IL DIARIO

 PARTENZA TUNISIA LIBIA EGITTO SUDAN ETIOPIA
KENYA TANZANIA ZAMBIA BOTSWANA SWAZILAND SUDAFRICA

 

SUDAN

 

Si fanno tutte le operazioni doganali in maniera assai veloce e, inaspettatamente, dopo le brevissime operazioni di imbarco su quella che è realmente una chiatta nel senso che di suo non possiede nemmeno un motore ma viaggerà spinta da una bagnarola che deve avere avuto un passato quale peschereccio. Di fatto già alle tredici si parte su un lago contornato da una natura desertica certamente non particolarmente ospitale.

Si fa presto a fare comunella, naturalmente, dovendo convivere in spazi così ristretti. Ma non è affatto spiacevole. Si prende il sole sul ponte e alla sera si accende il fuoco e si bivacca come se si fosse in pieno deserto.

Alle sette di sera quando ormai è buio da parecchio tempo quando ci si ferma e si ormeggia lungo la riva del lago. Nessuno dei passeggeri scende a terra sia perché a terra non c’è nulla ed anche perché non è affatto improbabile che in queste secche si trovino dei coccodrilli e non sarebbe certo un incontro piacevole.

 Il giorno della vigilia passa così con tutti dediti alle manutenzioni ai veicoli e poi il relax a prendere il sole che è veramente caldo e l’abbronzatura è assicurata.

Alla sera, notte di Natale per l’appunto, si riuniscono i tavoli e si mangia tutti assieme. Qualcuno, previdente ha portato un piccolo presepe portatile ed un alberello di natale così come qualcun altro, altrettanto previdente, ha portato un piccolo Babbo Natale con tanto di carillon che suona Jingle Bell e la serata passa allegramente mentre la birra Saqquara e Stella di produzione egiziana scorre a fiumi. Gli inglesi in tale attività la fanno da padroni ma non sono da meno gli olandesi e … qualcun altro.

Per una promessa di bachsish gli addetti alla conduzione della chiatta navigano fino alla mezzanotte andando ad ormeggiare ad Abu Simbel dove riusciamo ad avere le fotografie notturne mentre passiamo davanti ai colossi ricostruiti.

E’ il 25 dicembre – giorno di Natale

Con il maggior percorso nottetempo sino ad Abu Simbel e viaggiando a regolari sette nodi già verso

mezzogiorno siamo vicini alla meta ovvero Wadi Halfa che si trova sul lato orientale del Nilo.

Non ci fanno sbarcare subito ma appena dentro il confine lacustre la chiatta viene fatta fermare ancora sul lato occidentale e viene raggiunta da un plotone di militari in divisa che sale a bordo a fare un primo controllo dei documenti e dei veicoli.

Evidentemente è tutto o.k. e, quindi, poco dopo si riparte per giungere verso le tre del pomeriggio a Wadi Halfa ma ancora non ci fanno sbarcare ma salgono a bordo per il controllo dei documenti sanitari (n.d.r. certificato di vaccinazione contro la febbre gialla) la compilazione delle solite fiches relative a mezzi e persone. Salgono a bordo individui in divisa ed altri nella tradizionale galatea candida. Gentili e cordiali vengono a dare la mano a tutti; del resto non è che siamo in molti, undici in totale. Le operazioni si svolgono in modo relativamente veloce ed un uomo piuttosto anziano, in particolare, si mostra particolarmente gioviale e disponibile e tiene un comportamento amicale.

Si occupa di compilare documenti per tutti, insomma aiuta. Credo che tutti, dal momento che l’esperienza di vita ci ha insegnato che “neanche i cani fanno andare la coda per niente” si siano attesi che al termine costui pretendesse un bachsish particolarmente consistente.

In considerazione del fatto che le operazioni relative ai permessi di transito da Wadi Halfa a Khartoum per esperienza si presentavano lunghe costui ci invitava tutti a mangiare in paese dove alla sera c’era gran festa (del resto era il giorno di Natale) e un gran ballo con la tradizionale musica nubiana e poi tutti ad una sua grande casa con giardino dove i due motociclisti hanno anche ottenuto una stanza ed un letto ed al mattino successivo assieme a lui saremmo andati tutti presso le autorità di polizia a sbrigare le rimanenti formalità di ingresso in Sudan.

Così è stato. Si poteva non accettare? Non lo si poteva fare ed è stata buona cosa non farlo. Nelle intenzioni di costui che ha fatto preparare da mangiare per tutti noi ed ha mangiato alla nostra tavola, che poi ci ha portato nello spiazzo aperto e polveroso dove si teneva il gran ballo in piazza c’era solo e solamente vera e propria ospitalità. Per noi che si arrivava dall’Egitto era abbastanza difficile crederlo ma è stato veramente così.

In piazza ci siamo resi conto che il doganiere doveva essere uno dei maggiorenti del villaggio e ballava in galabea bianca con altri quattro che dall’aspetto lo erano altrettanto. Sindaco, medico, farmacista, direttore di banca e imam, tanto per intenderci.

