua abitazione, l'hanno immobilizzata e l'hanno giustiziata con un colpo alla nuca. La Tonelli è morta poco dopo il ricovero nel suo ospedale. Non si conoscono i motivi dell'aggressione. Annalena Tonelli viveva in Africa da 34 anni, prima in Kenia e poi in Somalia. La donna era tornata in Italia nel giugno scorso per ritirare il premio Nansen, il prestigioso riconoscimento che l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'Onu assegna a chi si distingue nell'opera per i più diseredati. Nell'occasione le fu chiesto se avesse paura. Rispose: «Mi hanno sparato, mi hanno picchiata, ma io continuerò nel mio lavoro».

 

 

MOGADISCIO - Era chiamata la madre Teresa della Somalia per la sua instancabile dedizione alla causa dei malati e dei poveri nel paese africano martoriato da guerre e lutti. E proprio in Somalia, paese che aveva scelto come sua seconda patria e in cui lavorava da 20 anni, ha trovato ieri la morte Annalena Tonelli, 60 anni, volontaria originaria di Forlì assassinata in una povera casupola di Barama (nord ovest del Somaliland) dove abitava vicino all´ospedale che aveva fondato.
La Madre Teresa
dfella Somalia
La «Madre Teresa della Somalia» è stata ferita a colpi di arma da fuoco da sconosciuti che l´hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è morta un´ora dopo. Sembra che dalla sua casa non sia stato portato via nulla e la polizia parla dell´opera di un «pazzo»; ma pochi danno credito a questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e dirigeva a Borama (Somaliland) un ospedale con 200 posti letto specializzato soprattutto alla cura della tubercolosi.
Per la sua opera aveva ricevuto lo scorso aprile dall´Unhcr il «Nansen Refugee Award», il più importante premio che viene assegnato a coloro che si occupano di profughi e rifugiati. «La signora del deserto», come era soprannominata, da 36 anni, dopo la laurea in legge, l´abilitazione all´insegnamento della lingua inglese e il conseguimento di vari diplomi in materie mediche, malattie tropicali, nefrologia, aveva scelto di assistere gli adulti e i bambini emarginati. «Volevo partire per l´India, ma la mia famiglia non volle», spiegò dopo la notizia del conferimento del premio Nansen 2003. Andò allora negli Stati Uniti, quindi in Inghilterra «e finalmente arrivai in Africa: avevo 25 anni». La volontaria arrivò in Kenya, la prima tappa, dove cominciò la sua opera sempre a favore di popolazioni somale.
I suoi guai - racconta Vanni Sansovini, il presidente del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo di Forlì, la città natale di Tonelli - iniziarono quando una «coalizione di tutte le forze armate kenyane aveva deciso di sterminare un´intera tribù di somali, quella dei Daigodia, a Wajir, nelle regioni settentrionali della nazione». I militari assediavano la città, lei riuscì a inviare un messaggero con informazioni e foto di cadaveri cucite nei pantaloni all´Amref, una fondazione africana per la medicina e la ricerca che si serve dei cosiddetti «flying doctors», medici che si spostano da un villaggio all´altro a bordo di piccoli velivoli.
Fu anche espulsa
dal Kenya
Questi medici riuscirono a diffondere la notizia e a fermare il massacro, che comunquè costò la vita a mille persone. «Lei riuscì a fare questo - dice il presidente del Comitato forlivese - e fu espulsa immediatamente dall´allora governo del Kenya. Dovette lasciare il paese in 24 ore». Da sette anni lavorava a Borama, in un ospedale con 500 pazienti per la cura di tubercolosi e dell´Aids, vivendo in assoluta povertà, mangiando lo stesso cibo dei pazienti, senza possedere nulla. Si opponeva con tutte le forze anche alla mutilazione genitale femminile, ancora diffusissima in Africa. Aveva accettato il premio Nansen, spiegò la stessa Annalena, come riconoscimento per chi l´ aveva aiutata: il Comitato, la mamma, la famiglia. E i 100 mila dollari del premio li aveva utilizzati per l´ospedale. «Sono grata all´Unhcr per aver voluto concedere l´attenzione alla mia amata Somalia - aveva detto ricevendo il premio - adesso posso dare voce a una popolazione che non ha voce».
Annalena Tonelli non considerava la sua vita un sacrificio. «Non è sacrificio, è pura gioia. Chi altri al mondo ha una vita così meravigliosa?», aveva detto all´inizio di quest´anno.

