Anno Sociale 2007/08
Governatore
Dott. Sandro Cùzari
"con gioia a servizio
dei bambini" |
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I DIRITTI SOTTRATTI AI BAMBINI
Milioni di bambini e adolescenti sono vittime di
sfruttamento e guerre.
Trecento milioni di bambini nel mondo soffrono la fame.
Oltre cento milioni non sono mai entrati in un'aula
scolastica.
Il lavoro minorile
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“Gli Stati
riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere
protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere
costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia
suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o
di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico,
mentale, spirituale, morale o sociale[…]” Convenzione
ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32
Nel mondo, 211 milioni di bambini e
bambine lavorano. Hanno meno di 14 anni, dovrebbero
andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e
invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla
strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare
qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria
famiglia. Alcuni riescono a trovare il tempo per
frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non
ha mai messo piede in un’aula scolastica, ed è probabile
che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti.
Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori
vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il
continente in cui, in proporzione, è più alta la
probabilità che un bambino sia costretto ad
un’occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono
numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell’Est
europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile
transizione all’economia di mercato), e non mancano
neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l’ISTAT
ne ha censiti circa 145.000, mentre la CGIL ne fa una
stima quasi tre volte superiore.
Il lavoro minorile è un fenomeno assai complesso, e non
esistono soluzioni semplici. Anche se tutti abbiamo
imparato a conoscerlo attraverso le storie e i volti dei
piccoli fabbricanti di tappeti, come Iqbal Masih,
soltanto un bambino lavoratore su 20 è impiegato
nell’industria che produce beni destinati
all’esportazione. Le vittime dello sfruttamento
economico vanno ricercate altrove, nei meandri nascosti
dell’economia informale: agricoltura (70% del totale),
lavoro domestico, commercio al minuto, prostituzione,
attività illegali. In questa zona d’ombra dove povertà,
ignoranza e discriminazione si incrociano con l’assenza
di qualsiasi forma di assistenza sociale, non è sempre
facile dare un volto e un nome a chi sfrutta: ma, di
certo, per ogni bambino o bambina che lavora c’è un
diritto umano negato.
L’UNICEF è in prima linea nella lotta al lavoro
minorile, con programmi di sensibilizzazione,
prevenzione e recupero. Il primo compito è quello di
promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali,
società civile) la conoscenza e il rispetto dei diritti
dei bambini, valorizzando il ruolo che essi possono
avere per lo sviluppo a lungo termine. I più giovani
sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione
è il miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro
precoce non lascia loro alcuna prospettiva che non sia
altro sfruttamento. Questo messaggio positivo viene
comunicato in mille forme dall’UNICEF, attraverso
campagne di informazione con il coinvolgimento dei
leader comunitari, sindacali, religiosi e con il
contributo fondamentale delle associazioni locali.
La scuola è il luogo
in cui si gioca la partita decisiva della prevenzione
del lavoro minorile. Generalmente, tutti i bambini
desiderano andare a scuola e quasi tutti gli adulti
attribuiscono all’istruzione un importante valore di
promozione sociale. Per le famiglie più disagiate,
tuttavia, anche il costo dei libri o dei pasti di metà
giornata può diventare un ostacolo insormontabile. E
spesso una scuola di cattiva qualità può indurre i
genitori a ritirare i propri figli per mandarli a
lavorare, ritenendo improduttivo il sacrificio economico
da sostenere per la frequenza scolastica. Oltre a
promuovere riforme in favore dell’istruzione gratuita e
universale in tutti gli Stati, l’UNICEF investe somme
importanti nel risanamento delle scuole e nella
formazione degli insegnanti. In alcuni casi, soprattutto
durante le emergenze, l’UNICEF si fa carico anche della
distribuzione di materiali didattici e delle refezioni
scolastiche.
Liberare i bambini dal
giogo del lavoro significa offrire loro alternative
valide e realistiche. Il reinserimento scolastico è la
soluzione ottimale, ma bisogna anche tenere conto dello
stato di necessità che aveva spinto la famiglia, o il
minore stesso, a compiere la scelta del lavoro precoce.
