IL DIARIO

 PARTENZA TUNISIA LIBIA EGITTO SUDAN ETIOPIA
KENYA TANZANIA ZAMBIA BOTSWANA SWAZILAND SUDAFRICA

 

EGITTO

 

Entriamo in Egitto sottoponendoci alle normali forche caudine delle operazioni doganali che richiedono ben sette ore. Dopo il tempo impiegato nelle lunghe operazioni doganali, non avendo prodotto “strada” durante tutto il giorno decidiamo di portarci avanti e percorriamo prima della mezzanotte la strada che dalla frontiera va fino a Marsa Matruh.

Raggiungiamo il Cairo, o meglio, El Giza ma sul percorso ci fermiamo a visitare il Sacrario Italiano di El Alamein dove sono sepolti 4.800 italiani morti durante la seconda guerra mondiale. Le truppe che hanno combattuto a fianco di Rommel e degli Ascari. Ad aprirci la porta del Sacrario un vecchio Ascaro che parla un po’ l’italiano. Mi commuovo. Non ho parenti che hanno combattuto a Tobruk o ad El Alamein ma questi italiani morti e sepolti lontano dalla patria mi fanno sentire italiano.

Per le due del pomeriggio le vette delle piramidi ci accolgono col loro aspetto imponente. Cerchiamo, chiedendo informazioni ad un sacco di gente che non conosce l’inglese ne’ il francese, dove si trova il Salma Motel, l’unico campeggio esistente al Cairo come abbiamo rilevato sulla guida della Lonely Planet. Ci mandano a spasso ovunque fino a che non si decide di prendere un taxi e farcisi portare. Valeva la pena di farlo prima. E’ spopolato, oltre a noi c’è solo una Land Rover belga, il proprietario del campeggio ed i suoi sei o sette bambini ma da qui si vedono le piramidi.

Oggi si va per la città dolente, oggi si va per l’immenso dolore, oggi si va tra la perduta gente.

Ops, mi sono fatto prendere la mano ed ho peccato di plagio. Questo, pressappoco, l’aveva scritto Dante ma credo che vada bene anche qui dal momento che intendiamo inoltrarci in città (Cairo) per recarci all’ambasciata italiana e poi a quella sudanese. Nel caos di sedici milioni di persone.

Al Cairo vediamo il nostro l’ambasciatore che, gentilissimo, e si è subito reso disponibile facendoci una lettera personale di accompagnamento per il suo collega sudanese.

Andiamo subito alla vicina ambasciata sudanese ma, purtroppo, è giovedì e l’indomani venerdì ed è festivo ed il sabato è chiuso, gli equivalenti dei nostri sabato e domenica e, quindi, dobbiamo attendere domenica per presentare documenti e credenziali e sperare nel sempre più sospiratissimo “visto”. Nell’attesa facciamo i turisti. Nel pomeriggio ammazziamo il tempo giocando a pallone con i figli del proprietario dell’Hotel Salma.

A pallone all’ombra delle Piramidi!

Oggi, 30 novembre, abbiamo visitato il museo del Cairo.

Sempre emozionante non c’è che dire.

Dal 1995, dopo averle ritirate per restauri nel 1981 su ordine di Sadat che riteneva fosse poco rispettoso esporre dei sovrani deceduti, hanno rimesso in esposizione in una apposita sala, le mummie reali. Attualmente ve ne sono esposte 7 ma ve ne sono ancora 20 che verranno esposte nei prossimi anni. Cinque faraoni tra cui Ramsete II e suo padre Sethi I, Ramsete III, Thtutmosi II e due regine tra cui Meret Amun consorte di Amenhotep I.

Purtroppo il nostro serbatoio del gasolio perde ancora da entrambi i punti ed è necessario mettere una pezza. E lo faccio nel vero senso della parola ovvero tappo il buco con un pezzetto di nastro americano e Montagekit come avevo già fatto quasi un mese prima. Speriamo che tenga, almeno per un po’.

Tornati in Garden City, quartiere del Cairo dove si trovano tutte le ambasciate nei pressi della Corniche del Nilo, presso l’ambasciata sudanese, dopo aver compilato le rituali richieste, espresse fortunatamente in inglese, essere andati a fare delle fotocopie ed aver presentato il tutto con l’aggiunta della nota verbale della nostra ambasciata e di ben cinque fotografie, ci è stato detto di ritornare dopo dieci giorni. L’altro giorno ci era stato detto che normalmente ce ne volevano quattro, massimo una settimana. Con l’aggiunta alla documentazione della busta personale del nostro ambasciatore i dieci giorni sono diventati: “Dopodomani, mercoledì alle quattordici”. Meglio di così …! Speriamo proprio che mantengano quanto promesso.

Un po’ a spasso per il Cairo e poi di nuovo nel camping Salma Hotel di Harraniya sulla Saqquara Road.