Da un lato dello spiazzo piano piano si sono andati posizionando gli uomini uno a fianco all’altro e, di fronte, le donne una di fianco all’altra tenute per mano in lunghe file. E tutti danzavano alla musica ed al canto piacevole del cantante e dei musici che l’accompagnavano su un palchetto posto sotto una palma in un angolo. Lo spiazzo lentamente si andava riempiendo mentre le donne giungevano vestite a festa a piedi da ogni angolo del villaggio oppure vi venivano accompagnate sui pick-up o sulle Land Rover. Nubiane giovani bellissime nei loro tradizionali abiti della festa. Coloratissimi, allegri, di varia foggia e colore ma sempre di una allegria che metteva gioia al solo vederle.

Erano solo le otto e mezza quando ce ne siamo andati verso la casa del doganiere mentre l’affollamento continuava ad essere sempre più intenso. Abbiamo saputo al mattino dopo che la festa è continuata fino alle tre di notte.

Al mattino successivo, al nostro risveglio, mentre si usciva noi dal camion e gli altri dalle tende air-camping montate sulle Land Rover, venivamo accolti da alcune donne del villaggio che ci offrivano dei dolcetti peraltro buoni. Una ospitalità ed una gentilezza inattese e piacevolissime. E queste sono le cose che di un viaggio veramente colpiscono. L’inatteso.

La mattinata poi è trascorsa così come il doganiere aveva previsto nello svolgimento delle pratiche burocratiche e nel pagamento dei balzelli inventati dal governo per portare a casa qualche spicciolo.

Li, presso la polizia, all’ufficio ALIENS, un viaggiatore di  passaporto inglese ma di nascita turca ci ha presentato Ahmed e ci ha chiesto se potevamo dargli un passaggio per tre o quattrocento chilometri sino alla stazione ferroviaria di … in quanto era intenzionato a ritornare a Khartoum ed il treno che appunto da Wadi Halfa raggiunge Khartoum si era guastato.

Christian ed io ci siamo consultati un attimo ed abbiamo risposto “Wy not?” Ciò ci avrebbe costretto a viaggiare un po’ scomodi in quanto la nostra cabina consta di due posti ma come si fa a dire di no a chi chiede con gentilezza? O.k., quindi, quando avremo finito le nostre pratiche doganali.

Mentre mi recavo a cambiare un po’ di denaro presso la filiale locale della Banca di Khartoum Christian viene a sapere da Ahmed che non intende viaggiare senza portare con se il suo coccodrillo. Al che io sgrano gli occhi come fa chi teme di non avere capito bene. La domanda che mi è venuta spontanea è stata: “Ma quanto è grande il pacco?” Non si tratta di un pacco ma di un coccodrillo vivo di tre anni ed  un metro e mezzo di lunghezza. Ma, dico io, non scherziamo, non se ne parla nemmeno. Dove ce lo teniamo in cabina con noi? Oppure ce lo portiamo al guinzaglio?

Per farla breve, un po’ perché il ragazzo non insisteva più di tanto, anzi, non insisteva per niente, un po’ per curiosità, un po’ perché non volevo fare la figura di scaricarlo, gli ho chiesto di andare a casa sua a vedere l’animale e farmi capire come l’avrebbe trasportato durante il viaggio che sarebbe durato almeno un giorno fino alla stazione del primo villaggio oppure anche due o tre se l’avessimo portato sino a Khartoum. Visto l’animale, ci disse che l’avrebbe messo in una cassa chiusa e che non avrebbe disturbato nessuno. Che così avrebbe fatto anche se avesse viaggiato in treno.

Risultato. O.k., acchiappa l’animale, dico io, incassettalo e partiamo.

Arrivano amici e amiche a salutarlo, sua sorella che ci aveva offerto del te gli consegna dei dolcetti e caramelle per il viaggio, spunta sua madre che ci saluta con riconoscenza e gli consegna due bottiglie di acqua ghiacciatissima per il viaggio e nel polverone delle viuzze di Wadi Halfa tra la contenuta e dignitosa curiosità che il nostro veicolo, piuttosto insolito, crea, partiamo non prima di aver fatto tappa “in centro” per salutare tutti gli altri nostri improvvisati compagni di traversata del Lago Nasser. Prima del far della notte avevamo percorso circa centotrenta chilometri di pista sabbiosa e ci fermavamo presso la stazione ferroviaria n. 4. Si badi bene che per stazione ferroviaria si intende una costruzione che nelle intenzioni dei costruttori prevedeva un complesso di edifici con servizi, magazzini, specie di bungalow per viaggiatori in transito ed in attesa del treno ma che nella realtà oltre ad essere fatiscenti a dir poco non si capisce bene per chi erano state costruite dal momento che queste stazioni in numero di dieci (e infatti si chiamano proprio così: n. 1, n. 2 ecc.) non servono nessun villaggio. Non mi è mai capitato di vedere un deserto più deserto di questo. Ne’ villaggi, ne’ nomadi e neppure transito di persone o veicoli.