Spesso, il bambino ha l’esigenza di continuare a
svolgere un lavoro almeno per una parte della giornata.
L’UNICEF finanzia numerosi progetti di scolarizzazione
per bambini lavoratori, ex-bambini soldato o bambini di
strada, che prevedono orari flessibili, metodologie
didattiche partecipative e un apprendimento che
contempla competenze utili per la vita quotidiana (life
skills) e per la formazione professionale. La variegata
galassia dell’“istruzione non formale” è la sede per
eccellenza del recupero educativo e sociale delle
giovanissime vittime del lavoro minorile. A queste
attività si affianca spesso il microcredito, esperienza
ormai consolidata di piccoli prestiti a basso tasso di
interesse e rivolti a nuclei familiari indigenti per
avviare piccole attività generatrici di reddito.
Non è pensabile che il lavoro minorile scompaia dal
mondo oggi, e neppure domani. Crisi economiche,
conflitti, spostamenti di popolazione per cause naturali
e non, e soprattutto la pandemia dell’HIV/AIDS creano
continuamente nuovi spazi per lo sfruttamento economico
dei più piccoli. Segnali positivi sono però visibili. Il
fenomeno del lavoro minorile, pressoché ignorato dalla
comunità internazionale fino a metà anni Novanta, è oggi
compreso e affrontato con strumenti mirati, e le
strategie di contrasto fanno tesoro di esperienze sempre
più numerose e significative. Dal 1999 ad oggi, sono ben
132 gli Stati che hanno ratificato la Convenzione n. 182
dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro)
sull’abolizione delle forme peggiori di sfruttamento
economico dei minori. E si stima che dal 1996 ad oggi il
numero dei bambini lavoratori nel mondo sia diminuito di
40 milioni di unità, nonostante l’aumento della
popolazione infantile globale. Sono i primi segni di
successo dell’impegno messo in campo in questi ultimi
anni, e che soltanto la volontà degli Stati e la
solidarietà dei cittadini potrà rendere duraturo.
( da
Ecplanet , quotidiano tecnologico e
scientifico
www.ecplanet.com ) |
I bambini invisibili
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Il mondo è pieno di bambini invisibili che non fanno notizia Governi, media e donatori sono pronti a mobilitarsi
per le emergenze, siano esse catastrofi naturali,
guerre o carestie, quando la luce dei riflettori è
puntata sul problema. Ma spesso ignorano i
milioni di bambini sui
quali la luce dei riflettori non si accende mai
o si è appena spenta.
I bambini invisibili sono quelli costretti ogni giorno
a rinunciare ai loro diritti fondamentali, sebbene
quasi tutti i paesi del mondo si siano solennemente
impegnati a rispettarli e a farli rispettare
ratificando la Convenzione
sui diritti dell'infanzia del 1989. Sono
quelli che spariscono alla vista delle famiglie, delle
società, delle comunità, dei governi, dei donatori,
della società civile, dei media e spesso anche degli
altri bambini. Quelli che
non vogliamo o non riusciamo a vedere.
Questi bambini non sono contemplati dalle leggi, dai
bilanci statali, dai programmi, dalle ricerche.
Ciononostante essi rientrano nel
mandato dell'UNICEF,
che da sessant'anni rinnova ogni giorno il suo impegno
a "vederli": prima, durante e
dopo le emergenze, in ogni
parte del mondo e con un lavoro
costante per investire in
programmi a lungo termine - la
vera chiave per non rassegnarsi
ad accettare un futuro segnato
dall'invisibilità.
A questi bambini è stato dedicato il
rapporto UNICEF su La Condizione
dell'infanzia nel mondo 2006 dal titolo
Esclusi e invisibili, che
è stato presentato come sempre a dicembre nelle
principali capitali del mondo
disponibile anche on-line su
www.unicef.it
Per tutti questi bambini è necessario rilanciare un
impegno che vada oltre gli attuali programmi e metodi
di aiuto allo sviluppo. La responsabilità primaria
spetta ai governi che devono rafforzare il
loro impegno nella ricerca e nel monitoraggio
della natura e della
portata degli abusi per raggiungere i bambini esclusi
e invisibili, devono
adeguare le leggi nazionali agli impegni
internazionali assunti nei confronti dell'infanzia,
modificando e abolendo le leggi che favoriscono le
discriminazioni.
