IL DIARIO |
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TUNISIA
In questa splendida cornice il Governatore del Kiwanis International Distretto Italia, Dott. Francesco Mignolo appositamente approdato in Tunisia da il via ufficiale alla missione umanitaria “Sabbia per Acqua” a cui sono poi seguiti i discorsi ufficiali del Presidente del Club di Tunisi, l’Architetto Hichem Mehdi, del Sindaco di Cartagine e del Direttore Generale del Ministero delle Acque. E’ presente anche il Rettore dell’Università El Manar di Tunisi, il Prof. Youssef Alouane. Un rinfresco presso la sede del Club del Grandi Viaggiatori ha poi condotto a termine la serata. La missione è così
ufficialmente iniziata. Purtroppo la nostra “missione” ha un grave problema burocratico che però nessuno ascolta. Sembra che le mie parole siano dirette ad ectoplasmi perché escono dalla bocca, sembrano fluttuare leggere nell’aria, entrano nelle orecchie dei presenti che ascoltano senza offrire alcun valore a ciò che dico e, complimentandosi per la missione, cambiano argomento. Il problema però è serio e non poco. All’ultimo momento ci sono stati riconsegnati i passaporti privi del visto consolare libico. In un primo tempo la motivazione dichiarata era la mancanza dei “bolli” che dovevano arrivare da Tripoli; una scusa ridicola. Poi, senza alcuna supplementare spiegazione, ci è stato detto che era stata chiusa la frontiera libica, altra scusa presto smascherata. Questo, abbiamo pensato, è probabilmente un effetto collaterale di ciò che è accaduto l’11 settembre a New York. E così, l’indomani mattina, invece di andare a visitare il dispensario e la scuola elementare com’era stato previsto siamo costretti, nostro malgrado, a recarci all’Ambasciata italiana a chiedere informazioni sull’improbabile emissione del visto per l’ingresso in Libia e successivamente quello per il Sudan, anch’esso mancante. Facciamo la spola tra l’Ufficio Culturale Italiano e l’Ambasciata ma non ne caviamo un ragno dal buco. Siamo fermi, assolutamente fermi, irrimediabilmente fermi. Vediamo sfumare tutto quanto, sono mortificato e sento che non avrò nemmeno il coraggio di ritornare in Italia. Aver organizzato una traversata del Continente africano da Tunisi a Città del Capo prevedendo l’attraversamento di 13 Stati e non riuscire nemmeno ad uscire da Tunisi é il peggio che possa succedere. Ho telefonato e chiesto aiuto ad un’amica, esperta di “cose libiche”, una frequentatrice ed una studiosa della Libia, Oriana Dal Bosco che, mentre avevamo quasi deciso di lasciar perdere ogni cosa e ritornarcene a casa, ci invita ad attendere un giorno per verificare se, per mezzo di amicizie e raccomandazioni, era possibile riuscire ad avere il sospirato visto e, quindi, poter partire veramente. Per non restare a far nulla ed attendere fatalisticamente quanto ci verrà detto in merito al rilascio del visto, siamo andati a verificare quanto erano disposti a dirci in consolato sudanese in merito al rilascio del visto per il transito in Sudan. Un giovane funzionario, nero come il carbone ed alto quasi due metri, gentilissimo, ci ha fatto compilare un modulo di richiesta, traducendocelo, in quanto scritto esclusivamente in arabo. Per avere il visto dovremo aspettare una settimana in quanto non essendo residenti la richiesta deve essere inoltrata a Khartoum e quindi ritornare a Tunisi. Speriamo solo di non essere stati già segnalati alle autorità centrali sudanesi. A sera, da Oriana ci giunge notizia che in Italia il visto ce lo rilasceranno; la conoscenza dell’amico fraterno del Console ha … funzionato. Speriamo che sia così. Ora si tratta di capire