In due giorni e mezzo di viaggio abbiamo percorso oltre seicentocinquanta chilometri senza incontrare un solo veicolo o una sola persona.

Stessa storia del giorno precedente e, dal momento che Ahmed si comportava in maniera veramente discreta ed il coccodrillo che aveva mangiato prima di partire non dava alcun disturbo abbiamo pensato di portarlo con noi fino a Khartoum.

Lungo la pista a circa settanta chilometri da Berber, il primo villaggio che si incontra sul percorso ma che è ancora a circa quattrocento chilometri da Khartoum sento che forse i filtri del gasolio cambiati a Luxor stanno per sporcarsi nuovamente ed il motore fa ancora le bizze ma cerco di tirare a campare per fare in modo che il cambio dei filtri lo faccia un meccanico serio e non il sottoscritto che non lo è affatto. Così in effetti è ed i filtri li faccio cambiare a Berber da un meccanico che per il suo lavoro mi chiede cinquecento Piastre. Questi incassa le cinquecento e prima di metterle in tasca le bacia.

Alla sera campo nel deserto sotto una splendida luna.

28 dicembre - Altri chilometri e chilometri di pista quasi tutta molto sabbiosa sino a raggiungere di nuovo il Nilo e con esso i villaggi e l’asfalto.

Oggi mi è anche toccato di passare un ponte di ferro a tre corsie di cui quella centrale destinata al treno e quelle laterali alle auto.

Non mi volevano far passare in quanto oltre alla portata massima di sette tonnellate (il mio camion 7,5) la larghezza massima consentita era due metri e tredici centimetri contro i due metri e trenta del mio veicolo. Infatti, previa mancia ai militari del check-point, a passo d’uomo e sentendo gli scricchiolii sotto di me passo dopo passo grattando con le ruote a destra ed a sinistra i bulloni di tenuta del ferro del ponte sono giunto dall’altra parte con tutte e quattro le gomme ancora intere dopo aver sfasciato solo una traversina di legno del ponte. Il fatto che si trattava, in alternativa di prendere il battello che più a monte attraversa il Nilo ma non di venerdì ma domenica. Dio ce ne liberi, due giorni ad attendere di passare dall’altra parte? Meglio andare avanti a passo d’uomo ma avanti.

Prima di sera il problema dei cali di potenza si ripropone il che significa che non si trattava dei filtri del gasolio sporchi ma, purtroppo di qualcos’altro. Faccio io lo spurgo e tiriamo avanti per un po’ di chilometri e poi ancora nuovamente. Purtroppo non si può nemmeno andare avanti così in quanto si sta facendo notte. Qui, va detto che sono un’ora più avanti rispetto all’Egitto che è già un’ora più avanti rispetto a noi.

Ci fermiamo a lato della strada e siamo a soli quaranta chilometri da Khartoum. Per l’indomani mattina è previsto un altro spurgo dell’impianto di iniezione del gasolio e avanti così sino alla capitale.

Ma la giornata non era ancora finita e verso le ventidue, mentre ce ne stiamo tranquilli a chiacchierare, si ferma un’auto; sicuramente security afferma Amhed che se ne intende, Così è e dichiara di essere la security della raffineria che vediamo illuminata in lontananza e ci dice che non è permesso fermarsi lì. Già, ma siamo in panne e spostarsi da lì prima dell’indomani è per noi un problema.

Chiama per telefono, non gli rispondono, se ne va via dicendo che ci avrebbe mandato un meccanico. In effetti dopo un po’ arriva una Toyota con un po’ di gente a bordo, sei o sette ragazzotti in borghese che del meccanico non avevano proprio niente ma che però erano provvisti di Kalashnikov. Altra security stavolta più attrezzata. Molte le spiegazioni di Ahmed che non ha mancato l’occasione di rendersi molto utile. Non erano affatto soddisfatti ed hanno voluto vedere se riusciva a loro ad accendere il camion e poi a spurgare l’impianto svitando ogni vite possibile sul motore mettendomi nella disperazione più nera al pensiero che quel povero motore dopo quel trattamento non sarebbe più stato lo stesso. Ho fatto un po’ la voce grossa e questi hanno mandato a cercare un meccanico italiano che lavora presso una compagnia petrolifera italiana lì vicino. Parte la Toyota e dopo non poco ritorna con a bordo un soggetto che già dal colore della carnagione dichiarava di aver poco di italiano. Un po’ più tardi, su mia insistenza, si è saputo che anche del meccanico aveva poco. Era sì un meccanico ma che normalmente si occupava delle pompe della raffineria ed affatto dei motori diesel.

Convinti dell’impossibilità di schiodarci da lì al mio rifiuto assoluto ad essere trainato all’una di notte se ne sono andati così abbiamo potuto andare a dormire.  

Ahmed, uomo prezioso, di buon mattino si appresta a risolverci il problema e parte alla ricerca di un meccanico “capace”. Aveva ben capito che gli improvvisati della sera prima avevano fatto probabilmente solo guai e che solo un esperto di motori diesel avrebbe potuto toglierci dagli impicci.

