Ciò che mi ha spinto ad accettare
l’incarico di Presidente del Club, per la seconda volta, è
stato un reale interesse verso la convenzione stipulata
dall’ONU sui diritti dei bambini nel mondo, con una
fortissima spinta di realizzare – per quanto possibile –
services che, in gergo kiwaniano, significa trovare
consensi e contributi intorno ad un’idea condivisa:
realizzare dei sogni!
Ciò che mi
ha convinta a partecipare a
questo Convegno è stato l’indirizzo dato dal Governatore e
quindi una irrefrenabile voglia di indagare sui nuovi
bisogni e sulle molteplici sollecitazioni di varia natura
dei nostri figli.
Il mio intervento è composto da due
parti:
- la proiezione di un CD
(bisogni di base di tutti i bambini del mondo)
-
relazione Il bambino diviso
tra bisogni interiori e accelerazioni sociali nella
cultura
della velocità e del successo: il mestiere di crescere.
Per la prima
volta nella nostra storia abbiamo creato una Società priva
di dittature, più libera, esente di disagi fondamentali
come dittature e la povertà, la mancanza di una casa; per
la prima volta possiamo concentrarci sulla possibilità di
creare un mondo migliore e di aiutare chi è ancora invaso
da questi bisogni. Tutto ciò però è mediato dalla
necessità di non farsi prevaricare dalla rincorsa
all’accumulo di ricchezza e dalla perdita nelle cose, ma
dalla ricerca di senso ultimo delle cose.
Io
credo che in questo contesto sia assolutamente prioritaria
l’urgenza di indirizzare i nostri sforzi su un tipo di
educazione verso i nostri giovani che sia concentrata
sulla emotività, sul recupero di
valori senza i quali quello che abbiamo saputo costruire
in termini di ricchezza non avrà la possibilità di essere
speso per il bene comune del mondo.
E’
inutile possedere ricchezze superflue senza un’educazione
che fornisca la capacità di entrare in empatia con i
bisogni degli altri, riconoscere la sofferenza e
sviluppare il senso di solidarietà, altruismo, generosità,
compassione, giustizia, condivisione: fondamenti della
speranza umana”
CD proiezione
RELAZIONE
Dovendo introdurre un argomento così vasto e complesso
credo sia necessario innanzitutto chiarire qualche
concetto che dimensioni il campo di intervento “città a
misura d’uomo e di bambino”.
Nell’immaginario di ognuno di noi questa frase assume un
significato diverso e particolare, ma cosa significa “città
a misura di bambino?”
A questo proposito credo sia necessario cercare di
sintonizzarsi sui bisogni reali del bambino che,
ovviamente, cambiano con l’avvicendarsi delle varie fasi
evolutive. Quello che sappiamo è che c’è sempre uno scarto
tra quello che il bambino intende per bisogno e quello che
intende l’adulto. Ad esempio: nei primi anni di vita per
il bambino bisogno significa essenzialmente presenza
dell’adulto, contatto fisico, gioco, racconto, scambio
diretto, coinvolgimento, emozione, scoperta; per l’adulto
bisogno può voler dire cibo, indumenti, una casa dove
stare e, nella rincorsa lavorativa finalizzata
all’acquisto di questi beni, può paradossalmente essere
distratto dalla soddisfazione dei bisogni prioritari del
figlio.
Tutto ciò che ostacola ”questa disponibilità del
genitore ad esserci” viene letto dal bambino come
minaccia con la conseguente emissione di richiami,
attraverso il linguaggio tipico della sua età. Nei primi
anni di vita sarà il corpo a parlare attraverso fenomeni
di inappetenza, insonnia, incompresa stitichezza,
regressioni linguistiche o altro: questi richiami non
sempre sono decodificati dal mondo adulto o possono essere
equivocati dando adito, a lungo termine, anche a seri
disturbi comportamentali e di personalità (di fronte ad
una cronicizzazione del sintomo).