in quanto tempo ciò sarà possibile e se dovremo prendere l’aereo per Palermo entrambi o soltanto Christian; fermo restando che sarebbe illegale per me restare in Tunisia senza il passaporto mentre d’altro canto sarebbe impossibile per me uscire senza il veicolo importato. Domani si vedrà il da farsi. Di fatto, comunque, domani è festa nazionale e già da 2 giorni girano per le vie principali di Tunisi parate di bambini e adolescenti organizzati dalle scuole e dalle organizzazioni sportive e scoutistiche con bandiere, vessilli, tamburi e quant’altro per festeggiare il 7 novembre del 1987 giorno del “cambiamento”. Cambiamento del vecchio capo di stato Habib Bourguiba, padre della Patria, con il nuovo Capo di Stato poi continuamente rieletto dal 1987, Zine El Abidine Ben Alì che con la sua ascesa ha aperto le porte al rinnovamento ed alla democrazia. E’ l’8 novembre; l’aereo abbiamo deciso di prenderlo entrambi per evitare di fare cose illegali come quella di fare uscire il mio passaporto di nascosto con il rischio che poi qualcuno si accorga che mentre io ero in Tunisia e, ovviamente, con me doveva esserci il passaporto, veniva emesso un visto d’ingresso libico in Italia. Così abbiamo messo il camion in deposito doganale, cosa che, sia in termini di costo vero e proprio sia in termini di deposito a garanzia ci è costato un occhio della testa, ed abbiamo acquistato due biglietti aerei della Tunitair, la compagnia aerea interna tunisina. ANCORA
ITALIA Di buon mattino ci rechiamo presso il consolato della Jamahiria al quinto piano di un moderno palazzo non lontano dal centro storico con la speranza che la “raccomandazione” promessa faccia il proprio effetto. Allo sportello non c’è nessuno ed abbiamo l’impressione che non ci debba essere mai una gran folla. Ci viene dato il solito modulo da compilare ma ci viene anche detto che il fax di invito per noi, necessario per l’emissione del visto consolare, non è arrivato. Insisto e dopo il parlottare dell’impiegata con una voce maschile ci dice che la documentazione è incompleta. Una scusa, evidentemente. Ci viene detto di ritornare il prossimo martedì, ovvero dopo 4 giorni e che poi ci sarebbe comunque voluta una settimana per rilasciarci il sospirato “timbro”. Niente da fare, non possiamo certo restare a spendere soldi in albergo per oltre 10 giorni. E poi con quale certezza di ottenere il visto? Così proprio non va. Usciamo e telefono a Oriana per informarla della situazione. Sono le nove e mezza. La speranza di ottenere il visto per la mattinata è definitivamente sfumata ma sta sfumando anche quella di ottenerlo in tempi accettabili. Oriana ci richiamerà alle 10 dicendoci di chiedere del Sig. Tale in quanto il Console è andato a New York ma ha telefonato ordini precisi. Ci credo e ritorniamo al quinto piano di Via Libertà. L’aria è cambiata, chiedo del Sig. Tale ma non è necessario, ora tutto procede, ci fanno pagare i diritti per il rilascio e ci chiedono per quando lo vogliamo. Io azzardo “subito” motivando il fatto di avere l’aereo per Tunisi il giorno dopo. L’impiegata, sicuramente non abituata a simili ridicole richieste, quasi si mette a ridere ma il suo capo non è del suo stesso avviso. Gli ordini che ha ricevuto devono essere stati proprio perentori. Mi dicono di ritornare alle 11.45 ovvero dopo un’ora e mezza. Alle 11.45 siamo lì e, meraviglia delle meraviglie, ci rendono i passaporti “vistati”. Un visto libico in un’ora e mezza di venerdì è un record, credo, assolutamente ineguagliabile. Facciamo subito i due biglietti aerei per il ritorno. ANCORA