Torna con un ragazzetto che sembra sapere il fatto suo. Fantastico, il camion si accende al primop colpo! Era veramente un esperto, infatti nella sua officina di Khartoum dove poi mi sono recato a pagare taravano solo motori diesel e null’altro che riguardasse un camion o un’auto.

E così siamo giunti a Khartoum.

Oggi per tutto il giorno ci siamo dedicati alle manutenzioni del camion. Cioè, in buona sostanza siamo tornati nel quartiere di Khartoum Nord dove si trovano tutti i meccanici. Perché qui va così, nel quartiere dei fabbri e meccanici ci sono solo riparatori, fabbri, meccanici, saldatori ecc. ecc. Già più difficile è trovare il ricambio nello stesso quartiere. Infatti i ricambi meccanici di qualsiasi tipo si acquistano in un altro quartiere dove ci sono solo pezzi di ricambio ed un meccanico bisogna recuperarlo nel quartiere dei meccanici. E, comunque, ognuno fa una sola cosa. Chi salda non fa altro che quello, anzi, se salda a stagno salda solo a stagno. Ognuno possiede un solo attrezzo ed una sola capacità. Se si tratta di fare un’altra cosa ti accompagna da un suo amico nello stesso quartiere per fare quella specifica cosa. Di fatto in questo modo per fare due cosucce capita di doverci mettere tutto il giorno. Bisogna trattare su tutto; il prezzo della manodopera ed il prezzo del ricambio. Insomma, tra la trattativa e l’acquisto, l’accordo sul lavoro da fare e, prima ancora, l’accordo su cosa sostituire è un gran inutile spreco di energie.

 

31 dicembre 2001 – lunedì – Ultimo giorno dell’anno – Notte di S. Silvestro

 

E così, infatti, anche oggi che l’anno sta per finire ci siamo occupati di manutenzione. Ieri si trattava di sistemare quanto era stato mal fatto, anzi, fatto in modo assolutamente delinquenziale in Tunisia ossia sostituire i bulloni rotti o inadeguati delle crocere oltre a far lavare il serbatoio del gasolio da cui esce una morchia che chissà da quanto tempo si sta depositando sul fondo creando poi, ovviamente, problemi di alimentazione sporcando i filtri.

Oggi, invece, come sopra. Ci siamo occupati di far sistemare un’altra cosa fatta in modo assolutamente inadeguato in Tunisia. Il famoso pointeau, lo spillo del carburatore del generatore di corrente che, appunto, da quando eravamo in Tunisia e lì l’abbiamo sostituito, ci sta facendo ammattire facendo in modo che il generatore una volta acceso decida di spegnersi dopo dieci, venti o due minuti. Ora pare che funzioni bene. Speriamo!

E così siamo giunti all’ultimo giorno dell’anno e siamo qui in Khartoum, capitale del Sudan sulla riva del Nilo Azzurro nel Nile Blue Sailing Club che funge anche da camping. L’ambiente più esclusivo di Khartoum, mi si creda. Ovviamente il tutto ha standard africani e tutti gli Yacht del Sudan si limitano a meno di trenta imbarcazioni di cui una decina a vela ed il resto a motore. Tutti motoscafetti vetustissimi di non più di quattro metri di lunghezza così pure le imbarcazioni a vela. E’ tutto! Anche questa è Africa. Ma che è l’ambiente più esclusivo di Khartoum lo si è potuto constatare ieri sera in quanto vi era una festa di matrimonio e sono affluite nel parcheggio le auto più belle di tutto il Sudan; persino delle Mercedes E200.

E’ stato un mese di dicembre faticoso e strano come non mai con i suoi cinquanta gradi di temperatura massima di giorno ed i vent’otto gradi di notte (ventisei al risveglio). 

E’ iniziato l’anno nuovo ed oggi ci siamo spostati verso l’Etiopia.

Siamo partiti di buon mattino (7.30) per fare i circa 400 km. Che da Khartoum ci portano a Wad Medani, Gedaref . Visto che è andato tutto bene siamo andati oltre ed abbiamo intrapreso la pista brutta e sassosa che in 150 /160 chilometri raggiunge Gallabat, villaggio di frontiera con l’Etiopia. Siamo arrivati fino al villaggio di Doka a circa metà strada e lì, ad un check-control ci siamo fermati per la notte. Il paesaggio scendendo a sud di Khartoum si è fatto di savana. Terreno brullo cosparso di acacie. Le tipiche costruzioni di mattoni e fango sudanesi sono diventate rotonde capanne di paglia. E l’Africa vera pare proprio che sia cominciata.

Siamo ripartiti di buon mattino. La pista è sempre sassosa e pessima. Ha guidato sempre Christian e siamo arrivati in frontiera circa alle 10.30.

