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Anno Sociale 2007/08

Governatore

Dott. Sandro Cùzari

 "con gioia a servizio

dei bambini"

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STUDI KIWANIANI

 CONVEGNO

La donna del Kiwanis a servizio della comunità e dei bambini”

BRESCIA 29 MARZO 2008

 

LE RELAZIONI

Il bambino  diviso: tra bisogni interiori e accelerazioni sociali, nella cultura della velocità e del successo; il mestiere di crescere.

Alba Asfalti, Dirigente Regione Umbria, K. C. Perugia Etrusca 

Ciò che mi ha spinto ad accettare l’incarico di Presidente del Club, per la seconda volta, è stato un reale interesse verso la convenzione stipulata dall’ONU sui diritti  dei bambini nel mondo, con una fortissima spinta di realizzare – per quanto possibile – services  che, in gergo kiwaniano, significa trovare consensi e contributi intorno ad un’idea condivisa: realizzare dei sogni!

 Ciò che mi ha convinta a partecipare a questo Convegno è stato l’indirizzo dato dal Governatore e quindi una irrefrenabile voglia di indagare sui nuovi bisogni e sulle molteplici sollecitazioni di varia natura dei nostri figli.

 Il mio intervento è composto da due parti:

-     la proiezione di un CD     (bisogni di base di tutti i bambini del mondo)

-         relazione   Il bambino diviso tra bisogni interiori e accelerazioni sociali nella cultura

                 della velocità e del successo: il mestiere di crescere.

 Per la prima volta nella nostra storia abbiamo creato una Società priva di dittature, più libera, esente di disagi fondamentali come dittature e la povertà, la mancanza di una casa; per la prima volta possiamo concentrarci sulla possibilità di creare un mondo migliore e di aiutare chi è ancora invaso da questi bisogni. Tutto ciò però è mediato dalla necessità di non farsi prevaricare dalla rincorsa all’accumulo di ricchezza e dalla perdita nelle cose, ma dalla ricerca di senso ultimo delle cose.

 Io credo che in questo contesto sia assolutamente prioritaria l’urgenza di indirizzare  i nostri sforzi su un tipo di educazione verso i nostri giovani che sia concentrata sulla emotività, sul recupero di valori senza i quali quello che abbiamo saputo costruire in termini di ricchezza non avrà la possibilità di essere speso per il bene comune del mondo.

             E’ inutile possedere ricchezze superflue senza un’educazione che fornisca la capacità di entrare in empatia con i bisogni degli altri, riconoscere la sofferenza e sviluppare il senso di solidarietà, altruismo, generosità, compassione, giustizia, condivisione: fondamenti della speranza umana”

 CD proiezione

 RELAZIONE

Dovendo introdurre un argomento così vasto e complesso credo sia necessario innanzitutto chiarire qualche concetto che dimensioni il campo di intervento “città a misura d’uomo e di bambino”.

Nell’immaginario di ognuno di noi questa frase assume un significato diverso e particolare,  ma cosa significa “città a misura di bambino?”

A  questo proposito credo sia necessario cercare di sintonizzarsi sui bisogni reali del bambino che, ovviamente,  cambiano con l’avvicendarsi delle varie fasi evolutive. Quello che sappiamo è che c’è sempre uno scarto tra quello che il bambino intende per bisogno e quello che intende l’adulto. Ad esempio: nei primi anni di vita per il bambino bisogno significa essenzialmente presenza dell’adulto, contatto fisico, gioco, racconto, scambio diretto, coinvolgimento, emozione, scoperta;  per l’adulto bisogno può voler dire cibo, indumenti, una casa dove stare e, nella rincorsa lavorativa finalizzata all’acquisto di questi beni,  può paradossalmente essere distratto dalla soddisfazione dei bisogni prioritari del figlio.

Tutto ciò che ostacola  ”questa disponibilità del genitore ad esserci”   viene letto dal bambino come minaccia  con la conseguente emissione di  richiami, attraverso il linguaggio tipico della sua età. Nei primi anni di vita sarà il corpo a parlare attraverso fenomeni di inappetenza, insonnia, incompresa stitichezza, regressioni  linguistiche o altro: questi richiami non sempre sono decodificati dal mondo adulto o possono essere equivocati dando adito, a lungo termine, anche a seri disturbi comportamentali e di personalità (di fronte ad una cronicizzazione del sintomo).