Facciamo adesso per comparazione un salto evolutivo alla
fase adolescenziale : ecco che, nella sostanziale
permanenza del bisogno di aiuto, la misura cambia
notevolmente. L’adolescente è impegnato in un processo di
ridefinizione dell’immagine di sé che si esplica,
naturalmente, in opposizione o imitazione del genitore
stesso.Il genitore, a sua volta, è coinvolto nel tema del
riconoscimento della diversità del figlio, il quale
conferma però ancora la continuità familiare e
l’appartenenza.
Un momento di trasformazione -
passaggio molto delicato dove l’ascolto si rende
fondamentale - è rappresentato da un ascolto non
finalizzato a dare risposte ma semplicemente a farsi
condurre dove la parola o i silenzi conducono senza
pregiudizi. In questa fase il genitore deve affrontare
un punto critico perché viene confrontato con il proprio
essere se stesso; l’adolescente non si accontenta più di
papà e mamma, ma vuole conoscere la persona nei suoi pregi
e difetti per definire se stesso nel confronto, ha bisogno
di limiti per non andare troppo in là o rimanere
eccessivamente coartato nel cambiamento.
In questo processo non si accontenta più di regole
raccontate, ma diventa fondamentale l’evidenza dei limiti
del genitore che, in quanto limitato, è in grado di
limitare l’adolescente. Di fronte alle provocazioni
dell’adolescente il genitore può trincerarsi dietro una
coercizione dura e ipernormativa che altro effetto non ha
se non quello di far sentire in colpa il figlio per averlo
attaccato, negandogli l’accesso a se stesso e
comunicandogli implicitamente che crescere è sbagliato,
pericoloso oppure, all’opposto, con l’iperpermissivismo il
genitore può fuggire dal confronto rinunciando a dare
limiti e ripiegando in comportamenti di tipo seduttivo
dove alla sua fuga in avanti spesso consegue una
sostanziale perdita nel mondo del giovane adolescente.
Quindi il problema è accettare il confronto
con pazienza, curiosità e coinvolgimento non rinunciando a
fare il genitore “significando limiti indispensabili
quando giusti e necessari contrapponendo alle naturali e
sani provocazioni dell’adolescente un reale e condiviso
interesse.”
“A misura di bambino” quindi può
significare tante cose diverse in fasi evolutive che vanno
decodificate nel tentativo di dare risposte adeguate non
esulando mai però da un elemento comune che “è la
continuità della presenza e del rapporto interpersonale
genitori figli”. Questo significa tempo condiviso, scelte
personali: tornare ad occuparsi dei figli.
E’ nei primi anni di vita che intorno al
bambino si crea un nucleo caldo di affettività. I bambini
hanno bisogno di essere cercati, scoperti, stimolati,
piano piano riconosciuti. Nei primi anni di vita al
bambino si insegna cos’è l’amore ed è in base a quanto
sarà stato cercato e voluto che si sentirà degno d’amore.
Solo ciò che
ci hanno permesso di conoscere possiamo amare e solo ciò
che amiamo siamo disposti a proteggere, compresi noi
stessi!
Un quartiere, una città, iniziative di vario genere credo
siano a misura di bambino quando non sono un’alternativa
ad una famiglia che non c’è, ma la sua logica estensione
nella volontà di esserci.
Se allarghiamo lo sguardo alla contemporaneità, tentando
una estrema sintesi, due principalmente sono i parametri
in continuo mutamento: il tempo e lo spazio.
La nostra è una Società in fuga, la comunicazione è
sempre più accelerata …… ma quale comunicazione? Quella
dei computer, di internet, della televisione e di realtà
virtuali. Una volta per conoscere il mondo si usciva di
casa e ci si confrontava con una comunità in luoghi
pubblici che presupponevano il tempo necessario
all’incontro e quindi al confronto; oggi un adolescente
rientra in casa e si collega ad una macchina a pagamento
che abolisce il tempo e lo spazio dentro una realtà
virtuale. Oggi la troppa comunicazione, in senso lato, ci
impedisce di pensare!
La tecnica è utile naturalmente, ma non può dare
risposte, non può soddisfare la sete di senso, identità,
libertà, etica che è alla base della vita, non può
diventare un fine: pena il totale disorientamento.