Sbrigate le poche formalità d’uscita dal Sudan, spesi gli ultimi soldi e salutato una coppia di ragazzi (maschio e femmina) californiani intenti alla riparazione di un grosso autocarro (un rottame Mercedes acquistato in Sudan) che a causa della scarsa altezza da terra aveva completamente sfondato la coppa dell’olio e, non so come, anche il radiatore, fatto tutto ciò, dicevo, ci siamo impegnati subito per entrare in Etiopia ma, sorpresa delle sorprese, al primo impatto con l’ufficio “Immigration” sito naturalmente in una tonda capanna di paglia come tutto il resto, si va a scoprire dal giovane e gentile funzionario che il nostro visto è scaduto da otto giorni e che non si può fare altro che richiederne un altro a Khartoum. Ci cadono le braccia ma non si può fare altro che incassare il colpo al meglio, ripiegare su se stessi, rifare tutto all’indietro compresi gli oltre 160 chilometri di pessima pista ed i 400 di asfalto, ritornare a Khartoum e non solo far rifare il visto per l’ingresso in Etiopia ma, purtroppo, anche quelli degli stati successivi tutti ormai in scadenza.

L’unica cosa da fare è non perdersi d’animo. Giriamo il camion e di buona lena ci apprestiamo ad un veloce ritorno. In meno di quattro ore, prima che faccia buio riguadagniamo l’asfalto rimettendoci però un pneumatico e poi, dalle diciotto a mezzanotte riguadagniamo Khartoum andando diretti al Nile Blue Sailing Club. Ormai conosciamo le strade come le nostre tasche.

Purtroppo i ritardi accumulati a Tunisi nell’attesa del visto libico prima e sudanese poi che non ci hanno rilasciato e ad Aswan nell’attesa della chiatta hanno prodotto i ritardi che a loro volta stanno creando gli ulteriori ritardi per le richieste dei nuovi visti e le ulteriori impreviste spese. E così di ritardo in ritardo si va comunque avanti. 

Christian si è subito recato presso l’ambasciata etiopica per la richiesta del nuovo “visto consolare” ma, purtroppo essendo giovedì, giorno che precede il venerdì che è festivo, è semifestivo e nessuno aveva una gran voglia di dargli retta e così l’anno rimandato a domenica, il primo giorno lavorativo dopo il semifestivo di giovedì ed i festivi di venerdì e sabato. E’ così.

Nel frattempo, essendo necessaria la lettera di presentazione dell’ambasciata italiana vi si è recato ed aspettando il tempo necessario Oggi ci siamo recati alla ricerca del copertone che ci necessita in sostituzione di quello tagliato durante il ritorno da Gallabat.

Come prevedevo la cosa non è così facile in quanto la misura dei nostri copertoni (12.50 – R20) non è una misura comune e sono montati quasi esclusivamente dal nostro camion e dai Mercedes Unimog; e qui di Unimog ne ho visti solo due o tre.

Cosa significa tutto ciò? Significa che il pneumatico da ricercare è cosa rara e come tutte le cose rare, per la nota legge economica della domanda e dell’offerta ha un valore elevato e non facilmente trattabile. In tutta Khartoum ne sono saltati fuori solo due; uno nuovo ed uno usato. Quello nuovo ad un prezzo esorbitante che, dopo la trattativa del mattino, di primo pomeriggio è divenuto ancor più alto se non inaccettabile e quello usato era un “bidone” nel senso che se era usato ed ancora in buone condizioni di consumo ci doveva essere un altro motivo per cui era stato sostituito. E, infatti, il motivo c’era ed era dato da due grosse abrasioni all’interno; abrasioni che, naturalmente, il venditore ha minimizzato garantendo che se fosse scoppiato avrei potuto ritornare a richiedergli il denaro che l’avevo pagato. Come se io passassi tutti i giorni da Khartoum. Figuriamoci! Così, trattando il nuovo ed anche l’usato e mettendoli in concorrenza al termine della giornata il prezzo del nuovo che era salito di un terzo è ritornato quello del mattino ed a sera siamo riusciti ad avere il pneumatico montato sul cerchio ripristinando la nostra condizione originale.

Oggi 6 gennaio, Epifania, mi sono recato alla St. Mathew’s Catholic Catedral a cui è annessa anche la Sisters’ School per parlare con Madre Margaret, una suora comboniana di origine curdo-siriana che da diciassette anni si sta occupando dei bambini negli asili di Khartoum  e poi con Kamal Smaan Tadros, un diacono vincenziano di origine egiziana che invece si occupa dei bambini di strada e di quelli che hanno le madri in prigione.