 

ROMA - «Annalena era una donna straordinaria e arrivò in Africa quasi per sbaglio»: lo afferma padre Alex Zanotelli, ex direttore del mensile "Nigrizia". Annalena Tonelli aveva infatti raccontato al mensile comboniano che il suo sogno era l'India, ma la sua famiglia non aveva voluto, e così era partita per il Kenya. «Pensavo fosse solo un Paese da turisti» disse all'epoca la volontaria. Ma proprio in Kenya, per la prima volta, ebbe a confrontarsi con la violenza. «Negli anni '80 - ricorda padre Zanotelli - venne espulsa per aver denunciato uccisioni e scongiurato il massacro di alcune popolazioni nomadi da parte del governo di Nairobi. E così finì in Somalia».

 

Nairobi
In Somalia, paese che ...
 

Nairobi

In Somalia, paese che aveva scelto come sua seconda patria e in cui lavorava da 20 anni, domenica ha trovato la morte Annalena Tonelli, 60 anni, volontaria originaria di Forlì. E' stata assassinata in una povera casupola di Barama (nord ovest del Somaliland) dove abitava vicino all'ospedale che aveva fondato. La donna, che era chiamata la madre Teresa per l'instancabile dedizione ai malati, è stata ferita a colpi di arma da fuoco da sconosciuti che l'hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è morta un'ora dopo. Dalla sua abitazione non è stato portato via nulla e la polizia che indaga sull'assassionio parla dell'opera di un "pazzo", ma pochi danno credito a questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e dirigeva a Borama un ospedale con 200 posti letto specializzato soprattutto alla cura della tubercolosi. Per la sua opera aveva ricevuto lo scorso aprile dall'Unhcr il "Nansen Refugee Award". La morte di Annalena Tonelli ha suscitato grande indignazione nel territorio, dove la volontaria italiana era considerata una santa. Tempo fa aveva dato disposizioni per essere

 

«Il mio privilegio è dedicarmi a chi soffre sotto qualsiasi cielo»
 
Il Cairo

«Dedico la medaglia a mia madre, alla mia famiglia, ai miei amici che mi aiutano da quasi 40 anni ad alleviare le sofferenze di tanti poveri». Con voce squillante, Annalena Tonelli commentava così, in una conversazione con l'Ansa, nell'aprile scorso, il premio Nansen che le era stato assegnato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Annalena non amava parlare di sè: «Non sono laureata in medicina - puntualizzava -, sono laureata in legge, e abilitata all'insegnamento dell'inglese, poi ho preso numerosi diplomi in materie mediche, malattie tropicali, nefrologia, alcune altre...». E sul perché di tanta dedizione all'Africa aveva detto: «Non all'Africa, o alla Somalia, ma all'uomo che soffre, sotto qualsiasi cielo della Terra. È nata in me che ero bambina, è un enorme privilegio che ho ricevuto» e la figura di riferimento per lei era stata «Gesù Cristo», che, aggiungeva, «mi ha sempre guidata».

Anche quando nell'84 «una coalizione di tutte le forze armate kenyane aveva deciso di commettere il genocidio di un' intera tribù di somali, quella dei Deigodia, a Wajir, nel Kenya settentrionale». La leggenda vuole - e lei la confermò in parte - che riuscì a salvare centinaia di persone fermando i militari dopo aver inviato un suo messo fuori dalla città assediata, con informazioni e foto dei cadaveri cucite nelle pieghe dei pantaloni. Il messaggero riuscì a portarle ad Amref, una fondazione africana per la medicina e la ricerca i cui medici si spostano da un villaggio all'altro a bordo di piccoli aerei. «Sono i miei amici di sempre, i "flying doctors" che riuscirono a diffondere la notizia ed a fermare quel massacro, che costò comunque la vita a mille persone», ha raccontato Tonelli.