Quali sono le soluzioni contrapposte alla sostanziale
mancanza di una comunità pensante che si raccolga ed
accolga i bambini nei loro bisogni reali? L’iperstimolazione?
ossia mille impegni che si sovrappongono alla scuola e che
riempiono la giornata in un susseguirsi incessante di
velocità quando il problema, io credo, non è quante cose
facciamo ma quanto sentiamo dalle cose che facciamo? No,
perché il presupposto essenziale ad un minimo di
rielaborazione emotiva è il tempo ed il coinvolgimento.
Madre Teresa di Calcutta soleva dire “non è
importante quello che facciamo ma quanto amore mettiamo in
quello che facciamo”
Quando c’è iperstimolazione il bambino vive l’angoscia di
non riuscire a far fronte alle cose, alza la soglia di
percezione ed impara a reagire impulsivamente senza
sentire.
Al dilagare del
gesto impulsivo e incontrollato la famiglia e la scuola
si stanno contrapponendo con grande difficoltà, disarmate
anche da un mercato consumistico in una società opulenta
dove le cose ci sono prima ancora di essere desiderate; un
consumismo ladro di desiderio: elemento fondamentale ed
indispensabile del puro piacere di esserci nell’atto
fondativo di qualsivoglia comportamento umano.
Ecco che il
presente diventa un vivere alla massima velocità non
perché procuri gioia, ma perché apparentemente permette
di seppellire l’angoscia del futuro e della mancanza di
senso profondo delle cose.
Le droghe più
diffuse tra i ragazzi sono indicative. Sono droghe che
eccitano, permettono di sentire e di essere
“velocemente”, perché i ragazzi devono confrontarsi non
solo con la quantità di stimoli ma anche con le richieste
sempre più pressanti degli adulti verso l’essere vincente,
l’aver successo per poter esistere veramente.
Ma noi siamo veramente
sicuri che le persone competitive e vincenti sono più
felici?
Gli emblemi del successo mediatico (potere,
soldi, sfoggio del superfluo) sono veramente il miglior
maestro di vita che desideriamo per i nostri figli?
Cosa è
più importante avere successo a qualsiasi costo o trovare
un senso nell nostro sforzo di avere successo?
Un bambino diviso tra il non
essere come perdente o il dover essere come
vincente, con l’angoscia di dover ogni volta riconfermare
la sua posizione, è veramente la strada migliore?
In
questo percorso a termine, che è la vita, è meglio
insegnare e pensare gli altri come avversari o compagni di
viaggio?
Io
credo in un mondo dove educare un bambino al poter essere
ad una sana presa di coscienza delle proprie potenzialità
e dei propri limiti, indispensabili nell’intraprendere un
cammino di saggezza, perché l’unico potere che abbiamo
nella vita è quello che ci attribuiscono gli atri con la
loro mente e soprattutto con il loro cuore.
Si
potrebbe cominciare a pensare un cammino dove emozioni e
relazioni affettive costituiscano la forza propellente di
ogni altra abilità cognitiva, progettare un futuro meno
omologato e aperto nuovamente alla valorizzazione
dell’individuo soprattutto nella sua dimensione creativa
Molti
percorsi che portano un bambino a farsi del male iniziano
da un perfezionismo forzato: un bambino non è il voto che
prende a scuola ma, se insistiamo abbastanza, possiamo
convincerlo costringendolo in una spirale angosciosa
costellata di disistima tale da portarlo, qualche volta, a
gesti estremi.
La
famiglia, io credo, attualmente debba essere sostenuta con
forza in percorsi strutturati di sostegno alla
genitorialità per affrontare le tante sfide del
presente e del futuro con una consapevolezza e con
strumenti adeguati alla complessità delle sfide stesse.
I
bambini non hanno paura delle cose, ma hanno paura delle
nostre paure di adulti.
Anche
l’esperienza del dolore è essenziale nella costruzione
dell’identità del bambino che non deve essere riparato,
ma preparato alla vita.
Risulta evidente che dal punto di vista
squisitamente cognitivo le capacità dei bambini si siano
sviluppate notevolmente negli ultimi venti/trenta anni, ma
questo non significa che siano più maturi.