Madre Margaret mi accoglie con un sorriso, mi da del tu e si scusa per il suo italiano appreso con la pratica ma è un italiano ottimo e senza fronzoli. Mi racconta del suo lavoro e delle sue difficoltà. Gestisce e dal suo ufficio dirige centoquattro asili cattolici che ci sono nella sola Khartoum. Prima ce n’erano centoquaranta, ora a causa anche delle ristrettezze economiche in cui versa a causa della riduzione dei finanziamenti procuratile dalla chiesa tedesca e olandese è stata costretta a chiuderne un certo numero. Centoquattro asili con oltre cinquemila bambini di cinque anni che vengono preparati per entrare nella scuola ordinaria della durata di otto che li accoglie dai sei ai tredici anni. Di solito questi bambini restano nella scuola ordinaria cattolica che viene gestita negli stessi luoghi ove esiste la pre-school. Già, perché per aggirare un ostacolo di tipo burocratico, non li possono più chiamare asili in quanto come tali dovrebbero dare un insegnamento di tipo islamico ed al termine rilasciare un attestato per poter entrare nella scuola ordinaria mentre come pre-school la cosa passa non rientrando tra le scuole previste dall’ordinamento scolastico sudanese. Oltre gli otto anni di scuola ordinaria i giovani possono entrare alle secondarie superiori della durata di tre anni e poi all’università.

In queste pre-school le maestre insegnano a disegnare ed a scrivere lettere e numeri ed a fare già le prime operazioni aritmetiche e viene distribuito un pasto al giorno.

Madre Margaret è commovente nella sua semplicità e nel farmi vedere il suo sparuto magazzino di quaderni, penne, gessi, quaderni e mi spiega quanti quaderni distribuisce e quante penne alle maestre ed ai bambini. Distribuisce per tutto l’anno scolastico una scatola da dodici pastelli per una scolaresca di 50 bambini, un mezzo quaderno per bambino e tre per ogni insegnante che li utilizza per preparare le lezioni, come registro e per tutte le notizie comprese quelle mediche relative ad ogni bambino. E’ commovente vedere cosa riesce a fare con il nulla che ha a disposizione. Mi mostra l’ufficio da cui viene gestito il tutto e la macchina da scrivere (meccanica s’intende) che cade a pezzi, le due scrivanie sgangherate e quel poco o nulla di cui dispone. Il materiale didattico viene prodotto disegnandolo a mano foglio per foglio in quanto non c’è denaro per fare stampare nulla. Qui già il nulla costa troppo caro.

Le scuole, a parte le poche in muratura, sono consistenti in capanne di paglia, senza banchi ne’ sedie e neppure per terra le tipiche stuoie, in quanto dice Madre Margaret, si rompono facilmente, ma i molto più economici fogli di plastica. Il tutto è ridotto all’osso, anzi, al midollo, direi.

Ogni cosa che mi mostra mi rende evidente quanto sia difficile risparmiare su tutto e riuscire comunque a sostenere la situazione e, per converso, quanto noi occidentali possediamo e sprechiamo. Viene continuamente da chiedersi come si possa fare a riciclare quanto noi gettiamo ma la risposta spesso è molto semplice e cruda: non si può. Le tasse di importazione spesso supererebbero di gran lunga il valore del bene importato vanificando lo sforzo fatto.

Questo, tra l’altro, è un Paese in cui la libertà è un concetto solo teorico e la sopravvivenza per coloro che non sono mussulmani è estremamente difficile e, sebbene benefattori, nessun occhio di riguardo viene usato nei loro confronti, semmai il contrario. Mi sono stati mostrati i libri con cui, invece, viene impartito l’insegnamento negli asili mussulmani ed effettivamente nasce qualche dubbio sul fatto che questi siano neutrali e non fomentino l’odio religioso quando vengono indicate come figure positive con le quali identificarsi quella del bambino che scaglia una pietra (intifada) e quella del militare con il fucile che combatte per l’Islam.

Centoquattro asili e Novanta scuole  gestite dalla chiesa cattolica con quarantacinquemila bambini e questo nella sola Khartoum.

Per i ragazzi troppo grandi che non possono entrare nella scuola ordinaria, e questo per divieto oltre ad una certa età, non vi sarebbe altro che la rinuncia se non venissero inseriti in scuole professionali dove insegnano loro la falegnameria o la meccanica.

Lo stesso accade per gli orfani e gli sfollati che provengono dalle zone di guerra del sud. Qui, in Khartoum, i salesiani, preti e suore, gestiscono la scuola tecnica maschile mentre le ragazze vengono affidate alle suore canossiane. Fanno tutti un gran lavoro e con uno spirito caritatevole non indifferente dovendo combattere continuamente con la povertà assoluta e con un ambiente politico-militare che presenta loro un viso sorridente atto a nascondere una ostilità sempre presente.

I bambini di strada come nelle favelas vengono attirati dalla possibilità di mangiare e poi di vestire e di ottenere una certa normalità. Alcuni accettano e vengono affidati a famiglie dove coabitano ed in seguito inseriti nelle scuole ma molti abituati alla libertà la preferiscono e se ne vanno restando a chiedere la carità o a drogarsi per le strade.

Molti sono anche quelli che hanno le madri in prigione per aver prodotto illegalmente alcolici che qui sono assolutamente vietati. E questi finiscono sulle strade con un futuro segnato.

Christian è tornato dall’ambasciata etiope con le “solite” buone notizie; quali? Ha presentato i passaporti e le richieste di “visto” ed in quel momento è stato esposto un cartello che annunciava la chiusura degli uffici dell’ambasciata etiopica per i prossimi tre giorni.