Oggi c’è brutto tempo e soffia un forte vento dal deserto che rende tutto opaco e polveroso, il sole è coperto e non fa neppure tanto caldo, ventidue gradi. Di tanto in tanto scendono anche alcune sporadiche gocce di pioggia. 

Lungo il Nilo le feluche colorate sono ormeggiate. Ci sono in giro molti studenti della facoltà di medicina dell’Università del Cairo e molte studentesse del liceo con la loro divisa blu e bianca ed il solito caotico, folle, frenetico traffico di auto private, taxi, microbus, minibus, autobus e qualche carretto stracarico di verdure trainato da poveri asinelli e diretto al mercato.

Gli unici mezzi che mancano al Cairo sono biciclette,  motorini e motociclette. Girano soltanto alcune vecchie Vespe e qualche fumosa e datata Jawa 350 a due tempi.

Il Cairo, almeno in centro, grazie anche ad una massiccia presenza di militari armati davanti a tutti gli uffici pubblici, sembra veramente controllato, tranquillo e sicuro. Non si ha davvero alcun timore a girare.

Il frastuono è però come sempre assordante, i clacson suonano in continuazione e sembrano sostituire totalmente l’uso dei freni. I cairoti guidano evidentemente rispondendo a regole non scritte ma a loro sicuramente note. La precedenza è di chi sta avanti anche di un solo centimetro rispetto agli altri anche se vi si è proditoriamente infilato.

Le auto ed i pulmini si infilano da destra e da sinistra suonando. Ma questo uso è tale anche agli sportelli degli uffici come abbiamo potuto constatare stamattina quando, giunto finalmente il nostro turno, una donna velata, ha insinuato una mano tra me e Christian ed ha infilato un fascio di documenti nel foro del vetro costituente lo sportello dedicato alla richiesta dei visti consolari riuscendo così, seppure fisicamente alle nostre spalle, ad avere … la precedenza. Nessuno ha detto niente ed abbiamo capito che, evidentemente, le cose da queste parti stanno così. Non me ne intendo di calcio ma ho l’impressione che sia un po’ come la regola del fuorigioco. Noi eravamo sì davanti ma evidentemente in fuorigioco.

Però, se vogliamo, è un traffico caotico dove tutti si prendono tutti i diritti ma si capisce che ci sono delle regole, anche se diverse da quelle che siamo abituati a conoscere.

Il clacson non è suonato per rimproverare qualcuno per non aver rispettato delle regole ma per avvisare. E nessuno si innervosisce. Avvisare che si sta superando a sinistra o a destra. Avvisare che si intende infilarsi tra l’autobus ed il carretto anche se non ci si sta ma perché si va più forte di entrambi. Avvisare il pedone che intende attraversare la strada che non si ha alcuna intenzione di fermarsi, avvisare insistentemente che, siccome manca la copertura di un tombino ci si sposta improvvisamente sulla sinistra tagliando la strada a chiunque si trovi su quella traiettoria, avvisare che, siccome c’è una grossa pietra sulla carreggiata ci si sposta di lato passando tra pedoni che restano indifferenti tra due corsie di macchine, avvisare che ci si sposta senza ulteriore preavviso perché da un’auto parcheggiata sulla destra improvvisamente sporgono le gambe e mezzo busto inferiore del guidatore intento ad armeggiare sotto la vettura evidentemente in panne, avvisare che ci  si sposta perché uno dei microbus ha deciso di fare la sua fermata non sul lato destro della strada ma bensì nel mezzo facendo scendere il malcapitato cliente tra macchine che gli sfrecciano letteralmente sui bordi delle scarpe. Avvisare con il clacson, non frenare. Mai!

Pare che qui, in linea di massima, funzioni. Il tutto ha i propri ritmi e la propria velocità. Ritmo e velocità che in questo periodo di Ramadan cresce progressivamente di intensità dalle due del pomeriggio fino al tramonto, ora in cui tutti corrono a casa a mangiare. Pertanto dopo le due del pomeriggio la  normale confusione diventa caos poi frenesia sino a raggiungere ritmi parossistici mentre il rumore di paraurti che si toccano e plastiche di fanali che si rompono aumentano di numero ma tutto e tutti sembrano comunque procedere verso la propria méta anche perché una ammaccatura in più su una lamiera che di insulti di questo tipo ne ha già ricevuti una quantità enorme non fa alcuna differenza così come una freccia rotta non disturba più di tanto se si tratta dell’unica che ancora era ricoperta dalla plastica. 