TUNISIA Il giorno seguente partiamo alle 14.30 ed alle 15.30 atterriamo a Tunisi. E’ il 12 novembre e ci rechiamo alla dogana a far “ricaricare” il veicolo sul mio passaporto e poi con un po’ di apprensione all’Entrepot (Magazzini Generali). Con un po’ di apprensione perché se è pur vero che il camion è stato messo in un cortile circondato da alte mura con filo spinato ed il tutto chiuso con lucchetti, è anche vero che ci è stato chiesto di lasciare le porte aperte e le chiavi inserite nel cruscotto. Non avevamo alcun timore rispetto alla sicurezza del veicolo ma solo rispetto agli oggetti in cabina. Preoccupazioni inutili. Era tutto O.K. Il camion asfar (ndr giallo) era intatto. La cauzione (ben 1200 Dinari = circa unmilioneottocentomilalire) ci viene restituita mediante assegno della SBT al netto, ovviamente, del costo del deposito per tutto il mese di novembre. Così è se vi pare! Dopo aver provveduto a cambiare l’assegno, con un taxi, andiamo al Consolato sudanese dove, lo stesso giovane addetto che avevamo già conosciuto ci accoglie con gentilezza e ci riconferma che i visti, se Karthoum non ha nulla in contrario, ci saranno rilasciati dopo una settimana, ovvero lunedì 19 novembre. Così, con la speranza che anche questo passaggio burocratico possa davvero essere superato ce ne ritorniamo a prendere il camion e scendiamo lungo il mare verso sud fermandoci a Monastir dove ci accoglie un temporale terribile mentre al telefono ci viene data la notizia di un aereo partito da New York e scoppiato in volo. Altro per ora non sappiamo ma speriamo tanto non si tratti di un ulteriore attentato. Bisogna far passare il tempo in attesa che ci venga rilasciato l’altrettanto sospirato visto sudanese e per fare questo che ne andiamo un po’ a spasso per la Tunisia e scendiamo lungo la costa sino a Mahdia, località turistica a circa duecento chilometri a sud di Tunisi. E’ il 17 novembre e siccome prevediamo di essere a Tunisi lunedì mattina per verificare se finalmente ci verrà rilasciato il tanto sospirato “visto consolare” sudanese decidiamo di iniziare, seppure lentamente, a percorrere quei circa duecento chilometri che ci separano da Tunisi. Dopo la colazione del mattino metto in moto, innesto la marcia, un rumore di ferraglia rotolante si sprigiona da sotto il pianale, tolgo la marcia, faccio venti metri per inerzia e mi fermo. Definitivamente! Il cambio non da’ più alcun segno di vita. Nessuna marcia entra e, quindi, il mezzo non fa più un passo. Ormai gli inconvenienti sono talmente tanti che non so più a che santo votarmi. Piccoli inconvenienti che non sono stato lì a raccontare, piccoli, se vogliamo, ma continui e, noto ora, di importanza crescente. Questo, infatti, non è poi tanto piccolo. Infatti siamo fermi. E’ sabato mattina e la speranza che possa accadere qualcosa prima di lunedì è un lumicino tenue come una luce di candela. Prima cosa da fare è far trainare il camion in una officina di riparazioni ma siccome siamo in una zona turistica di officine neanche l’ombra. Però ci sono i taxi e così ci facciamo portare da un taxi alla ricerca dell’officina. E già dal tassista prendiamo il primo bidone della giornata. Tutti intenti al pensiero del grosso problema non stiamo certo a contrattare il prezzo della corsa ed il tassametro è solo un gadget che il tassista, peraltro, tiene spento. Officine che riparano espressamente mezzi pesanti non ce ne sono così come in città non ci sono carri attrezzi e, quindi, viene reperito un camionista che con il suo camioncino trascina il nostro sino davanti alla porta di un buco di officina dove alcuni rienfaisand si prestano a fare da mediatori, interpreti, esperti e quant’altro. I soliti tizi pronti