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Anno Sociale 2007/08

Governatore

Dott. Sandro Cùzari

 "con gioia a servizio

dei bambini"

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STUDI KIWANIANI

 CONVEGNO

La donna del Kiwanis a servizio della comunità e dei bambini”

BRESCIA 29 MARZO 2008

 

LE RELAZIONI

LA DONNA PROTAGONISTA DI OGGI E DEL FUTURO

LA GRANDE AVVENTURA DELLA DONNA KIWANIANA:

ESSERE SE STESSA, CREARSI, FARE LA PROPRIA STORIA,

 DIVENTARE PROTAGONISTA DELLA STORIA

 

Mariavittoria Delpiano , Giornalista  KC Alessandria

 

La donna del Kiwanis


1924 - Mentre nel 1924 lo Statuto del Kiwanis International definisce il Kiwanis “una organizzazione di uomini” in Italia prende avvio il Liceo femminile istituito nel ’23 con la ben nota “Riforma Gentile”. Il Liceo femminile “ha per fine di impartire un complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirano né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale”. La scuola è riservata ad un’élite, infatti, la legge impone che “non possono esserci più di 20 Licei femminili in tutto il Regno”. Le giovinette diplomate non solo non saranno abilitate ad alcun lavoro, ma nemmeno potranno dirigere la propria scuola.
1972 - Mentre nel 1972 il Circle K International ammette le donne fra i suoi soci in Italia diventa popolare fra i giovani Fernanda Pivano, americanista, allieva di Pavese e Vittorini, amica di Hemingway, traduttrice di grandi scrittori contemporanei; nel 1967 aveva cominciato a far conoscere in Italia la beat generation. Lina Wertmuller, tutt’oggi una delle nostre poche donne regista, assapora il successo del film Mimì metallurgico ferito nell’onore, film di denuncia sociale. In Francia Nicole de Hauteclocque è la prima donna sindaco di Parigi.
1977 – Mentre nel 1977 il Key Club International ammette le donne fra i suoi soci in Italia è approvata la legge per la parità tra uomo e donna in materia di lavoro che afferma l’illegittimità di qualsiasi discriminazione nelle assunzioni.
1987 - Mentre nel 1987, a grande maggioranza, i delegati approvano l’iscrizione delle donne nel Kiwanis negli Stati Uniti d’America il Congresso dichiara il mese di marzo come il Mese della Storia delle Donne “per riconoscere il contributo delle donne nella storia e per promuovere l’insegnamento della storia delle donne”. In Gran Bretagna Margaret Thatcher è eletta Primo Ministro per la terza volta consecutiva. In Italia Alma Sabatini lega il suo nome a un libricino pubblicato dalla Commissione pari opportunità della presidenza del Consiglio. Il sessismo nella lingua italiana diventa un caso; con lo studio del linguaggio degli annunci e delle offerte di lavoro, della stampa, dei documenti della pubblica amministrazione la Sabatini dimostra come la lingua italiana sia strumentalizzata a scapito del genere femminile e fortemente pregiudizievole nei confronti delle donne. Unico territorio riconosciuto il mondo della scuola, dove “professoressa” e “maestra” appartengono, da sempre, al mondo femminile. E’ il 1987 dunque l’anno in cui il Kiwanis International estende l’invito alle donne a far parte dei clubs.
1999 – Per il KC Alessandria è il 1999 l’anno della svolta. Nella seduta elettiva per il presidente la scelta è per una donna. E’ una preside, esponente di spicco dell’ambiente culturale cittadino. A conferma dell’assioma “la persona giusta al posto giusto” dopo di lei altre donne si alterneranno al timone della presidenza con obiettivo, sempre, il consolidamento del club.

Oggi, la presenza femminile nel KC Alessandria è del 41% e l’età media di 55 anni. In consiglio la presenza femminile è del 57%.

Donne Interpreti di sofferenza e di speranza: uno sguardo alla storia

Cosa ci dice il libro della storia delle donne?
Ci ricollega all’odierna giornata di Studi Kiwaniani la prima assise al femminile: l’Esposizione Beatrice di lavori femminili organizzata da Angelo De Gubernatis nel 1890 a Firenze. Alunne scrittrici tennero una serie di conferenze sul tema “La donna italiana”.
L’avvenimento – fra i più citati di quegli anni – riunì molti intellettuali che, ondeggiando fra trionfalismi e apprensioni, tratteggiarono la società femminile italiana dell’epoca.
Incorniciata in trame intessute per l’occasione – Beatrice Portinari e le donne della Divina Commedia – la donna italiana ne uscì incarnata sì in sante, regine, principesse, benefattrici, donne amanti, donne in famiglia ma, anche, in termini più “moderni” di scienziate, novellatrici, romanziere, attrici, maestre, educatrici, studentesse, operaie.