È anche fondamentale che i governi
stanzino più risorse
per i bambini e promuovano riforme per
eliminare le barriere per quelli esclusi dai servizi
essenziali, come l'obbligo di presentare il
certificato di nascita per l'iscrizione scolastica.
Oltre all'impegno dei governi, il rapporto indica le
azioni concrete che possono essere intraprese dalla società civile, dal settore
privato, dai donatori e dai media
per evitare che i
bambini "passino tra le
maglie della rete".
I governi, le famiglie e le comunità devono fare di
più, innanzitutto per evitare gli abusi e lo
sfruttamento e poi per proteggere i bambini vittime di
abusi. Bisogna adottare e applicare energicamente
leggi che assicurino alla giustizia gli autori dei
crimini contro i bambini
e questi devono
poter disporre delle informazioni utili per
proteggersi.
Pianeta Italia
Se è vero che è più immediato pensare ai milioni di
bambini invisibili che vivono nei paesi in via di
sviluppo, è anche vero che
nei paesi industrializzati
esistono delle realtà
drammatiche molto spesso ignorate dai
consueti circuiti dell'informazione.
Tra i bambini e gli adolescenti a rischio di
invisibilità, va posta
attenzione anche ai minori non accompagnati
una realtà di cui si parla poco e che viene ricordata
attraverso l'iter
normativo previsto per questa categoria a
rischio. L'impegno sui diritti con una serie di
partner nazionali e locali costituisce il vero
cambiamento di prospettiva nel lavoro quotidiano per
combattere l'esclusione sociale e l'invisibilità dei
bambini.
Chi sono i bambini
invisibili
Bambini privi di un'identità ufficiale
Ogni anno oltre la metà di
tutti i bambini che nascono nel mondo in via di sviluppo
(esclusa la Cina) non sono
registrati; oltre 50 milioni di bambini non
assumono il diritto di nascita fondamentale: essere
riconosciuti come cittadini. I bambini che non sono stati
registrati alla nascita non
compaiono nelle statistiche ufficiali e non sono
riconosciuti come membri delle loro società. Ai bambini
senza un'identità ufficiale
non è garantita l'istruzione, un'assistenza
sanitaria di qualità e altri servizi di base che
influiscono sulla loro infanzia e sul loro futuro. Per
esempio, i bambini non registrati non sono ammessi nelle scuole
che richiedono un certificato di nascita per l'iscrizione.
I bambini senza identità ufficiale non sono contati e non contano.
Bambini privi delle attenzioni
dei genitori
Milioni di orfani, di
bambini di strada e di bambini in stato di detenzione crescono senza le cure
amorevoli e la protezione dei genitori o della famiglia. In
ueste circostanze, i bambini non sono trattati affatto
come tali.
* Si stima che 143 milioni di bambini nel mondo in via di
sviluppo - 1 bambino su 13
- abbia perso almeno un genitore. Per i bambini molto
poveri, anche la perdita di un
solo genitore, specialmente la madre, può
comportare ripercussioni di lunga durata sulla
loro salute e sull'istruzione.
* Nel mondo decine di milioni
di bambini trascorrono gran parte della vita nelle strade, esposti
a tutte le forme di abuso e di sfruttamento.
* Oltre un milione di
bambini vive in stato di
detenzione e la maggior parte di loro è in attesa
di giudizio per reati minori. Molti risultano essere
vittime di trascuratezza, violenze e traumi.
Bambini nei ruoli di adulti
I bambini costretti ad assumere precocemente il ruolo
di adulti perdono alcune fasi cruciali per lo sviluppo
infantile.
* Centinaia di migliaia di bambini sono coinvolti nei conflitti come combattenti, corrieri, portatori, cuochi per
i gruppi armati, o sono costretti alla schiavitù sessuale.
