Il Kiwanis a tutela dei diritti dei
bambini.
Tutelare i diritti dei bambini è una necessità
perché il livello della qualità della vita goduto
dai bambini e dagli adolescenti è un potente
indicatore dello sviluppo di tutta la società.
A
tutela dei diritti dei bambini il Kiwanis interviene
con conferenze e service favorendo la realizzazione
dei seguenti obiettivi:
1.
Favorire
l’acquisizione di una cultura della maternità e
paternità libere e responsabili sostenendo
concretamente l'esercizio delle responsabilità
familiari e stimolando
la formazione di una
adeguata rete di servizi pubblici.
2.
Attivare, attraverso service
territoriali, interventi che possano sostenere
soprattutto i bambini in età pre-scolare e i
genitori in difficoltà.
3.
Garantire e proteggere il diritto
all’istruzione.
4.
Favorire l'offerta di una rete di
servizi, complementari alla scuola e alla famiglia,
volti a migliorare la qualità del tempo libero
dell'infanzia e dell'adolescenza.
5.
Aiutare a trovare una soluzione
all’attuale triste e perdurante fenomeno della
violenza e dello sfruttamento dei bambini, della
devianza e della criminalità, stimolando la
fermezza e la competenza delle istituzioni.
Favorire l’acquisizione di una
cultura della maternità e paternità libere e
responsabili sostenendo concretamente l'esercizio
delle responsabilità familiari
e stimolando la formazione di una
adeguata rete di servizi pubblici.
Si tratta di preparare e
aiutare i genitori a svolgere bene e in maniera
responsabile la loro funzione. A tale scopo sono
opportuni interventi di sensibilizzazione rivolti
agli utenti e ai responsabili dei servizi pubblici
ospedalieri e territoriali a servizio dei bambini:
-
I consultori, che hanno la funzione
di servizio territoriale aperto e competente e
intervengono anche in merito alla contraccezione e
all'interruzione di gravidanza, devono poter
informare tutte le gestanti sui diritti
all'assistenza, all'anonimato, a non riconoscere il
neonato. Essi devono contemporaneamente poter
rafforzare nei futuri genitori la fiducia di essere
attori competenti dei loro progetti educativi,
devono informarli sui servizi che potranno aiutarli
nelle loro difficoltà genitoriali e devono poterne
eventualmente favorire l’accesso.
-
Vanno decisamente potenziati tutti i
settori del servizio materno infantile sia per la
psicologia che per la salute mentale in età
evolutiva, con particolare riferimento a bambini
portatori di handicap fisici, psichici, sensoriali,
intellettivi, relazionali. I servizi territoriali
come i servizi ospedalieri, devono poter intervenire
con capacità diagnostica
precoce su tutti i possibili problemi della coppia
genitoriale e del bambino, assicurando
contemporaneamente ai genitori tutte le forme di
sostegno e di informazione utili ad affrontare e
migliorare la situazione.
Attivare, attraverso service territoriali,
interventi che possano sostenere soprattutto i
bambini in età pre-scolare e i genitori in
difficoltà.
I primi
anni di vita del bambino sono decisivi per la
costituzione della sua personalità. In questo
periodo il bambino attiva molti investimenti
relazionali, affettivi e cognitivi ed è
importantissimo agevolare le esperienze di
socializzazione nei suoi primi anni di vita.
Voglio ricordare che quando
si dibatte sul problema della socializzazione in
età evolutiva e soprattutto dei minori portatori
di handicap, questa viene troppo spesso considerata
limitatamente al processo di inserimento nel
contesto sociale e quindi scolastico. Invece la
prima socializzazione è quella che avviene nella
famiglia nel primo anno di vita e tutti i processi
di separazione, identificazione e, quindi,
relazionali, nascono nella famiglia nel primo anno
di vita.
Chi si prende cura di un
neonato è la mamma e questa figura ha un enorme
potere sia per la dipendenza fisica del piccolo sia
perché stabilisce su una base erotica il
collegamento tra le necessità dell’organismo e il
bisogno sociale di essere amati.
Il
ruolo di genitore e soprattutto il ruolo di madre è
oggi diventato sempre più difficile anche perché sul
ruolo di madre pesa una mitologia millenaria, che
rende quasi impossibile sentirsi abbastanza materne.
Nel mito la madre è una persona che si preoccupa
sempre degli altri prima che di se stessa, che trova
il suo riconoscimento nel dare, nel nutrire. Con
questo ideale le madri impegnate in attività
lavorative pensano spesso di essere madri
inadeguate.