a cogliere l’occasione sia per fare passare il tempo e, meglio ancora, raccattare qualche soldo di mancia facendo un servizio. E così qualcuno (colui che più tardi definirò “la volpe” si impegna a derubarmi in nome e per conto dell’autista del camioncino, socio improvvisato, la bellezza di cinquanta dinari, circa settantacinquemilalire. Me ne aveva chiesti settanta in realtà ma io avevo ben altro a cui pensare ed ho pagato senza stare a contrattare più di tanto. Con uno di questi (quello che più tardi definirò “il gatto” su una scassata Fiat Uno Turbo D (il Turbo D è un gadget aggiunto così come molti altri) e con il meccanico che ha tolto il pezzo rotto che è risultato essere l’albero di trasmissione tra la scatola del cambio e quella del riduttore, ci rechiamo in una cittadina vicina dove il ricambista dopo ampia discussione afferma di non averne. Il “gatto” però è ben disponibile ad aiutarci e con fare di disponibilità e grande calma afferma che n’y à pas de problemes e tutto si può risolvere. In un magazzino di ricambi per veicoli industriali a poche centinaia di metri dall’officina sembra che il pezzo ci sia. Seguono scambi telefonici con quella che poi risulterà la loro sede principale a Sfax dove il pezzo è presente e mi viene , anche chiesto se a quel prezzo (280 dinari tunisini compreso il trasporto) i ricambi mi vanno bene. Faccio quello che piange un po’ come d’uso da quelle parti e poi mi adeguo e dico, O.k. Usciamo di lì e “il gatto” comincia il suo pezzo di teatro affermando che ils ont fait le truc. Ils n’ont pas le piece mentre lui la mattina successiva ci avrebbe aiutato andando a cercarlo presso qualche sfasciacarrozze. La mattina successiva, infatti, arrivano “il gatto e la volpe” accompagnati dal meccanico e ci dicono che noi possiamo anche restare a guardare il camion che loro sarebbero andati a cercare il pezzo. Noi restiamo lì e per ammazzare il tempo giochiamo a carte anche se l’angustia del fatto di essere fermi in una infame periferia si fa sentire. Il pezzo di teatro continua quando nel pomeriggio viene il meccanico e ci dice che il pezzo è stato trovato ma non a Sfax bensì a Tunisi e sono andati sin là a prenderlo. Prima hanno fatto cento chilometri in giù fino a Sfax e poi duecento in su fino a Tunisi. Dice che sarebbero ritornati per le sette di sera e che sarebbero venuti subito a montarlo. Incredibile ma vero alle sette meno due minuti arrivano col taxi “della volpe”, “il gatto, la volpe e mangiafuoco” (il meccanico). Subito tutti si mettono all’opera ma non hanno abbastanza bulloni; ce ne vogliono sedici e ne hanno solo nove. Il gatto mi mette anche al corrente che, purtroppo, hanno dovuto andare fino a Tunisi dove, grazie a relazioni telefoniche sue, hanno potuto avere il pezzo giusto. Non è stato facile ed hanno anche dovuto pagarlo il doppio. Quattrocentottanta Dinari tunisini. Ma che potevano fare? Non c’erano alternative per togliermi dall’impiccio. Ma bisognava anche trovare gli altri bulloni. Parte “il gatto” e poi “la volpe”. Tornano e portano i bulloni. Purtroppo, però le crocere cardaniche spezzandosi hanno martoriato alcuni bulloni che le tenevano al loro posto facendo in modo che questi non si potessero più svitare. Purtroppo la cosa si faceva lunga ed era necessario dare di mola alle teste dei bulloni. Così altri personaggi di una vicina officina meccanica, nonostante l’ora tarda, sono stati portati alla ribalta e, alla luce prodotta da una lampada portatile e dal mio generatore di corrente, si lavorava freneticamente. Mentre tutto ciò accadeva avevo tutto il tempo di pensare. Ero nervoso e mi chiedevo perché molte