Dal punto di vista sociale altre componenti
del processo maturativo hanno subito un rallentamento: si
guardi alla capacità di un ragazzo di assumersi
responsabilità. Si suole descrivere questo fenomeno con il
termine “adolescenza protratta”. Tra le tante variabili da
indagare a questo proposito potremmo prendere in
considerazione la scomparsa nella vita dei bambini dei
luoghi e dei tempi che permettevano loro di giocare
autonomamente in assenza di genitori ad es. i cortili, i
parchi, le piazze oggi inospitali, pericolosi; tutto ciò
favorito da una sostanziale assenza di comunità in
contesti di famiglie mononucleari costrette in orari
rigidamente gestiti da esigenze lavorative.
La stessa frase “da domani vai a scuola da
solo”, che caratterizzava i primi anni delle scuole
elementari insieme ad un primo riconoscimento di ruoli
adulti, oggi sembra diventata impensabile.
Necessitano spazi e tempi della
quotidianità più flessibili ed adattabili in funzione di
una educazione alla sensorialità che si va perdendo per
mancanza di esperienze e di coinvolgimento diretto.
Comunicare con i figli
non è solo parlare ed ascoltare, ma
accarezzare, baciare, abbracciare, adorare, gustare
profondamente il piacere e la bellezza di essere vicini.
Le immagini, le parole non hanno tempo e
possono essere registrate e riascoltate, ma una carezza,
un abbraccio, un profumo, un bacio esistono solo adesso
nel qui ed ora; hanno bisogno di tempo e di contatto per
esistere, non sono possibili al telefono o in TV e
rappresentano profondamente il nostro essere vivi
dentro, questo attimo
irripetibile che è la vita!
Promuovere che cosa allora se non dei
spazi, dei tempi e delle occasioni per valorizzare tutto
ciò….. …………per valorizzare non solo l’uso della parola ma
il gesto, la corporeità, la fantasia, il conflitto.
C’è urgente necessità di luoghi dove
riunirsi e raccontarsi a sé ed agli altri in modo libero e
creativo, dove creare legami e sentire l’altro, oltre le
convenzioni e le banali ritualità.
Sto pensando a spazi dove lavorare tutti
insieme e tirare fuori l’energia e la rabbia che producono
significati: il teatro ad es., ma non come compito da
eseguire, ma come scelta libera e creativa, come spazio
fisico e mentale, superamento dell’imbarazzo, rivelazione
e condivisione della parte oscura di ognuno di noi, come
acceleratore di emozioni donate e ricevute.
Si potrebbe pensare a centri dedicati alla
creatività giovanile, luoghi dell’immaginazione dove
incontrare, progettare, emozionarsi, organizzare
spettacoli,, dipingere, fare poesia danza, registrare
musica, ritmo. Tutto è ritmo: il nostro respirare, il
cuore, il sonno e la veglia, la fame e la sazietà, il
coito, la sinergia dei battiti del cuore tra madre e
figlio nella fase intrauterina, la vita è ritmo.
Le domande non si fanno più solo verbali ma
corporee, con il corpo si chiede e con il corpo si
risponde, parlare con la musica nel suo tratto più
primitivo ritmato quello dell corpo, quello del battito
del cuore.
La musica si sente come i sentimenti, i
gesti d’amore, vive l’istante e la successione degli
istanti che fioriscono l’uno nell’estinzione dell’altro
inscindibilmente, legata al corpo proprio come i baci.
Tutto ciò risponde al diritto non solo di
fare ma di fare qualcosa di emozionante; al
diritto di prendere e perdere tempo perché è
indispensabile per costruire un uomo ancora capace non
solo di pensiero ma di sentimento, di speranza, capace di
viaggio e di sfida, di trasformazione di sé, di passione,
di gioco e d’utopia, capace di felicità che, come la
normalità, non può essere posseduta individualmente perché
risulta una condizione che trova esistenza solo nella
condivisione: quindi un uomo capace di donarsi e di
entrare in comunione con gli altri, di fare e di
continuare a fare gioiosamente COMUNITA’ UMANA.
Un sentito ringraziamento al KI per avermi
dato questa opportunità ed un particolare ringraziamento a
tutti Voi per avermi ascoltata: in questo grazie c’è molto
molto molto di personale!
Alba Asfalti