La storia della condizione femminile racconta spesso il mancato riconoscimento dei diritti e della dignità della donna nelle società antiche, ma anche in quelle più vicine a noi.
L’impossibilità di progettare il proprio ruolo e di definire una sfera d’azione e di pensiero ha rappresentato una realtà quotidiana con cui si sono dovute confrontare le singole donne con le loro storie di vita ordinaria.
Costrette a vivere in un universo “maschile” che aveva stabilito in loro assenza le priorità e i valori di riferimento, le donne sono state spesso indotte con varie giustificazioni di ordine culturale privato, a sacrificare le aspirazioni profonde, ma anche i ritmi e i modi dell’esistenza concreta.

Gli scritti ottocenteschi sull’eccellenza spirituale femminile – siano indifferentemente opere di uomini o di donne – rappresentano modelli “pubblici” fortemente caratterizzanti in senso patriottico dello spirito di sacrificio e dell’amore materno e coniugale: sono cataloghi di sante o di donne e giovinette da ricordare e imitare per virtù cristiane; vestali di una religione della famiglia che sembra ancora vivissima, specie nel mondo contadino, immobile e morale, incurante della fatica.
I pochi segnali di mutamento vengono dalle donne dell’aristocrazia, avanguardia dei comportamenti sociali femminili.
La produzione di cataloghi di italiane illustri segna una seconda fase: personaggi femminili reali e fatti concreti tengono testa all’invadenza dei testi letterari diffusi soprattutto con il romanzo francese.
Nel 1909 Paola, la secondogenita di Cesare Lombroso, dà alle stampe Caratteri della femminilità. Nel saggio indica tre romanzi come specchio dei modelli culturali e dei comportamenti sociali femminili del nuovo secolo. E’ il romanzo, anzi, l’autobiografia a costituire la trama narrativa del modello di identità femminile. Insieme a quella di Malwida von Maysenberg, due di italiane: Una donna dell’alessandrina Sibilla Aleramo e Le memorie di Linda Murri a cura di Luigi di San Giusto (pseudonimo di Luisa Macina Gervasio).

Dieci anni dopo esce il primo numero de L’almanacco della donna italiana, edizioni Bemporad, come pubblicazione separata de L’Almanacco italiano e come sostegno della rivista La Donna. Nella prefazione si spiega che lo scopo dell’almanacco è quello di “aiutare la donna a proiettarsi fuori dalla famiglia”.

Spunti storici di donne che si sono dedicate al sociale diventando donne di speranza ce li possono fornire le figure cristalline di Juliette, marchesa di Barolo, Florence Nightingale, Ada Negri, Matilde Serao. Nomi tutti legati da una particolare atmosfera: donne che hanno scelto e che non si discostano dalle loro scelte neppure di fronte a sacrifici o difficoltà personali.
Cosa possiamo imparare da loro, noi kiwaniane del terzo millennio?
Questo: che se crediamo in qualcosa – per quanto lontana e difficile ci sembri – possiamo insistere, essere testarde senza diventare fanatiche o gettare la famiglia alle ortiche. Perché impegnarsi, si può!