Ho verificato sulla documentazione in mio possesso ed ho scoperto che il 7 gennaio, domani, è il Natale etiopico e ciò giustifica la chiusura per i prossimi tre giorni di Natale, S. Stefano e non so che altro. Siamo qui da giovedì e se va bene i passaporti ce li ridaranno con il visto il prossimo giovedì e così, se va bene avremo perso altri dieci giorni.

La iella burocratico-amministrativa ci segue e ci perseguita. Non riesco più a fare programmi. Una volta sfasati quelli che avevo fatto inizialmente non quadrano più ed è sempre peggio.

Qual è l’animale più pericoloso dell’Africa? Mi rendo conto che la belva più feroce, la bestia più cattiva presente non solo in Africa ma in tutto il mondo; quella meno prevedibile e più intrattabile è la burocrazia. In confronto i leoni sono nulla, gli ippopotami niente e gli elefanti ed i rinoceronti neppure. Il leone se lo lasci in pace e ha mangiato se ne sta a riposare tutto il giorno. Per evitare di essere travolti dagli ippopotami è sufficiente non essere sulla loro strada quando se ne vanno alla pozza ad immergersi e, per quanto riguarda i rinoceronti basta spostarsi poco prima che ti travolgano, tanto non ci vedono bene e se ne vanno diritti. Gli elefanti poi, se non sono vecchi e impazziti se ne stanno tranquilli. I burocrati, invece, sono imprevedibili e non si sa mai come trattarli e fanno più danni loro di una invasione di cavallette.

Ebbene sì, oggi 7 gennaio ricorre il Natale etiopico ma noi abbiamo attività da svolgere e Kamal Dadros l’attivissimo diacono di Khartoum ci ha infilato niente di meno che in una visita ufficiale del Patriarca di Costantinopoli di rito bizantino Gregorio Laham alle scuole cattoliche di Khartoum Nord. Così, al seguito della Mercedes blu dell’altissimo prelato e dei suoi accompagnatori e preceduti da una moto della polizia a sirene spiegate c’eravamo anche noi insieme al simpaticissimo parroco della parrocchia di Khartoum Nord, padre Norberto Stonfer, trentino. Il Patriarca ci ha stretto la mano e prima della visita alla scuola ha voluto sapere della nostra missione complimentandosi, poi ha fatto la sua visita alla scuola dove eravamo attesi e, naturalmente, in ritardo. Scuola con oltre mille alunni, situata su un terreno periferico di proprietà della parrocchia ma per il quale non riesce ad averne una registrazione ufficiale. Scuola che si sviluppa con una numerosissima serie di capanne di paglia in più file tutt’intorno ad un cortile al cui centro sventola la bandiera sudanese.

Per classe una capanna con il pavimento in terra battuta. In Sudan le scuole, successivamente all’asilo non obbligatorio, si svolgono in un unico ciclo di otto anni al termine dei quali si svolge l’unico esame di stato. Se promossi possono accedere al triennio di scuola superiore in caso contrario si termina lì. E si termina lì anche se si è superata l’età per l’accesso alle scuole superiori. Una delle scuole di prestigio di Khartoum è il cattolico Comboni College.

Mentre viaggiavamo tra Khartoum, Khartoum Nord, che è una città satellite nata dopo il 1900 a seguito della costruzione della ferrovia che la collega a Wadi Halfa a nord e a Port Sudan ad est, e Ondurman nata e costituita dagli sfollati delle varie guerre tribali, facendo un giro notevole a causa di alcune strade chiuse al traffico, Padre Norberto ci informava del fatto che le strade erano chiuse in quanto vicine alle prigioni maschili della città perché ieri c’è stata una sommossa durante la quale sono stati uccisi cinque ribelli per sedare i disordini.

Qui in Sudan, ci dice Padre Norberto, non solo c’è la pena di morte ma viene usata in modo consistente e tutte le settimane qualche detenuto viene impiccato e a volte più d’uno alla settimana. In caso di omicidio vale, in pratica la legge del taglione e si applica la pena di morte. Ma la situazione legale è un po’ più complessa di così in quanto accanto alla legge statale c’è anche la legge islamica che prevede il “pagamento del sangue” ossia, se i parenti della vittima accettano il pagamento del danno subito, in pratica il reato penale diventa reato civile e con il pagamento si estingue. Così può accadere che tutto il villaggio recuperi il denaro necessario a salvare una persona da morte certa. Poteva accadere, oggi è abbastanza improbabile in quanto l’importo del pagamento è stato aumentato a cifre che possono raggiungere i quindicimila Euro, importi assolutamente difficili da raggiungere per i locali.

Qui, nella grande Khartoum, che insieme a Khartoum Nord e Ondurman riunisce più del cinquanta per cento della popolazione del Sudan, ci sono due prigioni, quella maschile e quella femminile che, sebbene non siano tra le peggiori, come invece si può dire di quelle egiziane, rinchiudono tanta tanta gente. Non sono delle peggiori, ci dice Padre Norberto che pur non essendo il cappellano della prigione viene spesso chiamato a sostituirlo, in quanto non vi sono le celle ed i carcerati in pratica vivono.