Oggi è il 3 dicembre,  giornata d’attesa in cui ci siamo recati nella Cairo islamica ovvero al mercato Kan El-Kalili. Un dedalo di viuzze sulle quali si aprono i negozi di ogni genere. La via delle rosticcerie invasa dall’odore dell’olio e di fritto, una viuzza per ogni articolo in vendita com’è nella migliore tradizione araba. E bambini, bambini in giro dappertutto. E sporcizia; ovunque. Già, perché l’Egitto in generale ed il Cairo in particolare sono sporchi, molto più sporchi che qualunque altro Paese arabo. Qui non vi è alcuna cultura della pulizia neppure in città. Nessuno si cura di raccogliere i rifiuti che vengono gettati dalle finestre direttamente sulle strade, negli angoli dei vicoli, nelle viuzze ovunque; e lì rimangono, calpestati, marcescenti fino alla consunzione mentre il liquame in rivoli scende sui lati dei vicoli e verso le parti più basse.

Oggi abbiamo ottenuto visto consolare sudanese. Davvero in due giorni. Dovrò proprio ringraziare, appena possibile, l’ambasciatore Dott. Sica. Il suo intervento è stato veramente provvidenziale.

Per festeggiare l’avvenuto rilascio del visto Christian ed io abbiamo deciso di farci un giro nella parte più moderna del Cairo, L’isola al centro del Nilo, quartiere di Zamalek.

Questo quartiere sorto all’inizio del ‘900 è la parte più “nobile”, ricca e moderna del Cairo grazie alla presenza di diverse ambasciate, ville e residenze di prestigio.Conseguentemente anche i negozi solo adeguati e, purtroppo, anche i prezzi. Per festeggiare, dicevo, ci siamo andati a mangiare una pizza nell’unico locale storico del Cairo dove esistono i salumi, la Maison Thomas, e dove si mangia la miglior pizza della città. Questo è quanto afferma la guida Lonely Planet e questo è anche quello che noi possiamo confermare. Un’ottima pizza con vera mozzarella e, soprattutto con vero prosciutto. Tre passi più avanti e tanto per concludere in bellezza la modernissima, nuovissima, pulitissima caffetteria Cilandro ci ha attratti con la presenza dell’Illy caffè. Ma oltre a tutto questo ed al prezzo adeguatissimo non si è andati ed il caffè espresso lo era solo per la velocità di esecuzione e non per altro. Peccato! Un Illy sprecato.

Lo spettacolo dei ristoranti galleggianti abbondantemente illuminati sul Nilo ed ormeggiati lungo El Gezira da al Cairo un tocco da vera metropoli moderna e mondana.  

Domani partiremo presto alla volta di Assuan da cui però ci separano circa mille chilometri che, penso, percorreremo in due giorni nel tentativo di recuperare un po’ del tempo perduto.

Infatti siamo partiti circa alle 8 ed all’uscita di Giza abbiamo preso verso sud ed esattamente verso l’oasi di El Fayum. Un po’ prima di arrivarci ci siamo resi conto che i controlli di polizia si andavano infittendo e cominciavano a chiederci dove andassimo e per vedere cosa a El Fayum.

Dopo El Fayum, per riprendere la via che scende a sud e che costeggia il Nilo ci siamo, con il solo aiuto del satellitare, in quanto non abbiamo trovato un cane che parlasse anche una sola parola di inglese, infilati con il camion nelle casbe di villaggi incredibili dove non credo proprio che volontariamente ci ritorneremmo se non accompagnati dall’esercito. La larghezza dei dedali e le povere mercanzie esposte lungo i bordi delle case consentiva appena il lento transito del nostro camion tra una massa straripante di persone, donne, vecchi col bastone, bambini. Da come ci guardavano abbiamo capito che lì di turisti e viaggiatori ne vedevano ben pochi.

Abbiamo comunque ritrovato la strada principale ma con questa sono iniziati i check-point presidiati dai militari e con questi le scorte di polizia che ci ha lasciati soli soltanto all’ingresso di Asyut. E qui insieme ai poliziotti ci ha lasciato anche la dea fortuna. Infatti eravamo quasi fermi mentre la ruota posteriore destra è semplicemente scoppiata. Era quella rinforzata a 22 tele. Stupendo!

Cambiamo la ruota e ci inoltriamo in Asyut per cercare un Hotel in quanto non era salutare, data la zona, fermarsi a dormire in un luogo non protetto. C’era traffico verso il centro anche perché si avvicinava l’ora di cena per i mussulmani in periodo di Ramadan. Siamo passati in un sottopasso cittadino ed abbiamo toccato sotto il ponte riducendo ad un non piacevole aspetto la cassa d’acciaio sul portapacchi. Non è proprio giornata in quanto già dal mattino il motore faceva le bizze. I giri salivano a livelli normali e nel momento di affrontare un leggero dislivello della strada calavano sensibilmente per poi riprendere normalmente poco dopo. E così per un sacco di volte. Decidiamo, non trovando l’albergo, di proseguire, tanto avremmo trovato comunque i check-point ed avremmo potuto fermarci lì, appunto, in un posto sufficientemente sicuro. Infatti li troviamo subito all’uscita di Asyut e, dandosi il cambio ogni dieci o quindici chilometri ci scortano fino a cinquanta chilometri da Quena. Da lì alla città ci invitano a proseguire da soli ma anche a non fermarci mai per nessun motivo. Infatti non ci fermiamo proprio, neppure quando davanti a noi un pick-up carico di merce e gente nel cassone perde letteralmente una ruota con tutto il mozzo e parte dell’impianto frenante, si inclina, si siede sull’asse posteriore e sbandando si ferma dopo aver prodotto una quantità di scintille che pareva quasi un incendio. La ruota, invece, come se stessimo assistendo ad un incidente in formula1 è saltata in aria, ha attraversato la strada davanti a noi ed è finita nel Nilo.