In molti casi sono stati rapiti.
* Malgrado le leggi che vietano in molti paesi i matrimoni
precoci, oltre 80 milioni di
bambine del mondo in via di sviluppo si sposeranno prima di
compiere 18 anni e molte anche in età più
precoce.
* Si stima che 171 milioni di
bambini lavorino in condizioni rischiose e con
macchinari pericolosi in fabbriche, miniere e nel settore
agricolo.
Bambini sfruttati e abusati
Isolati dai loro aguzzini che impediscono di frequentare
la scuola e di usufruire dei servizi essenziali, i bambini vittime dello
sfruttamento sono probabilmente i più invisibili.
È quasi impossibile conoscere le loro vite e il loro
numero.
* Circa 8,4 milioni
di bambini sono sfruttati nelle forme peggiori di lavoro
minorile, comprese la
prostituzione e la schiavitù per debiti.
* Quasi 2 milioni di
bambini sono sfruttati
dall'industria del sesso e sottoposti
continuamente a violenze fisiche e sessuali.
* Si stima che milioni di bambini scompaiano
ogni anno in mondi clandestini e illegali, dove
sono costretti a lavori rischiosi e degradanti, compresa
la prostituzione.
* Un numero incalcolabile di bambini presta servizio come domestici presso privati.
Molti di loro non possono frequentare la scuola, subiscono
maltrattamenti e abusi e sono sottoalimentati o
sovraccaricati di lavoro.
(Dal sito
www.unicef.it |
I bambini soldato
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Sono più di
300.000 i minori di 18 anni attualmente impegnati in
conflitti nel mondo.
Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo
decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri
nelle armate di opposizione. La maggioranza di
questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute
anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso
un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono
ancora il rischio di diventare soldati.
Il problema è
più grave in Africa (il rapporto presentato
nell'aprile scorso a Maputo parla di 120.000 soldati
con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e
Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro
forze armate.
Negli ultimi
10 anni è documentata la partecipazione a conflitti
armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi.
Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono
usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie
ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei
primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze
armate del loro stato, altri fanno parte di armate
di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono
esposti ai pericoli della battaglia e delle armi,
trattati brutalmente e puniti in modo estremamente
severo per gli errori. Una tentata diserzione può
portare agli arresti e, in qualche caso, ad una
esecuzione sommaria.
Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono
reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a
violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima
che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30
per cento delle forze di opposizione armata.
Anche nella
storia passata i ragazzi sono stati usati come
soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in
netto aumento perché è cambiata la natura della
guerra, diventata oggi prevalentemente etnica,
religiosa e nazionalista. I "signori della guerra"
che le combattono non si curano delle Convenzioni di
Ginevra e spesso considerano anche i bambini come
nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili
rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento
delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90
per cento.
L'uso di armi
automatiche e leggere ha reso più facile
l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10
anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi,
inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare
e controllare più facilmente di un adulto,
affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per
esempio attraversando campi minati o intrufolandosi
nei territori nemici come spie).
Inoltre la
lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente
trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite.
Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di
età inferiore a quanto stabilito dalla legge o
perché non si seguono le procedure normali di
reclutamento o perché essi non hanno documenti che
dimostrino la loro vera età.
Si dice che
alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo
caso le cause possono essere diverse: per lo più lo
fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame
o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica
del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000
adolescenti hanno aderito all'invito, fatto
attraverso la radio, di arruolarsi.
Un altro
motivo può essere dato da una certa cultura della
violenza o dal desiderio di vendicare atrocità
commesse contro i loro parenti o la loro comunità.
Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di
Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che
va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come
risultato di una esperienza di violenze subite
personalmente o viste infliggere ai propri familiari
da parte delle truppe governative.
Per i ragazzi
che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato
ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano
fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione,
malattie della pelle, patologie respiratorie e
dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.
Inoltre ci
sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto
di essere stati testimoni o aver commesso atrocità:
senso di panico e incubi continuano a perseguitare
questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le
conseguenze di carattere sociale: la difficoltà
dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del
riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non
riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto
in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito,
non riescono a sposarsi e finiscono col diventare
prostitute.