cose non quadrassero. Mi chiedevo perché lavorassero a quell’ora dal momento che nessuno gliel’aveva chiesto ed era ben possibile farlo al mattino successivo con la luce e con tutto comodo. E poi tanta gentilezza nel non averci portato con loro sebbene prevedessero il fatto di dover decidere di acquistare un pezzo ad un prezzo ancora ignoto e di doverlo pagare anticipatamente rispetto al mio successivo pagamento. E, infatti, “il gatto” ha affermato di averlo pagato con un assegno. Ma che dimostrazione di disponibilità! Quasi settecentocinquantamila lire anticipate da uno sconosciuto che tra l’altro aveva l’aspetto di uno spiantato, per mettere noi, degli emeriti sconosciuti, in condizione di riprendere il cammino. E poi si dice … l’ospitalità. Semplicemente una serie di bugie architettate per rapinarci una certa quantità di denaro. Molto denari, il più possibile. Il doppio del prezzo dei pezzi meccanici e poi la mano d’opera ancora da trattare ed il taxi per tutto il giorno con due persone a bordo ed i cinquecento chilometri fatti. C’era da non asciugarsi più gli occhi. Ero nelle loro mani in quanto il pezzo meccanico era in loro possesso ed il camion fermo a lato dell’officina. Che fare? Meglio far finta di essere il turista scemo; tanto tonto da non dire nulla e, quindi, lasciar fare fino in fondo, fino al montaggio dei pezzi e poi si sarebbe visto il da farsi. Continuavo
a rimuginare tra me per capire qual’era stato il loro piano e come sventarlo.
Andavo avanti e indietro mentre le persone coinvolte oltre “il gatto, la volpe,
mangiafuoco, i due dell’officina meccanica più un altro tassista che si era
fermato a curiosare ed un altro tizio ancora si davano da fare sotto il camion.
Alla bellezza della mezzanotte e mezza mi si chiede di provare il camion per
qualche centinaio di metri. Lo faccio
mostrandomi seccato e poi, subito dopo, mi si chiede di pagare il prezzo
di 480 Dinari per i pezzi di ricambio più 60 per la mano d’opera più una ancora imprecisata cifra per il taxi. Non li ho neppure lasciati
finire ed ho subito iniziato una rissa verbale affermando che di furto si
trattava e che non avrei pagato quel prezzo e che al mattino successivo sarei
andato alla polizia. Ho pagato, invece, ciò che ritenevo essere un acconto
prudente; trecentocinquanta dinari tra il valore dei pezzi di ricambio e la
manodopera. Il mattino successivo, infatti, dopo essere stato sveglio per tutta la notte per timore di qualche ripercussione spiacevole, ci siamo recati presso gli uffici della polizia dove ho spiegato ogni cosa ad un giovane commissario che ha capito subito qual’era la situazione. Mi sono poi fatto accompagnare da due poliziotti in borghese presso l’officina dove è ricominciata la discussione tra il meccanico ed i poliziotti mentre “il gatto e la volpe” non li ho più rivisti. Hanno creduto bene di restare alla larga. Non era aria per loro. Siamo stati portati tutti di nuovo in caserma dove “mangiafuoco”, il meccanico è stato redarguito, è stato steso un verbale che ci hanno fatto firmare ed è tutto terminato con il pagamento di una piccola somma di differenza ancora mancante. Siamo subito ripartiti per Tunisi dove siamo rimasti in attesa che, l’indomani, ci venisse apposto sul passaporto il visto per il Sudan. All’ambasciata sudanese, purtroppo la risposta è sempre la stessa. Negativa. Ci chiedono di attendere ancora tre giorni. E’ evidente che non ce la facciamo più a restare fermi senza alcuna garanzia che dopo tre giorni i visti ci siano. Decidiamo di partire comunque ed il visto proveremo a chiederlo al Cairo.
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