A notte tarda siamo giunti a Quena e lì, appunto presso il check-point abbiamo trascorso la notte in attesa che il convoglio del mattino ci accompagnasse per i rimanenti sessanta chilometri sino a Luxor. Durante la giornata abbiamo avuto come scorta di polizia ogni tipo di pick-up in commercio dall’Isuzu alla Gmc, dalla Toyota alla Nissan spesso munite di mitraglietta oltre a tre autoblindo durante la mattinata. Vi erano passaggi in cui la presenza di torrette di guardia era frequentissima e non ci permettevano di fare neppure un passo intorno al camion senza controllarci da vicino, per il nostro bene, s’intende. 

Stamattina (6 dicembre) alle nove e qualche minuto una lunga teoria di grossi pullman e pulmini scortati da diverse pattuglie si è profilata davanti al Check-point Mana dove noi abbiamo passato la notte. Ci hanno aggregati di gran fretta e siamo partiti. Sì, di gran fretta perché i pullman non gestiscono il tempo disponibile con il metro africano ma, avendo le ore ed i minuti contati, lo gestiscono come hanno deciso i tour operator, cioè all’occidentale.

Siamo stati subito superati e lasciati indietro sia perché la nostra velocità non supera gli ottanta chilometri orari neppure in discesa sia per il fatto che il camion proprio di andare non aveva alcuna intenzione. Se ieri andava quasi sempre, nel senso che ogni tanto si sentiva mancare il motore e poi riprendere, stamattina erano più i mancamenti che non le riprese. Così, sperando che bene o male potesse arrivare sino a Luxor e qui controllare e sostituire i filtri del gasolio sicuramente sporchi, non abbiamo percorso più di venticinque chilometri che, progressivamente rallentando, ha deciso di fermarsi. Fortunatamente una delle auto di scorta non ci ha mai abbandonato. Si è fermata, ha lasciato un uomo armato accanto al camion in panne ed è partita a razzo con noi a bordo del cassone del pick-up per portarci a prendere un meccanico. Durante il percorso, avvisati via radio dal comandante della pattuglia, l’auto superava senza fermarsi tutte le auto ferme ai check-point facendo lo slalom tra le transenne poste in modo sfalsato a rallentare il passaggio.

Chi non ha mai circolato su una strada egiziana ma anche siriana o mediorientale in genere non ha idea di che cosa voglio dire. E’ come una corrida. E’ come la corsa dei tori per le strade di Pamplona. E’ una bolgia dantesca. E questo è il percorso ad ostacoli tra carretti trainati da asini sulla destra e sulla sinistra, camion che sfrecciano in entrambi i sensi di marcia, auto e taxi collettivi che viaggiano praticamente sempre nel centro della strada in perenne sorpasso ed in perenne rotta di collisione con i loro colleghi che viaggiano nel senso opposto. E le strade attraversano i villaggi dove, quindi, c’è abbondante attraversamento di bambini, donne, vecchi, cani, asini, capre.

Un colpo secco come se fosse stata colpita una zucca vuota. Noi, nel pick-up doppia cabina, siamo seduti nel cassone voltando le spalle alla direzione di marcia. Vediamo solo nel riquadro aperto del telone una donna volare in aria, arance come palle di un giocoliere, la donna che ricade sull’asfalto e, come se fosse di gomma ritorna in piedi.

L’auto è già lontana e non ho la minima idea se dopo l’impatto la malcapitata sia rimasta sull’asfalto oppure se la sia cavata e con che danni. Christian ed io ci siamo guardati in faccia sconcertati soprattutto dal fatto che l’auto, come se stesse correndo sui binari, non ha fatto ne’ un tentativo di sterzata ne’ un tentativo di frenata ed il poliziotto non ha neppure tolto il piede dall’acceleratore. Come se non fosse successo assolutamente nulla. E magari la poverina c’è rimasta secca. D’altro canto, proprio in queste zone, se ci fossimo fermati la folla li avrebbe linciati o costretti a sparare e, quindi, credo sia per questo che l’idea di fermarsi non li ha sfiorati nemmeno per un istante.