Facciamo adesso per comparazione un salto evolutivo alla fase adolescenziale : ecco che, nella sostanziale permanenza del bisogno di aiuto, la misura cambia notevolmente.  L’adolescente è impegnato in un processo di ridefinizione dell’immagine di sé che si esplica, naturalmente, in opposizione o imitazione del genitore stesso.Il genitore, a sua volta, è coinvolto nel tema del riconoscimento della diversità del figlio, il quale conferma però ancora la continuità familiare e l’appartenenza.

            Un momento di trasformazione - passaggio molto delicato dove l’ascolto si rende fondamentale -  è rappresentato da un ascolto non finalizzato a dare risposte ma semplicemente a farsi condurre dove la parola  o i silenzi conducono senza pregiudizi. In   questa fase il genitore deve affrontare un punto critico perché viene confrontato con il proprio essere se stesso; l’adolescente non si accontenta più di papà e mamma, ma vuole conoscere la persona nei suoi pregi e difetti per definire se stesso nel confronto, ha bisogno di limiti per non andare troppo in là o rimanere eccessivamente coartato nel cambiamento.

In questo processo non si accontenta più di regole raccontate, ma diventa fondamentale l’evidenza dei limiti del genitore che, in quanto limitato, è in grado di limitare l’adolescente. Di fronte alle provocazioni dell’adolescente il genitore può trincerarsi dietro una coercizione dura e ipernormativa  che altro effetto non ha se non quello di far sentire in colpa il figlio per averlo attaccato, negandogli l’accesso a se stesso e comunicandogli implicitamente che crescere è sbagliato,  pericoloso oppure, all’opposto, con l’iperpermissivismo il genitore può fuggire dal confronto rinunciando a dare limiti e  ripiegando in comportamenti di tipo seduttivo dove alla sua fuga in avanti spesso consegue una sostanziale perdita nel mondo del giovane adolescente.

Quindi il problema è accettare il confronto con pazienza, curiosità e coinvolgimento non rinunciando a fare il genitore “significando limiti indispensabili quando giusti e necessari contrapponendo alle naturali e sani provocazioni dell’adolescente un reale e condiviso interesse.”

“A misura di bambino”  quindi può significare tante cose diverse in fasi evolutive che vanno decodificate nel tentativo di dare risposte adeguate non esulando mai però  da un elemento comune che “è la continuità della presenza e del rapporto  interpersonale genitori figli”. Questo significa tempo condiviso, scelte personali: tornare ad occuparsi dei figli.

E’ nei primi anni di vita che intorno al bambino si crea un nucleo caldo di affettività. I bambini hanno bisogno di essere cercati,  scoperti,  stimolati,  piano piano riconosciuti. Nei primi anni di vita al  bambino  si  insegna cos’è l’amore ed è in base a quanto sarà stato cercato e voluto che si sentirà degno d’amore.

Solo ciò che ci hanno permesso di conoscere possiamo amare e solo ciò che amiamo siamo disposti a proteggere,  compresi noi stessi!

Un quartiere, una città, iniziative di vario genere credo siano a misura di bambino quando non sono un’alternativa ad una famiglia che non c’è,  ma la sua logica estensione nella volontà di esserci.

Se allarghiamo lo sguardo alla contemporaneità, tentando una estrema sintesi, due principalmente sono i parametri  in continuo mutamento: il tempo e lo spazio.

 La nostra è una Società in fuga, la comunicazione  è sempre più accelerata …… ma quale comunicazione? Quella dei computer, di internet, della televisione e di realtà virtuali. Una volta per conoscere il mondo si usciva di casa  e ci si confrontava con una comunità in luoghi pubblici che presupponevano il tempo necessario all’incontro e quindi al confronto; oggi un adolescente rientra in casa e si collega ad una macchina a pagamento che  abolisce il tempo e lo spazio dentro una realtà virtuale. Oggi la troppa comunicazione, in senso lato, ci impedisce di pensare!