L'uso dei
bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri
ragazzi che rimangono nell'area del conflitto,
perché tutti diventano sospettabili in quanto
potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano
uccisi, interrogati, fatti prigionieri.
Qualche volta
i bambini soldato possono rappresentare un rischio
anche per la popolazione civile in senso lato: in
situazioni di tensione sono meno capaci di
autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal
grilletto facile".
Per quanto
molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di
bambini soldato può essere considerato come una
forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa
del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età
minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per
sua natura o per le circostanze in cui si svolge
porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica
o morale dei giovani, può essere applicata anche al
coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima,
secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18
anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale
categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di
guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in
tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a
queste categorie:
- ragazzi separati dalle
loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati,
figli di single)
- provenienti da situazioni
economiche o sociali svantaggiate (minoranze,
ragazzi di strada, sfollati)
- ragazzi che vivono nelle
zone calde del conflitto.
Chi vive in
campi profughi è particolarmente a rischio di essere
sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le
comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati
a se stessi e la situazione è di grande incertezza.
I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi
armati.
(da Stop
all'uso dei bambini soldato
www.bambinisoldato.it ) |
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Lo sfruttamento sessuale
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La tratta di esseri
umani non è un fenomeno nuovo ma, negli ultimi dieci
anni, in Europa il numero dei bambini e delle bambine
vittime, provenienti principalmente dal sud-est europeo,
è cresciuto costantemente. E’ una forma complessa di
sfruttamento, che include diversi gradi di violenza e
coercizione e che rappresenta, nel caso dei minori, una
delle peggiori forme di violazione dei loro diritti
riconosciuti universalmente. Il fenomeno in Europa
riguarda migliaia di bambini che ogni anno vengono
trafficati a scopo, principalmente, di sfruttamento
sessuale (prostituzione, pedofilia e impiego in film
pornografici). Tuttavia altre forme di sfruttamento
e abusi, quali quelli del lavoro minorile, della
mendicità, delle adozioni internazionali illegali e del
traffico di organi, stanno chiaramente emergendo, vista
la forte domanda nei paesi di destinazione. Le bambine e
i bambini vittime hanno un’età che può variare
generalmente dagli 8 ai 18 anni, ma la tratta arriva a
coinvolgere anche neonati venduti - con prezzi che
possono variare dai 7.000 ai 15.000 euro - a scopo di
adozione. La giovane età delle vittime nel mercato del
sesso è un valore aggiunto esplicitamente richiesto. In
Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, il numero
di bambini vittime della tratta che hanno usufruito dei
programmi di protezione sociale in un anno sono stati
134. Ma il numero totale delle piccole vittime potrebbe
essere assai maggiore. La prostituzione coinvolge un
numero di persone che varia da un minimo di 10.000 ad un
massimo di 13.000, con un’incidenza di minori che varia
tra il 4,2% ed il 6,2%, cioè tra le 542 e le 663
vittime, di cui la maggior parte trafficate da paesi
dell’est europeo, in particolare Albania, Moldavia e
Romania, e dalla Nigeria. In Bulgaria, solo nel 2002, ci
sono stati 2.128 minori vittime di abusi, con un aumento
del 50% rispetto all’anno precedente. Circa 10.000
ragazze bulgare, molte delle quali minorenni, potrebbero
essere state coinvolte nella tratta a scopo di
sfruttamento sessuale. In Romania e Danimarca le
statistiche mostrano un aumento del numero di bambini
vittime della tratta. In Spagna, sono 274 i minori
sfruttati sessualmente nel 2002, di cui 168 bambine