Juliette, marchesa di Barolo (Maulèvrier 26 giugno 1786 – Torino 19 gennaio 1864), è una delle figure più importanti nel quadro delle opere assistenziali in Piemonte prima e dopo il Risorgimento.
Juliette Colbert de Maulévrier, discendente di quel Jean-Baptiste Colbert ministro delle finanze di Luigi XIV sposò Carlo Tancredi Falletti di Barolo Sindaco di Torino negli anni 1826/7 e consigliere di Stato nel ’29.
La nobildonna, definita “Madre dei poveri”, fedele al suo motto “Gloria a Dio, bene al prossimo, croce a noi” è un’antesignana della promozione della donna e svolge opere di carità nei confronti dei bisognosi non limitandosi, però, al solo soccorso materiale ma cercando di consigliare, istruire, rieducare alla vita.
Non ha il dono dei figli, ma non si ripiega sul suo dolore: adotta i poveri di Torino e, anticipando le riforme, Juliette inizia la sua opera nelle carceri dove s’agita e s’avvolge nel fango della parte più miserevole e più infelice dell’umanità.
Utilizza la sua condizione privilegiata per “svegliare” il potere civile e chiedere di modificare la condizione delle carcerate con un trattamento più umano e un maggior rispetto dell’igiene.
Migliorare l’esistenza morale, specialmente con l’istruzione religiosa che impartisce coadiuvata da altre dame, è uno dei suoi primi obiettivi. Successivamente chiede e ottiene l’introduzione dei cappellani, quindi propone il lavoro che considera essenziale per un reale recupero. Creare un carcere più vivibile. Ma non è facile. Nei primi tempi le più ostili sono proprio le carcerate alcolizzate alle quali impedisce di bere.
Dopo la morte del marito Tancredi, forse anticipata dall’abnegazione dei coniugi nel soccorrere gli ammalati di colera durante l’epidemia del ’35, Silvio Pellico, già introdotto in Casa Barolo dal comune amico Cesare Balbo, rimarrà sempre fedelmente accanto alla Marchesa (determinante per il Pellico l’amicizia con i Marchesi perché, oltre all’impegno di bibliotecario gli consentiranno di pubblicare tutte le sue opere).
Tra le numerosissime istituzioni benefiche alle quali è legato il nome di Juliette ricordo la fondazione di un primo asilo per ospitare quotidianamente i figli delle donne lavoratrici ed è ancora lei che fonda la “Famiglia operaia”, un convitto per le fanciulle a bottega.
L’ultima volontà di Juliette è per “L’Opera Pia Barolo, sotto l’invocazione di Santa Giulia, a maggior gloria di Dio e della santa religione cattolica, apostolica romana, a pubblico bene e con la piena osservanza di tutte le singole disposizioni”.

Florence Nightingale (Firenze 15 maggio 1823 – Londra 13 agosto 1910), è nata da una famiglia agiata e il suo sogno è vivere indipendente, studiare e dedicarsi all’assistenza degli ammalati.
Arrivata al culmine della notorietà la regina Vittoria le scriverà: Sarà una grande soddisfazione per me, conoscere di persona colei che ha dato un così fulgido esempio al
Raggiunta l’età in cui le fanciulle si preparano al matrimonio, Florence chiede e ottiene, non senza sacrificio da parte della famiglia, di potersi allontanare da casa.
Grazie al suo carattere tenace e volitivo gli anni dello studio scivolano via sereni. Ne uscirà una giovane matura, consapevole, libera.
Nel 1854 si combatte la guerra di Crimea. Florence, già decisa a partire come volontaria, riceve la nomina di “Sovrintendente del Corpo d’Infermiere degli Ospedali inglesi in Turchia”. Parte da Londra a capo di un gruppo di trentotto infermiere e dieci suore. La sua dedizione, il suo senso di responsabilità, il suo conforto ai feriti è noto a tutti e non ha alcun timore del colera!
Il lavoro che Florence Nightingale compie negli ospedali inglesi è incredibile: riesce a trasformarli da orridi e sudici luoghi in cui i soldati muoiono di malattia e di infezioni in veri ospedali, organizzati, puliti, efficienti.
Si ammala di tifo e la sua vita oscilla fra la vita e la morte. Rientra in Patria magra, indebolita dalle fatiche disumane ma la “Dama della lampada”, l’”angelo” della Crimea torna al lavoro di ogni giorno, come se nulla fosse.
Vive ancora a lungo, quasi cinquant’anni, una vita feconda e appassionata. Si occupa della costruzione di ospedali, scrive libri sul pronto soccorso e l’assistenza ai malati, ma soprattutto fonda una grande scuola per infermiere. E i suoi insegnamenti sono tuttora le basi della moderna scuola convitto della “Croce Rossa”.