Oggi
questo tipo di madre “ideale” del mito, costretta a
dare poco valore a sé, che può acquisire potere
solo in un dare che non ottiene riconoscimento
sociale, per non sentirsi frustrata nella sua
identità ha spesso bisogno di sentirsi
indispensabile per i suoi figli tanto che finisce
per dominarli invece che incoraggiarli a vivere.
Una
importante responsabilità educativa consiste inoltre
nel vedere il bambino nella sua unicità e ciò può
avvenire solo se si evitano massicce proiezioni di
propri desideri sul bambino.
E’ importante un’educazione
rispettosa e non abusante della prima infanzia.
E’ questa che pone le basi perché si possano
perseguire gli obiettivi delle altre successive
educazioni.
Se un bambino è stato rispettato avrà dentro di sé, come
sapere proprio, le risorse per rispettare gli altri
e saprà controllare le eventuali tendenze
aggressive.
Per questo diventa di primaria
importanza aiutare precocemente i genitori ad
entrare nel loro ruolo genitoriale e per fare
ciò è necessario comunicare, rendere le masse e i
vertici sempre più consapevoli del problema e creare
servizi con operatori in grado di aiutare le coppie
genitoriali a risolvere i loro vissuti conflittuali
e a liberarsene.
Nella realtà della Regione Sicilia,
così come anche nelle altre realtà regionali, i
disturbi dello sviluppo a fini
diagnostico-terapeutico-preventivi, sono male
“inseguiti” da interventi sporadici, non
continuativi e non integrati.
Da uno studio condotto
nella Regione Lazio (“Psich. dell’Inf. e dell’Ad.”
1996 vol. 63 pgg. 307-311) circa 4 bambini su 100
presentano difficoltà psicologiche importanti e
dolorose che non vengono trattate e che molto spesso
costituiscono i primi campanelli d’allarme per
future patologie psichiatriche franche e clamorose.
Si tratta di bambini che presentano un “pulviscolo”
di sintomi che cambiano di anno in anno (con periodi
di apparente silenzio) e che nella maggioranza dei
casi vengono inquadrati in una sindrome clinica
strutturata solo tra i 12 e i 14 anni. Esiste dunque
un’enorme fascia di bambini ad alto rischio
psichiatrico che, con una politica attenta e non
allarmistica potrebbero essere riconosciuti e
seguiti già dall’età che va dai 2 ai 7 anni. I
Servizi non si occupano o si occupano male di questa
fascia di minori che possiamo definire con “sofferenza
psicologica silenziosa”.
Un altro gruppo mal seguito è quello
dei cosiddetti “piccoli problemi psicologici”
che comprendono disturbi del sonno, disturbi
psicosomatici, enuresi, encopresi, tics, balbuzie,
disturbi oppositori-provocatori, disturbi nevrotici
persistenti che, secondo le stime internazionali
riguardano almeno 8 bambini su 100 e per i quali
vengono richiesti annualmente oltre 16 mila
contatti.
Tra i vari disturbi dello sviluppo
esiste attualmente la categoria nosografica dei “disturbi
generalizzati dello sviluppo non altrimenti
specificati (DGSNAS)”, una categoria in
negativo senza criteri diagnostici propri. Vi
confluiscono tutti quei disturbi che pur
presentandosi con difficoltà di comunicazione e/o
interazione, e/o interessi ristretti e sterotipati,
non rispondono, quantitativamente o
qualitativamente, ai criteri diagnostici per
l’autismo, per la sindrome di Asperger, per la
sindrome di Rett, per i disturbi disintegrativi. In
pratica la diagnosi differenziale viene però fatta
quasi sempre rispetto all’autismo. In effetti, oltre
all’autismo, tra i disturbi con cui va posta la
diagnosi differenziale si devono considerare i
disturbi dell’attenzione con iperattività, i
disturbi dello sviluppo della coordinazione motoria,
i disturbi del linguaggio, i disturbi
ossessivo-compulsivi, il disturbo di personalità
schizoide, il disturbo di personalità evitante.
La
creazione di Centri specialistici della prima e
seconda infanzia permetterebbe di giungere ad
inquadramenti diagnostici precoci e a precoci
trattamenti psicoterapeutici e riabilitativi
attraverso:
Garantire
e proteggere il diritto all’istruzione.