Qui dopo la strage di Luxor del 1997 in cui sono morti cinquantasette turisti la polizia controlla la popolazione locale e la tratta in maniera molto dura considerando che in essa si nascondono i terroristi, i fiancheggiatori ed i simpatizzanti. Per contro la popolazione odia a morte la polizia al punto che attentati e scaramucce da allora le subisce solo la polizia mentre i turisti, dopo questa strage e quella avvenuta davanti al museo del Cairo che causò dieci o undici morti, vengono lasciati in pace.

Così siamo giunti indenni a Luxor, ci hanno trovato il meccanico e ci hanno riportato indietro; noi, il meccanico ed il suo garzone (il figlio di 5 o sei anni che, tra l’altro, ha pensato bene durante una visita dell’interno del camion di fregarci tre cappellini). Così, assieme, ancora sul pick-up della polizia, ci siamo recati ad acquistare i filtri del gasolio da sostituire e la pompa dello spurgo che, al momento meno opportuno, aveva deciso di inchiodarsi. E ci siamo recati proprio, credo, in quel villaggio durante l’attraversamento del quale è volata in alto la donna con la sua borsa della spesa.

E’ stato un zigzagare folle tra asini, carretti, bambini, vecchi con carretti carichi di verdure, donne con la borsa della spesa, mercanti con le loro botteghe protese fuori dagli antri bui ed estese sulla strada. I macellai con le loro carni di mucca e di capra appese a fianco della testa intera, lingua penzoloni di lato, a comprova della freschezza della macellazione, i ciabattini col deschetto, ed i fabbri con l’incudine e la forgia. Pareva d’essere in un presepe ma questo presepe lo stavamo attraversando in auto su viottoli coperti di fango, di escrementi animali, di immondizia di ogni genere. Data la velocità e spericolatezza, pensavo di dover assistere ancora una volta ad una scena raccapricciante come quella precedente ma, sfiorati tutti e toccato nessuno, fortunatamente, non è stato così.

Ritornati al camion, montati i filtri nuovi e fatto lo spurgo siamo ripartiti per giungere in mezz’ora a Luxor.

Abbiamo dedicato una giornata alla manutenzione. Di cosa? Innanzitutto e soprattutto della cassa di acciaio sul portabagagli del tetto. Quella che si era contorta durante il transito in un sottopassaggio troppo basso. Ci è costata tutta la mattina di lavoro di mazza, mazzuolo, martello, pinze e tenaglie di vario tipo, trapano, smeriglia ecc. ecc. E’ tornata quasi in ordine. Non dico nuova ma almeno utilizzabile; cioè apribile e chiudibile e, soprattutto in grado di non riempirsi d’acqua durante le piogge. Almeno così spero.

Dopo cena mi sono fatto una stressante passeggiata sulla Corniche dove i locali non smettono di offrire di continuo una passeggiata in caleche un taxi, un giro sul Nilo e qualcuno, purtroppo, anche con eccessiva insistenza. Li si può capire, s’intende, specialmente dopo l’undici settembre qui non c’è più nessuno. Li si può capire ciononostante sono stressanti ugualmente, specialmente i monelli che ti importunano continuamente con le stesse frasi: “English? “German?” Francais?” ecc. ecc. E tu costretto a dire di no sino a che non ci azzeccano o sino a che non glielo dici tu, stanco di sentire il ripasso completo della geografia europea. “Italiano? Buongiorno. E tu “Buongiorno con tutta la cortesia che puoi utilizzare. Ma il tizio insiste: “Scusa amigo, scusa, solo un momento.” No, grazie, non mi serve niente.” “Scusa amigo… insiste il cocchiere giro turistico solo gingue egiptian pound eccetera eccetera. Tu dici di no ed i pound diventano 3, tu ribadisci e diventano 2, tu ripeti gentilmente “No grazie” e quello ti manda a quel paese così sei costretto, tuo malgrado, a ritornare indietro a risolvere in malo modo quello che … già sapevi che sarebbe finito così. Ma siccome sono terrorizzati dalla presenza costante ad ogni angolo, ad ogni palazzo, ad ogni albergo, della Polizia turistica e da quella dei militari … ti chiedono scusa e, naturalmente a quel paese ti ci rimandano in cuor loro, s’intende.

Oggi è il compleanno di Christian. Sono 22. Gli ho promesso che, visto che c’è, stasera gli pago da bere in un vero pub inglese.  

Ieri sera nel pub inglese non ci siamo andati perché ero rimasto senza molta moneta locale; invece non abbiamo mancato di visitatare i templi di Luxor, sempre stupendi e l’abbiamo fatto abbastanza presto al mattino in modo da poter fare qualche fotografia senza la presenza di un numero eccessivo di turisti. Infatti non c’era praticamente nessuno. L’undici settembre ha colpito ancora. Poi ci siamo fatti una passeggiata lungo la corniche e nei budelli invasi dalle bancarelle. Abbiamo subito la solita continua insistente offerta di carabattole e siamo rientrati al Reikin Camp.

Oggi abbiamo percorso i pochi (210) chilometri che separano Luxor da Assuan.