«In realtà - aveva detto ancora - dopo aver assistito per anni adulti e bambini emarginati nella mia città, Forlì, che vivevano in una vecchia caserma o nel locale brefotrofio, bambine con ritardi mentali, io volevo partire per l'India, ma la mia famiglia non volle. Allora partii per gli Stati Uniti, poi andai in Inghilterra e finalmente arrivai in Africa. Avevo 25 anni».

Negli ultimi sette anni aveva lavorato a Borama, nel Somaliland, dove il suo ospedale assiste 500 pazienti affetti da tubercolosi, o Aids o sieropositività. E della situazione della Somalia del sud aveva indicato i responsabili nei «signori della guerra, che preferiscono tenere in piedi questa tensione perché a loro conviene».

Alla domanda su come aveva intenzione di utilizzare i 100 mila dollari del premio Nansen, aveva risposto senza esitazioni «per la mia gente, per il mio staff, sono 75 persone che lavorano con me, tutti somali e loro, come i pazienti, hanno tanto bisogno di aiuto. È una vita dura, ma bellissima, veramente bellissima».

 

Martedì 7 Ottobre 2003
 
 
  VOLONTARI ITALIANI NEL MIRINO. Colpita nella modesta casa vicino all’ospedale che lei stessa aveva fondato a Borama
 
Uccisa «l’apostola» della Somalia
 
  Annalena Tonelli, una vita per i malati in Africa: «Impazzisco per l’umanità ferita»
 