La formazione e
l'apprendimento sono connaturali ai bambini. Il
desiderio di conoscere e di saper fare non è solo
funzionale al raggiungimento della propria
autonomia, ma è anche l'espressione della piacevole
curiosità con cui ci si affaccia verso la
complessità del mondo circostante. La scuola è il
luogo nel quale i ragazzi e le ragazze, i giovani e
le giovani devono sentirsi protagonisti, esprimendo
potenzialità, interessi, progetti. Per troppi
adolescenti, invece, la scuola è un luogo da cui si
fugge. L'abbandono scolastico è oggi una piaga
sociale che va combattuta sostenendo e riaffermando
la funzione insostituibile della stagione formativa
scolastica per favorire la crescita integrale delle
persone. A tale scopo bisogna impegnarsi per
migliorare le capacità formative sia dei genitori
che degli insegnanti.
Favorire l'offerta di una rete di servizi,
complementari alla scuola e alla famiglia, volti a
migliorare la qualità del tempo libero dell'infanzia
e dell'adolescenza.
Ci si accorge dell'infanzia e
dell'adolescenza, solo quando si presentano
"problemi" ed emergenze. Bisogna invece imparare a
pensare la normalità della vita quotidiana e rendere
le città amiche dell'infanzia. Per crescere bene è
necessario che vi sia tempo per i rapporti e vi
siano spazi dove vivere la propria età. Questo vuol
dire promuovere programmi di aggregazione e di
formazione civica di qualità, fondati su modelli
educativi aperti e rispettosi della ricchezza del
patrimonio sociale, culturale e religioso del nostro
paese. Gli orientamenti educativi dovranno
corrispondere alla sempre maggiore necessità di
formare alla convivenza civile, alla legalità, al
rispetto della differenza sessuale, alla salute
integrale della persona, al lavoro creativo e
produttivo, alla multiculturalità.
Gli itinerari della crescita, della
formazione e della socializzazione sono stati
individuati, come luogo di prevenzione del disagio e
di rafforzamento delle identità, in una prima legge
nazionale di cambiamento nel sistema delle politiche
sociali italiane: la legge n. 285 del 28
agosto 1997.
Questa legge ha contribuito ad un
risveglio di interesse e di responsabilità delle
istituzioni e della società verso i cittadini più
piccoli prevedendo l’istituzione di un apposito
Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza
finalizzato alla realizzazione di interventi a
livello nazionale, regionale e locale per favorire
la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo
sviluppo, la realizzazione individuale e sociale
dell’infanzia e dell’adolescenza.
Tra i progetti ammessi al
finanziamento del Fondo è prevista la creazione di
servizi ricreativi ed educativi per il
tempo libero, anche nei periodi di sospensione delle
attività didattiche (art. 3). L’obiettivo generale
degli interventi realizzabili in questo ambito è di
creare sul territorio una presenza significativa di
azioni orientate a favorire la cultura e la pratica
del gioco. L’esperienza ludica è, infatti, una
componente essenziale per lo sviluppo della
personalità. Un bambino che gioca non è mai un
bambino che “perde tempo” ma un bambino che
“guadagna tempo” sperimentando libertà e limiti,
fantasia e realtà, conflitti e mediazioni.
Nell’ambito del sistema formativo
integrato, i servizi centrati sulla valorizzazione
del gioco possono coinvolgere anche la scuola
ponendosi come vere e proprie “aule didattiche
decentrate”, alla stessa stregua cioè della
biblioteca. Attività di laboratorio, esperienze di
animazione e creatività, svolgimento di giochi di
simulazione, possono costituire offerte interessanti
che valorizzano questi servizi anche in orario
scolastico. Ciò può consentire ai bambini/e di
conoscerne le opportunità per poi utilizzarle anche
nel tempo libero, e alla scuola di aprirsi al gioco
senza venir meno alla propria identità pedagogica.
Accanto al rapporto con la scuola
altri obiettivi qualificanti dei servizi ricreativi
centrati sul gioco sono: lo sviluppo delle pari
opportunità fra maschi e femmine nel gioco, lo
sviluppo della socializzazione e integrazione fra
soggetti appartenenti a diverse etnie e culture e
una forma di prevenzione del rischio, del disagio,
della devianza.
Il gioco ha il grande vantaggio di
creare situazioni accoglienti in cui il bambino è
portato ad inserirsi con un ruolo attivo in cui
interagisce e comunica, mostrando effettivamente se
stesso.
Il gioco dunque e i centri ricreativi
si rivelano anche un campo d’esperienza fondamentale
per un educatore attento a cogliere in atteggiamenti
e comportamenti dei soggetti più giovani gli
eventuali indicatori di difficoltà e disagi su cui
intervenire.
Aiutare a trovare una soluzione all’attuale triste e
perdurante fenomeno della violenza e dello
sfruttamento dei bambini, della devianza e della
criminalità, stimolando la fermezza e la competenza
delle istituzioni.