Siamo usciti da Luxor senza scorta e speravamo che così fosse sino ad Assuan invece prima di Edfu ad un check-point ci hanno fermati e ci hanno fatto attendere per due ore e mezzo l’orario del convoglio che poi era costituito esclusivamente da noi e ci hanno accompagnati sino ad oltre Kom Ombo.

Appena giunti ci siamo recati subito all’Ufficio Turistico vicino alla stazione ferroviaria dove il Mr. Shukry Saad ci ha dato le informazioni necessarie e ci ha invitati a rivolgerci all’Ufficio di Navigazione della Valle del Nilo. Qui abbiamo atteso Mister Salah che, preso anche atto che la nostra è una missione umanitaria ci ha trattati con estrema cortesia. Ci ha confermato innanzitutto che la chiatta per il trasporto dei mezzi pesanti esiste, ci ha comunicato i prezzi del transito per veicolo e persone che si aggira sulle 1400 sterline egiziane (circa 700.000 lire) per il camion ed altre 3 o 400 per Christian e me. Quindi circa un milione di lire. Ho tirato un grosso sospiro di sollievo. Da ultimo ci ha invitati a recarci da lui dopodomani mattina, ovvero l’undici per dirci quando poteva esserci questa chiatta in quanto attualmente è in Sudan. Siccome ci mette circa due giorni a risalire il Lago Nasser e scendere a Wadi Halfa e due per ritornare, presumo che non sarà in partenza se non tra due o tre giorni sempreché non si fermi a Wadi Halfa e semprechè non si guasti. Comunque un passo avanti l’abbiamo fatto.

Queste le notizie positive della giornata e non di poco conto. Quelle negative, perché di negative ce ne sono, è che le ultime notizie sul fronte della guerra al terrorismo internazionale prevedono un possibile attacco alla Somalia.

Le forze statunitensi hanno portato alcune portaerei al largo di Mogadiscio. Colin Powell pare prevedere un attacco alla Somalia che sembra nascondere Ben Laden o almeno dargli appoggio. Questo almeno quanto afferma un giornale radio in lingua francese che si può sentire su una emittente cairota. E, purtroppo, neppure il Sudan è lontano dalle attenzioni degli Stati Uniti. Egoisticamente mi auguro proprio che ci possano essere dei ripensamenti o temporeggiamenti di un certo rilievo in modo tale da consentirci di entrare in Sudan, transitarvi e, soprattutto uscire rapidamente in Etiopia. Non sarebbe bello, per nulla, vedersi chiudere in faccia le frontiere e non poter uscire e magari subire un attacco aereo. Ci servono ancora almeno tre giorni di attesa qui, due di transito via acqua e cinque di transito via terra. Dieci giorni in tutto e dovremmo essere in Etiopia che, se è pur vero che è confinante sia con il Sudan che con la Somalia, è vero anche che non ha mai avuto a che fare con il terrorismo mussulmano e, quindi, non riscuote le attenzioni inglesi e statunitensi.

Ora siamo nell’unico campeggio, se così si può chiamare, di Assuan dove oltre che un luogo cintato da un muro, degli spiazzi per i camper, la luce elettrica ed i militari di guardia, moschetti e kalhasnikov  alla mano, non c’è null’altro se non dei bagni che seppur di recente costruzione, non meritano neppure questo nome. Il pregio più grande oltre alla sicurezza data dalla presenza dei militari è il fatto che costa poco (16 pounds per notte = circa 8.000 lire tutto compreso).

Disperazione nera. E’ il 12 dicembre. Purtroppo non c’è nulla da fare,  probabilmente si potrà partire non prima del 21 o del 22.

Solo domani (giovedì) dovrebbe arrivare la chiatta che sta scendendo il Lago Nasser in direzione di Assuan. In ogni caso non riparte subito in quanto venerdì e sabato sono festivi ed in ogni caso sabato15 termina il Ramadan e domenica 16 è la festa della fine del Ramadan e, quindi, fino al 17 non se ne parla proprio. Per quanto riguarda il 18, 19, 20, 21 non ho capito affatto perché stiamo fermi. Di fatto è così. Non c’è comunque altro modo di raggiungere il Sudan. La frontiera raggiungibile lungo la costa è chiusa al transito e, quindi, non se ne parla proprio. Figuriamoci, gli stranieri non li lasciano andare da soli nemmeno al gabinetto … posso immaginarmi da Marsa Alam sino al confine.