La tecnica è utile naturalmente, ma non può dare risposte, non può soddisfare la sete di senso, identità, libertà, etica che è alla base della vita, non può diventare un fine: pena il totale disorientamento.

Quali sono le soluzioni contrapposte alla sostanziale mancanza di una comunità pensante che si raccolga ed accolga i bambini nei loro bisogni reali? L’iperstimolazione? ossia mille impegni che si sovrappongono alla scuola e che riempiono la giornata in un susseguirsi incessante di velocità quando il problema,  io credo,  non è quante cose facciamo ma quanto sentiamo dalle cose che facciamo? No, perché  il presupposto essenziale ad un minimo di rielaborazione emotiva è il tempo ed il coinvolgimento.

Madre Teresa di Calcutta soleva dire “non è importante quello che facciamo ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo”

Quando c’è iperstimolazione il bambino vive l’angoscia di non riuscire a far  fronte alle cose, alza la soglia di percezione ed impara a reagire impulsivamente senza sentire.

 Al dilagare del gesto impulsivo e  incontrollato la famiglia e la scuola si stanno contrapponendo con grande difficoltà, disarmate anche da un mercato consumistico in una società opulenta dove le cose ci sono prima ancora di essere desiderate; un consumismo ladro di desiderio:  elemento  fondamentale ed indispensabile del puro piacere di esserci nell’atto fondativo di qualsivoglia comportamento umano.

Ecco che il presente diventa un vivere alla massima velocità non perché procuri gioia,  ma perché apparentemente permette di seppellire l’angoscia del futuro e della mancanza di senso profondo delle cose.

Le droghe più diffuse tra i ragazzi sono indicative. Sono droghe che eccitano, permettono di sentire e di essere “velocemente”,  perché i ragazzi devono confrontarsi non solo con la quantità di stimoli ma anche con le richieste sempre più pressanti degli adulti verso l’essere vincente, l’aver successo per poter esistere veramente.

 

            Ma noi siamo veramente sicuri che le persone competitive e vincenti sono più felici?

Gli emblemi del successo mediatico (potere, soldi, sfoggio del superfluo) sono veramente il miglior maestro di vita che desideriamo per i nostri figli?

            Cosa è più importante avere successo a qualsiasi costo o trovare un senso nell nostro sforzo di avere successo? 

            Un bambino diviso tra il non essere come perdente o il dover essere come vincente, con l’angoscia di dover ogni volta riconfermare la sua posizione, è veramente la strada migliore?

            In questo percorso a termine,  che è la vita,  è meglio insegnare e pensare gli altri come avversari o compagni di viaggio?

            Io credo in un mondo dove educare un bambino al poter essere ad una sana presa di coscienza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, indispensabili nell’intraprendere un cammino di saggezza, perché l’unico potere che abbiamo nella vita è quello che ci attribuiscono gli atri con la loro mente e soprattutto con il loro cuore.

            Si potrebbe cominciare a pensare un cammino dove emozioni e relazioni affettive costituiscano la forza propellente di ogni altra abilità cognitiva, progettare un futuro meno omologato e aperto nuovamente alla valorizzazione dell’individuo soprattutto nella sua dimensione creativa

            Molti percorsi  che portano un bambino a farsi del male iniziano da un perfezionismo forzato: un bambino non è il voto che prende  a scuola ma, se insistiamo abbastanza, possiamo convincerlo costringendolo in una spirale angosciosa costellata di disistima tale da portarlo, qualche volta, a gesti estremi.

            La famiglia, io credo, attualmente debba essere sostenuta con forza in percorsi strutturati di sostegno alla genitorialità per affrontare le tante sfide del presente e del futuro con una consapevolezza e con  strumenti adeguati alla complessità delle sfide stesse.

            I bambini non hanno paura delle cose, ma hanno paura delle nostre paure di adulti.

            Anche l’esperienza del dolore è essenziale nella costruzione dell’identità del bambino che non deve essere riparato,  ma preparato alla vita. 

Risulta evidente che dal punto di vista squisitamente cognitivo le capacità dei bambini si siano sviluppate notevolmente negli ultimi venti/trenta anni, ma questo non significa che siano più maturi.