Bisogna contribuire a:
-
far conoscere la
realtà della violenza contro i minori, anche e
soprattutto all'interno della famiglia,
-
indagarne entità e
caratteristiche
-
creare le condizioni
per interventi che combattano alla radice questo
fenomeno.
-
costruire le
condizioni per limitare il danno nei bambini
maltrattati.
E' certamente importante reprimere
ogni forma di violenza contro i minori, ma occorre
farsi carico di prevenire e di spiegare, per
facilitare in tutti gli adulti
l'attitudine a comunicare e relazionarsi
correttamente con i più piccoli.
La Legge nazionale 328 del
2002 è la “legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali” e
può essere utilizzata per progettualità relative a
questa che si può ben definire una situazione di
grave emergenza sociale.
L’abuso del minore all’interno
della famiglia deve
farci sempre considerare la “situazione
contestuale”, il ricco intreccio di fattori e
protagonisti diversi che riguardano i genitori, gli
eventi della famiglia e il contesto sociale nel
quale questa è inserita.
Il quadro è estremamente complesso
perché spesso l’abuso ha a che fare con delle
famiglie in cui il controllo degli impulsi è
precario e, laddove devono avvenire delle
negoziazioni, si usa l’ostilità, l’aggressività e
così via.
All’interno delle famiglie possono
poi crearsi situazioni scatenanti legate a fattori
di stress e il bambino può avere delle
vulnerabilità che esprime in comportamenti
difficili.
Quando in caso di abuso ci si rivolge
al clinico questo deve essere in grado di cogliere
soprattutto l’intenzionalità implicita del
bambino e ciò tra tendenze molto contraddittorie e
con molta difficoltà nel tentativo di salvaguardare
un rapporto.
L’intenzionalità implicita
è una intenzionalità di cui il bambino non è
consapevole e che non è in grado di esprimere in
parole; siamo noi che osservando il suo
comportamento dobbiamo scoprire i suoi bisogni e
quindi la sua volontà.
Tutto ciò è estremamente complesso e
implica formazione degli operatori e capacità di
ascolto, ovvero capacità di saper osservare, di
saper cogliere tutti gli stati d’animo del bambino,
accanto alla conoscenza dei modelli teorico-clinici
del funzionamento infantile.
L’intervento di valutazione e di successiva presa in
carico del minore deve comunque ruotare intorno ad
un problema prioritario che è quello di considerare
il minore vittima di reato all’interno del complesso
scenario familiare e sociale in cui si è realizzata
la violenza.
Troppo spesso si fa uscire
rapidamente di scena il contesto familiare e molti
interventi mirano solo ad isolare immediatamente il
bambino dal contesto familiare per motivi tra
virgolette protettivi, senza lavorare su questo
contesto e sulla relazione. Ma noi sappiamo che le
separazioni protettive hanno dei limiti e non
possono essere effettuate nel totale abbandono del
contesto familiare perché in questo tipo di
separazioni il rientro del bambino dovrà prima o poi
avvenire nello stesso contesto familiare dal quale
il bambino è stato allontanato.
La nuova legge che ha
riformato l’istituto dell’adozione ( Legge n. 149
del 2001 ), in attuazione dei principi espressi
dalla Convenzione ONU, afferma che il minore ha
diritto ad essere educato all’interno della propria
famiglia e che le condizioni di indigenza dei
genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non siano d’ostacolo all’esercizio del
diritto del minore alla famiglia.
Ø
Tuttavia
gli interventi di sostegno alle
famiglie in difficoltà sono ancora carenti e
l’affido familiare scarso.
Quando poi quest’ultimo viene
utilizzato dall’autorità giudiziaria perde i suoi
connotati tipici di assistenza temporanea e
provvisoria al bambino in difficoltà. Il lavoro sul
contesto familiare, quando viene fatto, avviene il
più delle volte in maniera “selvaggia”, senza una
progettazione e una programmazione del tipo di
intervento e dei tempi necessari al rientro del
bambino nello stesso contesto. Questo rientro in
genere non avviene, in parte a causa del
cronicizzarsi della situazione di disagio dei
genitori, in parte perché l’affidamento costituisce
a volte l’anticamera dell’adozione.
v
Un diritto fondamentale
del minore vittima è quello di avere una
rappresentazione giudiziaria.
L’art. 12 della Convenzione
Internazionale dei Diritti del fanciullo prevede:
“Gli stati
garantiscono al fanciullo capace di discernimento il
diritto di esprimere liberamente la sua opinione su
ogni questione che lo interessa, le opinioni del
fanciullo devono essere debitamente prese in
considerazione tenendo conto della sua età e del suo
grado di maturità. A tal fine si darà in particolare
al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in
ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo
concerne, sia direttamente, sia tramite un
rappresentante o un organo appropriato, in maniera
compatibile con le regole di procedura della
legislazione nazionale”.