Abbiamo appuntamento presso la Valley River Transport Corporation, la compagnia di trasporti che ci trasferirà in Sudan per martedì 18 con gli altri viaggiatori che abbiamo incontrato lungo il nostro percorso e che anch’essi hanno intenzione di raggiungere il Sudan; un namibiano con fidanzata tedesca e, si spera che ci raggiunga, una Land Rover con a bordo un belga e, meglio sarebbe, anche un gruppetto composto da due motociclisti (3 Land Rover, 1 camion e 2 motociclette) , come si spera, si può raggiungere un prezzo non troppo alto per il transito e, soprattutto, partire subito senza attendere che giungano altri veicoli a riempire l’imbarcazione. L’alternativa è quella di suddividere tra i viaggiatori esistenti l’importo mancante e farsene carico. Tutto sta a vedere cosa ne pensano gli altri. Di fatto è già una pazzia attendere sino al 21 o a 22, figuriamoci se sarà il caso di attendere oltre.

Per occupare il pomeriggio abbiamo raggiunto l’Isola Elefantina che sta proprio di fronte ad Assuan ed abbiamo passeggiato tra i villaggi nubiani e nel palmeto. L’unico problema è che non è possibile sparire camaleontescamente e, conseguentemente, si trova sempre qualcuno che decide di seguirti per offrirti qualcosa con la speranza di rimediare una giornata che, per la maggioranza di costoro che vivono al margine del turismo, rischia di restare senza reddito alcuno. In questo modo, purtroppo, rendono impossibile la permanenza del turista e di fatto, lo fanno sloggiare. E’ sempre stato così e continua ad esserlo. La realtà è tale per cui non è nemmeno possibile acquistare una bottiglia d’acqua senza che ne venga offerta una di Coca Cola che costa di più ed il cui prezzo è più difficilmente controllabile. Per transitare sul traghettino pubblico che dalla città porta all’Isola Elafantina si paga ¼ di Pound a persona per l’andata mentre per il ritorno ce ne hanno chiesti 2 obbligandoci a discutere. E’ tutto comprensibile dal momento che per costoro ciò che è difficile è mettere insieme il pranzo e la cena ma tutto ciò diventa anche uno stress folle per il turista e per il viaggiatore. Il “no grazie” in tutte le lingue diventa un rosario. “Là, shokran”, “no, grazie”, no, thanks”, “non, merci” è tutto ciò che uno si ritrova a dire anche a ciò che, magari, gli aggraderebbe ma un minimo cenno di interesse aprirebbe una trattativa troppo lunga e difficile e, quindi, meglio rinunciare a qualsiasi cosa.

Tutto questo, per il loro bene, qualcuno glielo dovrebbe dire.

Non è permesso guardare un taxi senza che il proprio sguardo venga intercettato dal tassista attentissimo che subito offre. Non si può girare l’occhio su una carrozzella tirata da un cavallo senza che il vetturino offra “caleche?”. Se si transita sulla Corniche si deve rispondere all’offerta continua di “Feluca?” Se, invece si transita dalla parte opposta oltre all’offerta di caleche e taxi c’è quella dei negozi di paccottiglia turistica e di bevande oltre a tutti i perditempo che si offrono di condurti all’albergo sicuramente migliore del tuo, dal venditore sicuramente meno caro, a vedere il museo del papiro o l’obelisco incompiuto. Questa, pensate, è stata l’offerta che ci è stata fatta da alcune persone dentro il cimitero fatimide nei pressi del campeggio.

Neppure al cimitero … si può star tranquilli da queste parti. Davvero!

Ancora giornate d’attesa. Oggi qui è festa, cioè la giornata di riposo settimanale; infatti stamattina alle cinque e mezza e poi alle sei e mezza, oltre al frastuono provocato dai Muezzin delle moschee di Assuan che contemporaneamente danno il via alla prima preghiera della giornata, si sono sentite le campane, suppongo, della chiesa cattolica o di quella anglicana. E’ stata una sensazione davvero particolare, inusuale. Un suono di casa che per un istante ha fatto dimenticare le palme, il sole, il Nilo, le feluche, le galabija, le shessaa, i souk e le medine e per qualche istante ci ha offerto l’immagine di una vallata alpina dove, di buon mattino, un antico parroco richiama la valle al nuovo giorno ed i suoi parrocchiani a ringraziare il buon Dio per averglielo concesso.

Ma è solo questione di qualche istante perché il melodioso e metallico suono delle campane è coperto e sovrastato da qualche altro Muezzin che con qualche minuto di ritardo sugli altri ha dato il via alle sue litanie mentre le campane sfumano nel tepore dell’alba che presto diventerà il calore del giorno del Tropico del Cancro nei giorni che precedono il Santo Natale 2001 in cui per la prima volta in vita mia non sarò a casa, in famiglia, in cui per la prima volta non scarteremo regali di Natale e non stapperemo bottiglie di spumante, in cui non ci sarà pranzo di Natale e non siederemo attorno al caminetto dal quale i ciocchi di legna offrono tepore al corpo e calore allo spirito. Un Natale in maniche corte a non meno di trenta gradi di temperatura.  