Dal punto di vista sociale altre componenti del processo maturativo hanno subito un rallentamento: si guardi alla capacità di un ragazzo di assumersi responsabilità. Si suole descrivere questo fenomeno con il termine “adolescenza protratta”. Tra le tante variabili da indagare a questo proposito potremmo prendere in considerazione la scomparsa nella vita dei bambini dei luoghi e dei tempi che permettevano loro di giocare autonomamente in assenza di genitori ad es. i cortili, i parchi, le piazze oggi inospitali, pericolosi; tutto ciò favorito da una sostanziale assenza di comunità in contesti di famiglie mononucleari costrette in orari rigidamente gestiti da esigenze lavorative.

La stessa frase “da domani vai a scuola da solo”, che caratterizzava i primi anni delle scuole elementari insieme ad un primo riconoscimento di ruoli  adulti, oggi sembra diventata impensabile.

Necessitano spazi e tempi della quotidianità più flessibili ed adattabili in funzione di una educazione alla sensorialità che si va perdendo per mancanza di esperienze e di coinvolgimento diretto.

Comunicare con i figli non è solo parlare ed ascoltare, ma accarezzare, baciare, abbracciare, adorare, gustare profondamente il piacere e la bellezza di essere vicini.

Le immagini, le parole non hanno tempo e possono essere registrate e riascoltate, ma una carezza, un abbraccio, un profumo, un bacio  esistono solo adesso nel qui ed ora; hanno bisogno di tempo e di contatto per esistere, non sono possibili al telefono o in TV e rappresentano profondamente il nostro essere vivi dentro,  questo attimo irripetibile che è la vita!

Promuovere che cosa allora se non dei spazi, dei tempi e delle occasioni per valorizzare tutto ciò….. …………per  valorizzare non solo l’uso della parola ma il gesto, la corporeità, la fantasia, il conflitto.

C’è urgente necessità di luoghi dove riunirsi e raccontarsi a sé ed agli altri in modo libero e creativo, dove creare legami e sentire l’altro, oltre le convenzioni e le banali ritualità.

Sto pensando a spazi dove lavorare tutti insieme e tirare fuori l’energia e la rabbia che producono significati: il teatro ad es., ma non come compito da eseguire, ma  come scelta libera e creativa, come spazio fisico e mentale, superamento dell’imbarazzo, rivelazione e condivisione della parte oscura di ognuno di noi, come acceleratore di emozioni donate e ricevute.

Si potrebbe pensare a centri dedicati alla creatività giovanile, luoghi dell’immaginazione dove incontrare, progettare, emozionarsi, organizzare spettacoli,, dipingere, fare poesia danza, registrare musica, ritmo. Tutto è ritmo: il nostro respirare, il cuore, il sonno e la veglia, la fame e la sazietà, il coito, la sinergia dei battiti del cuore tra madre e figlio nella fase intrauterina, la vita è ritmo.

Le domande non si fanno più solo verbali ma corporee, con il corpo si chiede e con il corpo si risponde, parlare con la musica nel suo tratto più primitivo ritmato quello dell corpo, quello del battito del cuore.

La musica si sente come i sentimenti, i gesti d’amore, vive l’istante e la successione degli istanti che fioriscono l’uno nell’estinzione dell’altro inscindibilmente, legata al corpo proprio come i baci.

Tutto ciò risponde al diritto non solo di fare ma di fare qualcosa di emozionante; al diritto di prendere e perdere tempo perché è indispensabile per costruire un uomo ancora capace non solo di pensiero ma di sentimento, di speranza, capace di viaggio e di sfida, di trasformazione di sé, di passione, di gioco e d’utopia, capace di felicità che, come la normalità, non può essere posseduta individualmente perché risulta una condizione che trova esistenza solo nella condivisione: quindi un uomo capace di donarsi e di entrare in comunione con gli altri, di fare e di continuare a fare gioiosamente COMUNITA’ UMANA.

 Un sentito ringraziamento al KI per avermi dato questa opportunità ed un particolare ringraziamento a tutti Voi per avermi ascoltata: in questo grazie c’è molto molto molto di personale!

Alba Asfalti

 

 

 

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