Nairobi. Era chiamata la «madre Teresa della Somalia» per la sua instancabile dedizione alla causa dei malati e dei poveri nel Paese africano martoriato da guerre e lutti. E proprio in Somalia, scelta come sua seconda patria e in cui lavorava da 20 anni, ha trovato la morte Annalena Tonelli, 60 anni (nella foto), volontaria originaria di Forlì assassinata in una povera casupola di Barama (Nord Ovest del Somaliland) dove abitava vicino all’ospedale che aveva fondato. È stata ferita a colpi di arma da fuoco da sconosciuti che l’hanno lasciata a terra agonizzante. La volontaria è morta un’ora dopo. Sembra che dalla sua casa non sia stato portato via nulla e la polizia parla dell’opera di un «pazzo»; ma pochi credono a questa versione. Annalena Tonelli aveva fondato e dirigeva a Borama (Somaliland) un ospedale con 200 posti letto specializzato soprattutto alla cura della tubercolosi. Per la sua opera aveva ricevuto lo scorso aprile dall’Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati) il Nansen Refugee Award , il più importante premio che viene assegnato a coloro che si occupano di profughi. «La signora del deserto», come era soprannominata, da 36 anni, dopo la laurea in legge, l’ abilitazione all’ insegnamento della lingua inglese e il conseguimento di vari diplomi in materie mediche, malattie tropicali, nefrologia, aveva scelto di assistere gli adulti e i bambini emarginati. «Volevo partire per l’ India, ma la mia famiglia non volle», spiegò dopo la notizia del conferimento del premio Nansen 2003.
Andò allora negli Stati Uniti, quindi in Inghilterra «e finalmente arrivai in Africa: avevo 25 anni».«Annalena era una donna straordinaria e arrivò in Africa quasi per sbaglio», ricorda padre Alex Zanotelli, ex direttore del mensile Nigrizia
e missionario per anni nella baraccopoli di Korococho, a Nairobi, in un’ intervista all’ agenzia Misna . «Negli anni Ottanta - ricorda padre Zanotelli - venne espulsa per aver denunciato uccisioni e scongiurato il massacro di alcune popolazioni nomadi da parte del governo di Nairobi. E così finì in Somalia».
«Io non ho paura - confidò Annalena a Nigrizia - anche se mi hanno picchiato, aggredito, espulso». L’ ultima aggressione ad ottobre 2002, proprio a Borama: qualcuno attaccò a sassate l’ ospedale, per protesta contro la sua campagna contro le mutilazioni genitali femminili. «Il mio sogno - aveva detto sorridendo - è che presto il mio ospedale venga chiuso, che a Borama non ci siano più malati di tubercolosi, che la struttura divenga una scuola o magari un albergo com’ è accaduto in Europa».
I suoi guai, racconta Vanni Sansovini, il presidente del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo di Forlì, la città natale di Tonelli, iniziarono quando una «coalizione di tutte le forze armate kenyane aveva deciso di sterminare un’ intera tribù di somali, quella dei Daigodia, a Wajir, nelle regioni settentrionali della nazione». I militari assediavano la città, lei riuscì a inviare un messaggero con informazioni e foto di cadaveri cucite nei pantaloni all’Amref, una fondazione africana per la medicina e la ricerca che si serve dei cosiddetti flying doctors , medici che si spostano da un villaggio all’altro a bordo di piccoli velivoli. Questi medici riuscirono a diffondere la notizia e a fermare il massacro, che comunquè costò la vita a mille persone. Aveva accettato il premio Nansen, spiegò la stessa Annalena, come riconoscimento per chi l’ aveva aiutata: il Comitato, la mamma, la famiglia. E i 100 mila dollari del premio li aveva utilizzati per l’ospedale. La morte di Annalena Tonelli ha suscitato grande indignazione nel Somaliland, dove la volontaria italiana era considerata una santa. La notizia della sua uccisione si è diffusa fulmineamente, migliaia di persone sono accorse all’ospedale. Il presidente del Somaliland Dahir Riyalev Kahin ha espresso tutta la sua rabbia per la morte della volontaria che ha definito «un grande eroe».
Le spoglie di Annalena Tonelli sono giunte ieri a Nairobi dove domattina sono attesi alcuni familiari tra cui il fratello, medico, mentre la madre, 91 anni, è in ospedale. La volontaria aveva dato disposizioni per essere sepolta in Somalia, il Paese che più ha amato.
«I musulmani mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio. Una resa che non ha nulla di fatalistico. I nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio», disse lo scorso anno in Vaticano alla Giornata internazionale del Volontariato. «È una vita che combatto e mi struggo, io povera cosa, per essere buona, veritiera, non violenta nei pensieri, nella parola, nell’azione. Ed è una vita che combatto perchè gli uomini siano una cosa sola»., sottolinea Tonelli. «Impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita; più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più li amo».
 

   

 

7 ottobre 2003
 

SOS PER UN CONTINENTE
La tragedia è avvenuta domenica sera a Borama: sarebbe stata affrontata da due giovani che sono riusciti a fuggire

Uccisa Annalena, la speranza dei somali

Da Forlì all’Africa: una vita spesa a lottare contro la tubercolosi in un ospedale del Nord
senza un movente. La missionaria laica Tonelli è stata assassinata in casa, in un villaggio del Somaliland. Aveva ricevuto minacce, ma anche apprezzamento dalla comunità islamica in cui operava