coinvolte nel mercato della prostituzione e della
pornografia. Nel Regno Unito, pur non esistendo
statistiche ufficiali affidabili, si parla di 250
bambini coinvolti, ma il loro numero dovrebbe essere
molto più alto. Queste sono alcune delle indicazioni che
emergono dal "Rapporto informativo sulla tratta
di minori in Bulgaria, Danimarca, Italia, Romania,
Spagna e Regno Unito", presentato oggi da Save
the Children a Roma, presso la Sala del Senato, ex Hotel
Bologna, in via Santa Chiara 5, ore 9.30, nell’ambito
del Seminario Internazionale “Un network europeo
per condividere informazioni e buone pratiche nella
lotta alla tratta di bambini e bambine”. Il
rapporto è il risultato di un’analisi svolta in questi
sei paesi che possono essere identificati come di
origine (Bulgaria e Romania), di transito e destinazione
(Italia e Spagna), e di destinazione finale (Danimarca e
Regno Unito). Il rapporto vuole offrire un importante
strumento per l’analisi e la pianificazione strategica
degli interventi sulla tratta di minori. Questa
struttura di analisi comprende tutte le fasi della
tratta, in cui avvengono gli sfruttamenti e gli abusi,
mettendole in relazione con gli strumenti legislativi in
atto in ambito nazionale ed internazionale, con la
Convenzione ONU sui diritti del Fanciullo, con un
sistema di riferimento istituzionale e non governativo,
e con le azioni di contrasto, protezione, prevenzione e
reintegrazione che sono in atto nei paesi e nelle
regioni dei partner coinvolti. La ricerca contiene
informazioni su tutti i “Cicli della tratta”. Il
reclutamento avviene su base locale, nelle zone più
povere e svantaggiate. Le vittime vengono attratte,
anche tramite annunci pubblicitari pubblicati sui
giornali, con false promesse di lavoro, matrimoni e
condizioni di vita migliori all’estero; a volte si
ricorre al rapimento. Non è raro il coinvolgimento nel
reclutamento di genitori, parenti e amici delle vittime.
Violenze e abusi sui minori trafficati sono all’ordine
del giorno e vengono perpetrati fin dall’inizio del
viaggio verso i paesi di destinazione finale. Le
vittime, soprattutto quelle che vengono coinvolte nel
giro della prostituzione, possono essere vendute più
volte, come nel caso di una ragazza rumena di 15 anni
messa in vendita ben 22 volte. Il tutto viene gestito
accuratamente da organizzazioni criminali molto ben
strutturate ed efficienti. Esistono infatti ruoli
precisi e precise divisioni di compiti: c’è un
reclutatore, che si occupa di individuare e adescare la
vittima, la persona che si occupa di organizzare il
viaggio e i documenti necessari, il trasportatore e
l’incaricato di ricevere e sfruttare il minore nel paese
di destinazione. Questi ruoli possono essere ricoperti
da più di una persona. I bambini, inoltre, corrono il
rischio di essere ulteriormente vittimizzati e di subire
ulteriori violenze derivanti da politiche erronee o non
chiare in materia di immigrazione, o da pratiche di
polizia o giudiziarie potenzialmente abusanti. I minori
coinvolti nella tratta sono, infatti, innanzitutto delle
vittime, anche se le attività per cui vengono sfruttati
li hanno portati a commettere reati. E’ assolutamente
imprescindibile quindi, per ogni politica di contrasto,
di prevenzione e recupero, e in particolar modo per le
politiche sull’immigrazione, tenere in considerazione
questo elemento e prevedere provvedimenti specifici
rivolti ai minori, che devono fondarsi sul
riconoscimento e la tutela dei loro diritti. Il rapporto
e il seminario fanno parte del progetto ENACT (European
Network Against Child Trafficking), il primo network
pan-europeo di organizzazioni e istituzioni unite nella
protezione e promozione dei diritti dei bambini e delle
bambine a rischio o vittime di qualsiasi tipo di tratta.
(da Save the
children Italia Onlus)
www.savethechilden.it
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Il traffico dei minori
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Un aspetto
drammatico ricollegabile allo sfruttamento del lavoro
minorile è il traffico di bambini e adolescenti che ad
oggi conta circa trenta milioni di vittime.
Tecnicamente esso è il trasferimento di minorenni a
scopo di sfruttamento in attività lucrative e
illecite, da un luogo all’altro di uno stesso Paese o
attraverso le frontiere internazionali.