Di pomeriggio Kamal ci ha affidati a Niawien Chol, direttore dei programmi che ci ha portato in periferia a vedere la scuola professionale dove si insegna ai ragazzi a fare lavori di falegnameria, muratura, elettricità e calzature quant’altro possa essere utile a crearsi una professione e, quindi, a poter vivere un po’ meno di stenti.

Ad attenderci c’era Johnson Omanyor direttore della scuola Fam Burri El-Monshia, il suo vice, Garang Kuel Athiang e Stanslous Mogga direttore dei laboratori.

Non è il caso di farsi impressionare dai titoli, qui siamo in Africa e i titoli contano ancor più che da noi.

La scuola riunisce nelle sue quadrate capanne di paglia e terra battuta tutti i laboratori, i dormitori, le cucine e quel poco che serve a mandare avanti i laboratori. Questo convitto ci spiega Johnson accoglie esattamente centouno ragazzi di cui una parte in età scolare ed altri che tale età l’hanno superata. Questa è per loro l’unica possibilità di apprendere lo svolgimento di semplici attività manuali ed anche di avere un posto dove dormire e mangiare e non restare sulla strada.

In qualche, seppur raro caso, questi, che sono ragazzi di strada, hanno raggiunto l’università e si sono laureati.

Oggi mi sono soffermato a guardare un cantiere edile in pieno centro dove stavano costruendo un palazzo. La sabbia ed il cemento ammonticchiati all’esterno come in tutti i cantieri, viene trasportata all’interno in secchi costituiti da taniche di plastica o nei sacchi del cemento stesso ed a questo attività sono dediti i ragazzini.

Una numerosa schiera di bambini di dieci o dodici anni si carica in continuazione gli improvvisati secchi e porta all’interno del cantiere la sabbia ed il cemento.

Di tutto questo nessuno si meraviglia o si stupisce di certo. Qui è così. Del resto ci dice Madre Margaret, dei nostri bambini della Pre-school ce ne muoiono almeno cinque o sei all’anno per denutrizione e di stenti ed anche questo non stupisce.  Nonostante l’asilo fornisca loro un pasto, peraltro frugalissimo, la denutrizione è notevole e le energie scarsissime. Ciononostante sorridono. Qui è così. 

Oggi alle 12.00 ho incontrato ed avuto uno scambio di opinioni con il Vescovo di Khartoum Monsignor Gabriel Zuber Wako mentre Christian è andato all’ambasciata etiopica a vedere se ci è stato rilasciato il visto. Non è ancora tornato ed ho qualche timore che anche oggi non ce lo rilascino in quanto l’ambasciata etiopica è senz’altro in subbuglio essendoci in Khartoum la riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’IGAD, organizzazione che riunisce i Paesi dell’est-Africa insieme al Kenya, Somalia, Eritrea e non so chi altri, a cui l’Etiopia partecipa; riunione indetta alla presenza di una delegazione statunitense per dare risposte agli USA che le sollecitano al riguardo del terrorismo.

Di fatto, se ci salta il visto oggi ci salta per altri tre giorni in quanto domani e dopo sono giorni festivi. Non mi resta, nell’attesa, che incrociare le dita.   

Monsignor Gabriel Zuber Wako è un vescovo molto deciso e diretto specialmente nei confronti dell’amministrazione statale sudanese che avversa a causa del regime duro e della mancanza di libertà. Non è uno che le manda a dire, non è un diplomatico, mi dice Sister Margaret Hazaz, tanto è vero che qualche anno addietro il regime ha colto la prima occasione possibile per metterlo in carcere. Vero è che ci è rimasto un solo giorno ma vero è anche che sono andati a prenderlo a casa a sirene spiegate. Qui, le zone del sud confinanti con la Repubblica Centrafricana e, a detta dei governativi, in mano ai ribelli, qualcuno le chiama Sudan liberato; è chiaramente una questione di punti di vista. Purtroppo la guerra in Sudan c’è da trent’anni ed è un conflitto di cui l’occidente non sa nulla.

Ieri, 11 gennaio, ripartiti verso le tre del pomeriggio abbiamo viaggiato fino alle nove di sera per raggiungere Gedaref  e potere quindi riprendere oggi di buon’ora la pessima pista che da Gedaref conduce a Gallabat, frontiera sudanese-etiopica.

Questa è una pista che ormai conosciamo bene avendola già percorsa sia in andata che in ritorno. Meglio far guidare Christian che è più prudente di me e salva di più le gomme. Abbiamo deciso di portare le gomme che possediamo fino a Città del Capo e, chissà, con un po’ di prudenza magari ci riusciamo. Infatti va tutto bene e raggiungiamo Gallabat senza danni di sorta. Veloci le operazioni di uscita dal Sudan anche se ci chiedono con insistenza un foglio rilasciato all’ingresso a Wadi Halfa ma che noi non abbiamo mai avuto. Poi la smettono e ci lasciano andare.