Al centro c’è il problema della
capacità di discernimento. La capacità di
discernimento va collegata ai contesti considerati.
Se un giudice da delle informazioni con un
linguaggio rigorosamente giuridico è chiaro che il
bambino capisce poco, ma se organizza una
comunicazione circolare con lui che consente la
verifica di cosa comprende il bambino gli si possono
dare informazioni molto complesse ad un’età anche
molto bassa.
Con il bambino dunque non si deve
rapportare l’adulto che misura e valuta ma l’adulto
che attiva e fa emergere le sue capacità. Per
rispondere allo spirito di questa norma
si richiede che l’adulto cambi
qualcosa del suo modo di ascoltare il bambino,
del suo modo di informarlo, del suo modo di
decidere con lui e per lui, del suo modo di
rappresentarlo continuamente.
Se non si opera perché tutto ciò si
realizzi i rischi possono prevalere perché adulti
incompetenti possono ridicolizzare e annullare la
norma dimostrando che è solo ideologica.
Noi oggi non abbiamo
ancora la possibilità di avere una rappresentazione
del minore vittima nel processo, chiaramente
nell’ambito di un intervento rispettoso e
organizzato a seconda delle necessità della vittima,
ad es. con uno specchio monodirezionale, nell’audizione
protetta (-art. 392 e ss. C.p.p.-). La presenza
concreta della vittima comporta una sua presa in
carico più precisa e rispettosa all’interno della
scena giudiziaria. Oltre all’audizione protetta tra
le modifiche alle norme dell’ordinamento di
procedura penale è stata introdotta l’anticipazione
dell’ascolto in sede di incidente probatorio.
Lo scopo fondamentale della nuove procedure è quello
di evitare che il minore vittima-testimone in un
processo penale venga fatto oggetto di un esame
incrociato e subisca così una seconda
vittimizzazione.
Ø
Ma laddove questi
strumenti vengono applicati, il loro scopo primario
resta lettera morta perché la testimonianza del
minore non viene raccolta in tempi brevi, con
professionalità, evitando le contaminazioni dei
ricordi e fornendo al giudice elementi chiari e
incontrovertibili.
Si avverte sempre più l’esigenza che le
figure che si muovono intorno al minore (giudici,
psicologi, assistenti sociali, poliziotti,
insegnanti, ecc.) acquisiscano competenze sempre più
specifiche per fronteggiare nei loro diversi ambiti
e in tempi adeguati le varie fasi dell'’iter
giudiziario a cominciare dalla denuncia dell'’abuso.
La Convenzione di
Strasburgo mette il bambino nella condizione di
esercitare i suoi diritti, di essere attivo nei
confronti dei suoi diritti: diritto di essere
ascoltato, informato prima di essere ascoltato e
dopo le decisioni. Il bambino ha quindi una
posizione attiva nei confronti degli adulti e della
famiglia. Ciò cambia la sua posizione in famiglia e
la posizione della genitorialità nei suoi confronti,
cambia la sua posizione nei confronti degli
operatori sociali e degli operatori del diritto e
viceversa. La Convenzione di Strasburgo porta a
compimento un lungo dibattito sui diritti del
bambino con una Norma che può sembrare paradossale e
rischiosa.
Bisogna far conoscere questa norma
chiarendo che con essa il bambino non diventa adulto
ma rimane bambino soggetto dei propri diritti e che
ciò che essa vuole cambiare è: l’esercizio della
conoscenza del bambino, dell’ascolto del bambino,
delle decisioni sul bambino.
Il rischio più grave in cui oggi si può
incorrere se non si interpreta e attua la norma in
maniera adeguata è che facendo diventare il bambino
sempre più adulto si indebolirà ancora di più la
famiglia, la quale delegherà sempre più ad altri
adulti il problema in qualsiasi occasione di
difficoltà.
In questo modo il bambino può perdere
l’unica e più importante “agenzia” a sua
disposizione, la più reale e costante, perché si
possono avere tanti adulti che rappresentano e
tutelano il bambino, ma nessuna agenzia come la
famiglia assicura funzioni affettive e relazionali
continuative.
Dott.ssa Assunta Montesano
Neuropsichiatra Infantile
KIWANIS INTERNATIONAL Distretto
Italia – Divisione Sicilia 6
Presidente Kiwanis Club Terrasini
Calarossa
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