L’UNICEF calcola che soprattutto in Africa e nel sud
est asiatico, ogni giorno circa tremila bambini cadano
nelle grinfie dei trafficanti.
Alla base di questo problema, che per provenienza e
per destinazione è da definirsi globale, c’è
sicuramente l’ignoranza data dalla scarsa
alfabetizzazione, la povertà, la volontà di molti
genitori di creare un futuro migliore per i propri
figli, la disoccupazione.
La tratta è un business molto proficuo, secondo solo
al traffico di droga e di armi. Le Nazioni Unite
stimano fra i sette miliardi e i dieci miliardi di
dollari il guadagno annuo della criminalità
organizzata sul commercio di piccoli schiavi. Questo
fenomeno è spesso collegato alla pratica
dell’affidamento a parenti dei bambini per la
scolarizzazione. Il lavoro viene inizialmente
presentato come occasione per socializzare, ma poi in
breve tempo la realtà cambia drasticamente: i bambini
vengono venduti come bestiame e lavorano come schiavi,
senza salari né protezione sociale. Un bambino
lavoratore costa in media cinquanta dollari.
In molti casi questi minori vengono isolati ed
allontanati dalle loro famiglie in tenera età, con il
triste risultato che essi non conoscono la loro
provenienza e dunque un’eventuale ricongiungimento
familiare risulta impossibile.
I settori in cui questi bambini vengono impiegati
vanno dalla prostituzione alo spaccio di droga, dal
lavoro nelle piantagioni e nelle miniere
all’accattonaggio, dal lavoro in fabbrica allo
sfruttamento come domestici. Ci sono però anche altri
ambiti, meno sviluppati dal punto di vista numerico e
altrettanto poco conosciuti. Il mondo dello sport
professionistico ne è un esempio. La logica imperante
della massimizzazione del profitto, ha portato queste
“multinazionali dello sport” in molto Paesi poveri o
in via di sviluppo alla ricerca di campioni. IL calcio
presenta uno degli esempi più allarmanti e da questo
business non si esime nemmeno il calcio italiano. La
Federazione calcistica africana lanciò un primo
allarme già nel 1991, dicendo che molti bambini, anche
di dieci anni d’età, venivano portati in Italia,
valutati dalle grandi squadre e poi abbandonati al
loro destino se non conformi agli standard richiesti.
Nel 2000 la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio)
e il governo italiano misero a punto un protocollo
d’intesa per fermare gli “scafisti del pallone”: tutte
le società affiliate alla FIGC hanno l’obbligo di
segnalare la presenza del minore straniero non appena
arriva in Italia per il provino.
( da Amici
del mondo
www.amicidelmondo.it)
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L'accattonaggio
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Un’altra tipologia di reato legata allo sfruttamento dei
minori è quella dell’accattonaggio. Nuovi strumenti per
combattere il fenomeno sono quelli previsti dalla legge
228/2003 “Misure contro la tratta di persone”.
La
maggior parte dei bambini coinvolti nell’accattonaggio
appartiene a comunità nomadi Rom di origine slava, per
lo più stanziali in Italia.
Accanto a questi si registra, soprattutto al Nord,
l’impiego di bimbi marocchini, romeni e albanesi. A
differenza dei Rom, i minori di etnia albanese e rumena
vengono affidati dalle proprie famiglie ad
organizzazioni criminali, per lo più di origine
balcanica, che si occupano della loro collocazione in
Italia.
I bambini Rom, invece, sono sfruttati dalle stesse
famiglie che, spesso, li “scambiano” fra loro.
Accade frequentemente, infatti, che la famiglia di un
bambino più volte fermato dalla Polizia, lo rapisca per
“affidarlo” ad una comunità di un’altra città, in cambio
di un altro minore. In tal modo, è facile perdere le
tracce del bambino ed eludere gli interventi delle
Istituzioni.
I minori per i nomadi, sono una fonte inesauribile di
guadagno.
Si
calcola che l’attività di accattonaggio può portare ad
un guadagno anche di 100 euro giornalieri, che possono
lievitare se i bambini vengono impiegati in attività
criminali come piccoli furti o borseggi.