Di Claudio Monici

È morta come sapeva che un giorno sarebbe potuto capitare, uccisa a sangue freddo nella «mia amata Somalia». Un colpo di pistola, forse una fucilata sulla porta di casa, e due ragazzi somali che scappano nella notte come ombre che si perdono nella polvere di uno sperduto villaggio del Somaliland.
Annalena Tonelli, di minacce ne aveva ricevute tante in 33 anni di attività umanitaria nel Corno d'Africa. Lei che dopo la laurea in legge era invece partita per il Continente nero a 27 anni, per seguire il suo desiderio di povertà da condividere con il prossimo, e negli anni diventare «la mamma del deserto». Laurendosi sul campo nella lotta alla tubercolosi, fino ad essere chiamata come consulente dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Una donna tenace, che non ha mai voluto nessuna grande organizzazione alle spalle, quindi sola con le sue braccia e la sua volontà. Per di più donna e occidentale, l'unica cattolica in un Paese musulmano dalle forti tradizioni, e proprio per questo puntata a dito da qualche religioso locale che mal sopportava la sua «carità cristiana» al servizio dei musulmani.
Additata nei sermoni alla moschea, come un pericolo di conversione. Ma anche tante volte legata e picchiata dai banditi, quando ancora si occupava del dispensario per la tubercolosi a Merca, in Somalia, a sud di Mogadiscio, da dove se ne era dovuta andare «perché erano troppe le pressioni dei signori della guerra». Perché aveva il coraggio di denunciare atrocità, complicità e loschi affari a scapito del popolo somalo.
Ma mai Annalena Tonelli, volontaria laica forlivese di nascita, 60 anni, ha pensato di fare un passo indietro. Di lasciare spazio alla paura e smettere quel paio di lunghe vesti e lo scialle azzurrino, unici suoi averi, per tornare indietro. E dopo Merca, sette anni fa approda a Borama. «Non sono nulla. Ho scelto di vivere così senza privilegi. Non potrei vivere diversamente. Non possiedo nulla e fin da bambina la mia scelta è stata quella di viv ere in povertà, essere solo per Dio e per chi soffre: non ho uno stipendio, né avrò la pensione che mi attende per la vecchiaia, se mai un giorno dovrò tornare in Italia. Io spero di morire prima», ce lo diceva un anno fa con quel suo dolce sorriso e gli occhi chiari, mentre un piccolo aereo ci trasportava da Mogadiscio a Nairobi.
Lei poi avrebbe proseguito per il Sud Sudan, dove anche lì seguiva un progetto dell'Oms per la lotta contro la tubercolosi. Nonostante questo suo volere star lontano dalle cose ufficiali che a lei non piacevano affatto, la sua storia, soprattutto grazie al sostegno degli amici di Forlì del «Comitato per la lotta contro la fame», era stata premiata con l'assegnazione del riconoscimento Nansen, attribuito ogni anno dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) a personalità che si sono distinte per il lavoro a favore dei rifugiati. Un premio di 100mila dollari, utilizzati per l'ospedale di Borama, e che la Tonelli aveva accettato soltanto come riconoscimento per chi l'aveva aiutata: gli amici di Forli, la mamma novantenne, la famiglia. «Grata all'Alto commissariato - disse Annalena - per avere voluto concedere l'attenzione alla mia amata Somalia».
Annalena Tonelli è stata assassinata domenica sera a Borama, cittadina di frontiera nell'estremo nord-ovest del Somaliland, incuneato tra Etiopia e Gibuti. I testimoni raccontano che a ucciderla sono stati due ragazzi che avevano prima bussato alla sua porta di casa, poco distante dall'ospedale che aveva fondato. La volontaria laica è stata ferita dai colpi d'arma da fuoco ed è morta dopo un'agonia di un'ora.
La polizia del Somaliland ha parlato dell'azione di «un pazzo». Il presidente Dahir Riyalev Kahin ha espresso tutta la sua rabbia per la morte della volontaria che ha definito «un grande eroe». Mentre migliaia di somali in lacrime sono accorsi nell'ospedale di Borama. Sul perché, sul movente di questa esecuzione non ci sono che sospetti e voci. Dalla casa non è stato rubato nulla.
Durante quell'incontro nei cieli della Somalia, Annalena Tonelli ci aveva parlato delle minacce di qualche capo religioso, ma senza darvi troppo peso: «Convintissimi che la mia presenza è legata a un progetto di conversione dei musulmani, e poi accusata di avere portato l'Aids. Parole che fanno presa soprattutto tra i giovani. Ma c'è stato anche chi in moschea ha avuto il coraggio di parlare di me: "Io prego per Annalena perché quello che lei sta facendo non l'ho mai visto fare da nessuno. Lasciamola vivere in pace"». Le spoglie di Annalena Tonelli da ieri attendono a Nairobi l'arrivo dei parenti.
La «mamma del deserto» aveva sempre detto che il suo desiderio era quello di essere sepolta «nella mia amata terra somala».

 

 

 

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