Matilde Serao (Patrasso 7 marzo 1856 – Napoli 25 luglio 1927), in una lettera indirizzata alla giornalista Olga Ossani Lodi, “Febea”, con un certo candore, si descrive: Nata da madre greca e padre napoletano – Salute insolente e impenitenza cronica – Miopia costituzionale – Grande passione per i maccheroni, i dolci squisiti e i libri – Odio infantile e radiato allo scrivere, con relativa calligrafia orribile – Nessuna cultura classica – Lettura straordinaria, imbrogliata, scientifica e romanzesca – Ambiente giornalistico un po’ bohème – Quattrini pochi. Per il marito Edoardo Scarfoglio è una donna che nella scatola cranica porta una miniera d’oro. Opinione comune è che la Serao è un concentrato di energia vitale allo stato puro!
Che Matilde sia stata donna eccezionale per le regole dell’ambiente italiano e per il suo sesso se ne accorge anche un signora “snob” come la scrittrice americana Edith Wharton pupilla di Henry James quando, incontratala in un salotto parigino alla vigilia della Grande Guerra le riconosce la capacità di raggiungere punte mai rilevate nei discorsi di altre donne, perché, dice, cultura ed esperienza sono fuse nello splendore di un forte intelletto.
L’esordio letterario di Matilde avviene sul Piccolo con un bozzetto intitolato “Una viola” e firmato Tuffolina (altri pseudonimi saranno Chiquita, Gibus, Riccardo Joanna, Giuliano Sorel, Sigma).
Il puntiglio di farsi notare, la comunicativa che del suo carattere è la dote più appariscente, la sua rumorosa e generosa discorsività, mai pettegola tuttavia, l’intelligenza dolente e scanzonata della vita, il culto appassionato dell’amicizia, l’orrore per le “pose”, il garbo delle sue prime note a poco a poco le valgono larga notorietà. Matilde annota e impara sempre fedele al primo imperioso proposito di scrivere nient’altro che scrivere, proclama nell’assumere il primo impiego, questo è il mio mestiere. Questo è il mio destino. Scrivere fino alla morte. Ed, infatti, il 25 luglio del 1927 sta scrivendo un Moscone per il giornale “Dietro il paravento”. L’ultima parola è “amabile”.

Ada Negri (Lodi 3 febbraio 1870 – Milano 11 gennaio 1945) nasce da Giuseppe, manovale e da Vittoria Cornalba, tessitrice. Di umilissime origini, trascorre la puerizia e l’adolescenza nella povertà. Studia fra gli stenti e, conseguito il diploma di maestra, insegna nelle scuole elementari.
Poetessa e narratrice di viva ispirazione, predilige tre temi fondamentali: la natura, l’amore, la maternità. Al suo esordio diviene subito nota per le liriche di intonazione sociale, ricche di umanità e vibranti di passione che rivelano un animo nobilmente proteso verso gli umili e gli infelici. Conseguente ai primi successi letterari, a 23 anni, arriva ad honorem la nomina all’insegnamento nella scuola normale. Con la sua poesia di denuncia conquista la fama di poetessa del “quarto Stato”, dal titolo del celebre quadro dell’alessandrino Pelizza da Volpedo. (protagonista del dipinto è la folla degli umili, proletari e sottoproletari in camino con andatura calma e solenne che esprime consapevolezza delle proprie idee e fiducia nell’avvenire)
Abbandonata la lotta di classe si concentra sulla condizione femminile e già sposa di un industriale biellese e madre della piccola Bianca, dà alle stampe il volume di versi “Maternità”. Lasciato l’insegnamento collabora come giornalista al “Corriere della Sera” ed è, tra l’altro inviata a Messina, distrutta dal terremoto.
Il suo capolavoro è “Stella mattutina”, opera autobiografica che sviluppa il tema del passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Giustamente valorizzata nella sua Lodi, è di qualche settimana fa l’intervista impossibile in occasione dell’850esimo dalla fondazione della città. Notevole ricordare la sua designazione all’Accademia d’Italia nel 1940.

Le figure di intellettuali e di scrittrici, tranne pochissime eccezioni, datano successivamente a questa stagione storica e documentano l’affiorare di una ricchezza creativa e di una curiosità conoscitiva a lungo soffocate, ma mai spente.
Il cammino è stato ed è graduale, giacché ha interessato per lungo tempo ristretti strati sociali privilegiati, si è diversificato per aeree geografiche e tarda ancora oggi a interessare ampie zone del nostro pianeta. Ma è un processo avviato, che ha fortunatamente modificato la mentalità collettiva, giustificando, se non attuando, la rivendicazione di pari opportunità intellettuali per i due sessi.
La conquista di questo spazio ha permesso, ad una parte del mondo femminile di intraprendere una riflessione sul proprio ruolo, di accostarsi alla lettura e dunque alla cultura, nei casi migliori di “imbracciare” coraggiosamente la penna per parlare di sé.
Queste donne “privilegiate” che imparavano a dire “io” dopo lunghi secoli di silenzio, cercavano in primo luogo una realizzazione personale, ma si sono presto rese conto di lottare in realtà anche a nome di quelle che, meno fortunate, passavano in quegli anni dalla dimensione “casalinga” al contesto alienante della fabbrica.