Numerose sono le iniziative in proposito del
Dipartimento della Pubblica Sicurezza per la prevenzione
dello sfruttamento del lavoro minorile ed, in
particolare, dell’accattonaggio, anche in sinergia con
la Polizia Municipale ed i Servizi Sociali.
In molte città, ad esempio, vengono svolte, in
collaborazione con le Amministrazioni locali, delle
campagne per prevenire la dispersione scolastica.
Diffuso in tutta Italia è il progetto “Il poliziotto un
amico in più” che si propone, nell’ambito del più ampio
programma di Polizia di prossimità, di avvicinare i
bambini e diffondere una cultura della legalità.
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I minori scomparsi
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Ogni anno, le numerose denunce di minori
scomparsi che arrivano alle Forze di Polizia destano
sconcerto e preoccupazione nell’opinione pubblica.
In realtà, il fenomeno, se pur da tenere sotto
osservazione e controllo, va ridimensionato alla luce di
una attenta lettura dei dati a disposizione.
Circa l’80% dei bambini che “scompaiono”, infatti,
rientrano nella categoria dei cd. allontanamenti
volontari o delle sottrazioni operate dai genitori
stessi.
Sono, cioè, minori che, per svariati motivi, decidono di
lasciare l’abitazione familiare o la comunità cui sono
affidati, anche se questa ultima ipotesi presenta delle
peculiarità che occorre chiarire.
Se, infatti, gli allontanamenti volontari
dall’abitazione familiare riguardano soprattutto
bambini/adolescenti italiani o comunque appartenenti a
famiglie stabilmente residenti in Italia, le “fughe”
dalle comunità caratterizzano, in particolar modo, i
bambini delle famiglie nomadi che, non riuscendo ad
adattarsi alla nuova vita comunitaria, scappano
dall’istituto per tornare presso le famiglie di origine.
Nei casi di bambini molto piccoli, sono addirittura le
famiglie stesse che li “rapiscono” per riportarli al
precedente stile di vita, ovvero all’attività di
accattonaggio o al compimento di piccoli furti e
borseggi.
Ovviamente, anche queste “scomparse” o “allontanamenti”
vengono segnalati alle Forze di Polizia e, quindi,
incrementano il numero delle segnalazioni annuali.
E’ di tutta evidenza, quindi, la differenza con le
ipotesi in cui un bambino viene sequestrato, viene
sottratto da un genitore all’altro per condurlo in Paesi
spesso lontani, o scompare nel nulla, senza che si
riescano a formulare ipotesi sulle possibili
motivazioni.
In conclusione, di tutte le segnalazioni che annualmente
si ricevono, solo un 20% circa, a distanza di un anno,
rimangono attuali. Tale dato numerico, nel corso degli
anni, è destinato a decrescere ancora, perché non è
infrequente che il minore allontanatosi volontariamente
decida, anche a distanza di tempo, di farsi nuovamente
vivo con la famiglia.
Non bisogna dimenticare, poi, che spesso, nel momento in
cui un figlio torna a casa, i familiari,
comprensibilmente felici per il rientro, dimenticano di
informare le Forze di Polizia. Pertanto, può accadere
che un minore che risulta formalmente scomparso, sia in
realtà tornato presso la propria abitazione.
Per ovviare a tale inconveniente sono state disposte
verifiche periodiche sull’attualità delle segnalazioni.
Come iniziano le ricerche?
Le ricerche vengono avviate, dopo la
denuncia dei familiari o della comunità cui è affidato
il minore, con l’inserimento del nominativo nel “CED-Interforze”,
in modo tale che la notizia della scomparsa possa essere
nota, in tempo reale, a tutte le Forze di Polizia.
Grazie a tale procedura, inoltre, le ricerche sono
estese automaticamente a tutti i Paesi che aderiscono
all’accordo di Schengen.
Quando si ritiene che il minore scomparso
possa trovarsi in altri Paesi del mondo, viene chiamata
in causa l’Interpol, che ha un ruolo di raccordo con le
Forze di Polizia dei vari Paesi aderenti.
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