Oggi è l’ultimo giorno di Ramadan, anzi, veramente l’ultimo risulta essere stato ieri ed oggi tutti fanno festa. Stamattina alle cinque e mezza i Muezzin hanno cominciato a cantare e con loro un incredibile suonatissimo coro di voci con il sottofondo di un frastuono incredibile di clacson, motori rumori, grida di gioia e quant’altro potesse disturbare l’alba. Fino alle sette e mezza poi il frastuono si è acquietato ed è diventato un normale rumore di vita festiva. Naturalmente i clacson hanno continuato a schiamazzare e sulla Corniche ad offrire “feluca” con la stessa insistenza di sempre.

La città stamattina è piena di scolaretti e studenti che sono a casa da scuola. Vestiti della festa e tutti in giro al sole del tropico.

Essendo finito il Ramadan hanno riaperto anche i chioschetti che vendono chebab arrostito lungo la via con contorno di patatine fritte e felfela. Stamattina ho visto riapparire persino i gelati. Veramente c’è solo una pasticceria in tutta Aswan lungo il Nilo che vende i gelati. Una marea di ragazzini ha invaso i giardini pubblici. Purtroppo, non essendo a scuola, tutti mettono in pratica quel po’ di inglese che studiano a scuola e che (apparentemente s’intende) pare che serva solo ad attaccar bottone con i turisti. Welcome” “How do you do” “What’s your name” “Good morning” .

I giorni passano e noi restiamo sempre in attesa di poter proseguire.

Oggi 18 è ancora festa e domani pure. Quattro giorni di festa per la fine del Ramadan. Più precisamente oggi è la festa Aid Al Feter e tutta Aswan era a spasso vestita a festa. Qui al sud, diversamente dal Cairo dove gli egiziani di norma sono occidentalizzati, qui, dicevo, dove convivono gli egiziani ed i nubiani vi sono ancora molti che rispettando la tradizione e vestono la galabea e le donne il velo nonostante sia una città turistica. I nubiani sono più scuri di carnagione ed hanno un aspetto più da “africa nera”, inoltre, qui al sud sono maggiormente presenti i cristiani forse anche memori del fatto che un tempo, intorno all’anno 500 si erano convertiti al cattolicesimo.  prima che le pressioni mussulmane degli egiziani, che intorno al 650 si erano convertiti all’Islam, non avessero la meglio facendoli passare politicamente e religiosamente dalla loro parte con la caduta nel 1315  dell’ultimo re cristiano della Nubia. La Nubia è ormai inesistente in quanto il suo territorio vitale è stato quasi del tutto ricoperto prima dall’acqua negli anni che dal 1902 vanno fino al 1912 e 1934 e dal Lago Nasser poi creato dalla nuova ed ancor più grande diga di Assuan. Già più povera dell’Egitto in origine in quanto non ha mai fruito del limo del Nilo che andava a scaricarsi più a valle appunto nei territori egiziani, ha subito ancora una volta la preponderanza egiziana così come l’ha sempre subita nei millenni. L’ha subita recentemente e forse per l’ultima volta sparendo non solo quale unità politica ma anche territoriale dopo aver sempre subito il controllo e la preponderanza sia sotto l’aspetto politico-militare che economico. I momenti migliori nella storia nubiana corrispondono infatti ai momenti di crisi della civiltà egizia. Negli anni successivi la costruzione della grande diga di Assuan (’70 e ’80) le popolazioni che perdevano così le loro capanne e la magra terra coltivabile venivano sradicate e trapiantate in villaggi più a nord, nei pressi di Kom Ombo. Villaggi costruiti appositamente e, pare, anche fallimentari in quanto, sebbene nuovi, non adeguati rispetto alle esigenze della vita dei nubiani e del loro bestiame. In buona sostanza ne uscirono dei ghetti che mal si adattavano alla vita di queste persone.

Della Nubia oltre alle poche vestigia storiche presenti nel nuovo museo nubiano di Assuan resta ormai solo il ricordo delle loro costruzioni di mattoni di fango, spesso esternamente ornate di disegni allegri e colorati e la musica che risulta essere abbastanza diversa da quella araba e, per sua natura, più apprezzata in occidente. 

Purtroppo alcuni telegiornali hanno lasciato intendere che gli Stati Uniti hanno, se non ho capito male, qualche intenzione bellica nei confronti del Sudan in quanto fiancheggiatore o comunque sostenitore di Ben Laden e della sua organizzazione El Queda. Non vorrei sembrare pavido ma questa non sarebbe una buona cosa dal momento che fra tre giorni noi dovremmo trovarci, appunto, in territorio sudanese e cui dovremmo restare almeno per una settimana; il tempo per portarcene fuori, in Etiopia. Sarebbe veramente spiacevole se gli americani attaccassero proprio mentre noi ci trovassimo lì. Meglio non pensarci!

E’ il 23 dicembre e finalmente si va verso la diga di Aswan dove termina la ferrovia e c’è l’imbarco. Con noi tutti i previsti ovvero 3 Land Rover con 5 persone a bordo, una Toyota con due persone e due motociclette più noi, ovviamente.