La donna kiwaniana:
saper leggere il nostro tempo con intelligenza, perseveranza e coerenza


Abbiamo visto in precedenza che la donna è sempre stata presente nella storia: sulla scena sociale, intellettuale, pubblica, conflittuale.
Se oggi ci guardiamo intorno e osserviamo la società in cui viviamo nel suo divenire, ci rendiamo conto che i soggetti definiti “enti educativi” (famiglia, scuola, chiesa, associazioni, mass media, etc.) hanno tutti una caratterizzazione più o meno esplicitamente educativa, il che non significa, però, che siano sempre educativi in atto. Questo, a mio avviso, implica che noi tutte, quali donne kiwaniane, dobbiamo occuparci dell’educazione di persone, cittadini, lavoratori, per dotarli di quelle competenze senza le quali la nostra civiltà non si regge, anzi può regredire nel caos.
Ora possiamo chiederci in che modo oggi la donna, e in particolare la donna kiwaniana, possa concorrere alla promozione e condivisione dell’educazione intesa come “bene comune”. Quali vie, dunque, occorre intraprendere per formare il “bene comune”?
Non è un “tornare indietro”, bensì un cercare di collocarsi nel presente, di vivere la contemporaneità dentro una storia che si fa avvenimento quotidiano, contribuendo con un agire denso di significati.
La prima indicazione appare molto banale: non ci può essere educazione al “bene comune” se non lo vogliamo con perseveranza e coerenza. Non basta identificare un nucleo di valori condivisi e di comportamenti virtuosi in campo etico, se poi non si riesce a metterli in pratica, oppure non basta dichiararsi parti di una comunità, se poi non ne condividiamo gli oneri che ne possono scaturire.
Regole e principi non possono essere solo enunciati, ma devono innanzi tutto essere sperimentati e così, sperimentandoli, provare se stessi; la convivenza, infatti, è un’esperienza che vive di sentimenti e di rapporti interpersonali.
Cittadinanza, convivenza, bene comune, se restano sul piano delle enunciazioni di principio, rischiano di risultare parole astratte. Per questo, l’educazione a divenire e ad essere “cittadini del mondo” deve necessariamente contenere qualcosa di più e di diverso
Ripensare all’educazione significa porsi in un’ottica di disponibilità verso gli altri con un agire di significati da rinnovare continuamente.
Occorre, quindi, la presenza di una persona che nel suo compiersi sa farsi parte attiva, critica e consapevole in modo da concorrere alla crescita dei valori tradizionali, che sono un “bene comune”, e non alla loro “rottamazione”.
Non bisogna dimenticare, poi, che le “buone azioni” non sono di competenza dello Stato e delle istituzioni pubbliche né sono acquistali nei supermercati. Sono, invece, parte di una funzione sociale diffusa che coinvolge persone e ambiti in cui esse operano, ciascuna con il proprio ruolo, valori e specificità, accomunate dalla ricerca di complementarietà e sinergie sul terreno della socialità, relazionalità, reciprocità.
La donna kiwaniana, secondo me, nell’attuale società deve essere una “educatrice civica” il cui fine è quello di formare persone capaci non solo di comprendere ma anche di volere il bene, consapevoli di essere parte di una realtà in continua evoluzione.
La donna kiwaniana non dovrà essere tollerante e interessata a salvaguardare i propri margini le libertà, ma dovrà essere in grado di dare un significato personale alla realtà in cui si trova e agire in modo conseguente.
Solo sostenendo le persone a farsi una ragione del loro esistere nel mondo e del senso della vita sociale e a rendersi capaci di perseguire tali fini con determinazione, si possono evitare i rischi di un completo disinteresse verso la società in cui viviamo.
Lo scopo nostro è, quindi, quello di aiutare tutti, ma soprattutto i giovani, a conoscere gli “altri” come persone, a stimarli, e a sperimentare in tal modo la loro responsabilità verso il gruppo cui appartengono.
Ma si può perseguire praticamente tutto ciò?
Ritengo di sì, purché noi adulti ci riappropriamo del nostro ruolo e dei nostri compiti educativi, perché, a ben guardare, sono forse gli adulti che hanno smarrito la loro responsabilità di educatori.
E’ una strada che si può percorrere per creare consapevolezza educativa in tutti gli “enti educativi”, compresa la nostra organizzazione, basta non lasciarsi prendere dallo sconforto per eventuali insuccessi e dalla pigrizia.


PRECETTI PER LA DONNA KIWANIANA

1. Ricordati sempre che sei donna
2. Sii sempre te stessa
3. Procedi senza indugio a fianco dell’umanità
4. Cammina all’ombra di ciascuno che incontri
5. Non giudicare al primo sguardo
6. Sii disponibile senza pretendere nulla in cambio
7. Non biasimare i giovani che ricercano il piacere come se fosse l’unico bene
8. Insegna loro a dare valore al tempo
9. Raccomanda loro, se hanno molto, di non pretendere il tutto
10. Non confondere i bisogni altrui con i tu

Mariavittoria Delpiano

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